Anna Camaiti Hostert
Cartolina da Chicago

Parola di Obama

«Viviamo in tempi di rancore, di fame di potere in cui gli individui non si fidano gli uni degli altri, in cui gli algoritmi comandano, ma ci sono ancora i sentimenti di solidarietà che ci tengono legati gli uni agli altri»: Barack Obama infiamma la Convention Democratica

E oggi c’è stato il vero spettacolo: il voto dei delegati che rappresentano I 52 stati del paese. In sala durante tutto il tempo della conta dei voti nel passaggio da uno stato all’altro c’era un D.J., C.J Cassidy, che ha alternato arrangiamenti jazz, musica popolare famosa come Celebration o Born In the U.S.A. e musica country. Lo spettacolo è durato molto, perché ad ogni Stato è stato concesso un piccolo spazio di tempo per presentarsi prima di esprimere il numero totale dei propri voti. E così abbiamo visto personaggi dello spettacolo e della politica anche di primo piano, presenti tra le delegazioni che sono rimasti tuttavia completamente silenti. Per esempio Spike Lee era presente con la delegazione di New York, mentre Nancy Pelosi con quella della California. Hanno partecipato insieme agli altri dell’entusiasmo del momento stando semplicemente in disparte.

Altre volte invece sono intervenuti come è accaduto nel caso di Wendell Pierce attore di primo piano delle serie cult The Wire e Treme o in quello di un rapper della Georgia che ha introdotto il proprio stato. Poi c’è stato il folklore dei cappelli a forma di fetta di formaggio del Wisconsin o quelli a forma di pannocchia di granturco dello Iowa. Molti uomini e donne neri, spesso ispanici e in alcuni casi nativi americani (come nel caso del Sioux del South Dakota, rappresentante dell’intera nazione Lakota che riunisce tutti i gruppi dei Sioux), tra coloro che sono intervenuti, hanno manifestato un palpabile entusiasmo nell’annunciare i voti del proprio stato a favore della candidatura della prima donna di colore, metà asiatica e metà africana, alla presidenza degli Stati Uniti.

Gli interventi della serata hanno visto sfilare, tra gli altri, il senatore Bernie Sanders che ha fatto presente la situazione di indigenza di alcune classi di lavoratori, lo strapotere delle case farmaceutiche e il costo dei farmaci per i meno abbienti, i problemi ambientali e infine i pericoli insiti nella politica di Donald Trump. Poi è intervenuto Doug Emhoff avvocato e marito di Kamala Harris, il quale, evidenziando la leadership della moglie, ha parlato della loro storia e ha definito la moglie una joyful warrior che si batte con forza e che a dispetto del fatto di essere joyful è una vera lottatrice che affronta con coraggio e determinazione le proprie sfide.

C’è stata poi Michelle Obama che ha ricevuto un applauso travolgente. “Qualcosa di meravigliosamente magico è nell’aria” ha esordito, parlando di speranza che dopo mesi di buio e depressione ritorna. Ha parlato del senso di lutto e di perdita seguito alla recente morte della madre che è stata quella che le ha mostrato “il potere della sua voce”. Ha detto di essere sul palco proprio per onorare la sua memoria. Ha citato la madre di Kamala Harris che come la sua ha inculcato in loro il senso della comunità, il bisogno di lavorare con e per gli altri. Un discorso tutto al femminile commovente, pieno di speranza e di forza.” The embodiment” della storia di questo paese, la storia della maggior parte delle persone e soprattutto di molte donne.  Ha parlato di onestà, integrità e stabilità che sono le caratteristiche di Kamala Harris. Gli avversari faranno di tutto per distruggere lei e il suo vicepresidente e minimizzare il loro valore e la loro integrità come hanno fatto con lei e il marito solo perché erano neri. Poi ha parlato di quello che fa Trump riducendo tutto a qualcosa di piccolo e patetico. Il nuovo senso di speranza non cancella tuttavia quello di depressione e di buio esperiti in questi mesi. “Noi non possiamo essere i nostri peggiori nemici e dobbiamo fare di tutto per fare eleggere Kamal Harris e Tim Walz perché sapranno guidare il paese”. E questo va fatto anche per restaurare la dignità e i valori morali di questa democrazia.

Infine è arrivato Obama salutato, anch’egli, da un appaluso interminabile, il quale   ha detto che è felice di essere a casa a Chicago e che adesso è “carico” (fired up) pronto per battersi. Ha ricordato di avere cominciato proprio da una Convention come questa e dopo avere lodato Joe Biden ha detto di essere fiero della sua amicizia. Adesso il testimone è stato passato, ma la competizione è ancora durissima in un paese polarizzato e diviso. Ha accusato Donald Trump di preoccuparsi solo dei suoi problemi e di creare teorie del complotto che gettano il paese nel caos, nella confusione e nella disperazione. E dopo avere lodato la nuova candidata è passato a tessere le lodi di Tim Walz che, per come agisce, “fa bene a essere in politica”. Ha detto inoltre che è più facile creare paura, timore, insicurezze e su di essi costruire una strategia politica che permetta a quelli come Trump di dominare e non di governare, invece di creare un ambiente dove tutti possano convivere e lavorare insieme a dispetto delle differenze.  Yes, she can ha ripetuto riprendendo il suo vecchio slogan. Ha ricordato che la democrazia non è un insieme di principi astratti; è come ci trattiamo gli uni con gli altri, il senso di rispetto reciproco. Ha inoltre aggiunto che il mondo sta guardando all’America per capire la direzione verso cui si muove la sua democrazia. “Viviamo in tempi di rancore, di fame di potere in cui gli individui non si fidano gli uni degli altri, in cui gli algoritmi comandano, ma ci sono ancora i sentimenti di solidarietà che come questa Convention sta dimostrando ci tengono legati gli uni agli altri”. Ha citato infine Lincoln e ha di nuovo ricordato il lavoro nelle comunità e l’impegno individuale di ognuno in queste elezioni così importanti per il futuro del paese.


La foto accanto al titolo è di Andrew Harnik/Getty Images.

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