Francesco Rea
Suggestioni Olimpiche

Sua maestà, il basket

La sfida tra Usa e Serbia di pallacanestro è stata qualcosa di più di una partita: un rito celebrato da LeBron James e Bogdan Bogdanovich. Due diverse scuole di pensiero dello sport

La nazionale USA ha sempre faticato a mettere su una squadra competitiva nelle gare internazionali. I gioielli della NBA considerano il loro campionato l’unico vero “mondiale”. Tanto che il neo Oro dei 100 metri della compagine statunitense, Norman Lyles, aveva polemizzato con le superstar della NBA perché poco attaccate alla bandiera. E, in effetti, la brutta figura fatta ai mondiali del 2023 aveva costretto la federazione USA a prendere provvedimenti e ad appoggiarsi sulle monumentali spalle del quasi quarantenne LeBron James e sulle eccezionali arti al tiro della stella del Golden State Warriors, Stephen Curry per queste Olimpiadi.

Fatto è che il confronto con la Serbia che abbiamo vissuto in semifinale ci ha riproposto uno dei tanti duelli che si vivono sovente in NBA. Perché, se da una parte si schieravano LeBron James e Stephen Curry, dall’altra a giganteggiare per la Serbia c’erano il tre volte MVP della NBA, Joseph Jokic e il giocatore degli Atlanta Hawk, Bogdan Bogdanovich. Due squadre di altissimo livello, dunque, di cui citiamo solo i più iconici per non cedere a lunghe liste di nomi. Per capire di cosa stiamo parlando basta citare gli ingaggi di queste figure, tanto elevati che gli eroi del calcio europeo appaiono come scarsamente retribuiti! Jokic, oltre ai titoli sul campo, ha anche il record del contratto più alto mai firmato: 264 milioni di dollari per 5 anni. Fatevi i conti. E non è il più pagato come giocatore. Il più pagato è Stephen Curry. Di poca roba sia chiaro. E anche gli altri sono lì: 46/48 milioni di dollari a stagione. Come possiamo affermare, allora, di aver visto una semplice partita di basket? Abbiamo guardato i Banksy del basket.

Lo abbiamo capito quando la Serbia, sconfitta nelle fasi preliminari di qualificazione dagli USA, faceva perno sul duo Bogdanovich e Jokic arrivando a chiudere la terza frazione con 13 punti di vantaggio: 76 a 63. Siamo alla quarta frazione. Vi ricordate Charlton Heston ne I Dieci Comandamenti di Cecil B. De Mille che interpreta la figura di Mosè? Con quella chioma contrassegnata da una folta barba in un nero grigio che la rendeva ancora più imponente? Ebbene, ieri Mosè è apparso nella figura monumentale di LeBron James, con i suoi anni prossimi ai 40, solido come una roccia, capace di frenare Jokic e mettere a segno tre triple che cambiavano passo ad una squadra, gli USA, fin lì inerme di fronte alla lucidità dei serbi, anche grazie al suo Davide, Stephen Curry, dall’alto dei suoi 188cm. E così da 76 a 63 in pochi minuti si arrivava all’86 a 86, con un parziale di 23 a 10 per gli americani. E a quel punto si ripartiva da zero a poco meno di quattro minuti dalla fine. Alla fine è stato 95 a 91 per gli USA che affronteranno la Francia in finale, come 4 anni fa a Tokyo. Ma questo è un mero fatto di cronaca, quello che abbiamo visto sul campo, l’ultimo quarto, è stata un’opera d’arte, che, per fortuna, il mondo digitale ci permette di replicare.

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