Cartolina dagli Usa
La sfida di Kamala
L'estate americana ha stravolto il panorama politico: dopo il fallito attentato a Trump, l'attenzione si è concentrata su Kamala Harris e, soprattutto, sulla visione del mondo che lei rappresenta
Allora dove eravamo rimasti? Da poco prima della seconda metà del mese di luglio molti eventi epocali e imprevisti si sono succeduti nello svolgersi di questa campagna elettorale americana. L’accadere di tali fatti la rende molto particolare e unica nel panorama storico delle elezioni presidenziali. Ma procediamo con ordine e vediamo diacronicamente cosa è successo.
Poco prima delle dimissioni di Biden c’è stato il mancato attentato a Donald Trump in Pennsylvania che gli ha restituito le prime pagine dei giornali dopo che il flop di Biden durante il primo dibattitto presidenziale le aveva riempite, trascurando il tycoon. Un evento provvidenziale per il magnate americano che secondo la sua solita tattica comunicativa di spiazzamento e sbigottimento dell’opinione pubblica l’ha fatto seguire dopo pochissimo tempo da un altro evento inaspettato: la nomina del suo vicepresidente J.D. Vance, trentanovenne senatore dell’Ohio. Una volta suo aspro critico il giovane politico che l’aveva chiamato in sequenza “a total fraud,” “a moral disaster” e anche “America’s Hitler” si è poi convertito a suo fidelizzato supporter. Cosi almeno ha confidato a Sean Hannity di Foxnews altro acritico sostenitore di Donald Trump e giornalista storico di quel canale televisivo, ormai famoso per le sue posizioni pregiudiziali nei confronti di qualsiasi persona in odore di visoni progressiste.
Perché la scelta di questo giovane politico è stata astuta da parte di Trump? Per almeno due ordini di motivi: il primo è quello di avere optato per un personaggio abbastanza sconosciuto all’establishment, nonostante il suo ruolo istituzionale e giovane (adesso con l’abbandono di Biden, Trump diviene il vecchio di questa campagna elettorale e dunque un giovane è sicuramente di grande aiuto), prestante e con carisma oltre che essere un grande oratore; il secondo è che J.D.Vance è l’autore di un’autobiografia, Hillbilly Elegy, addirittura trasformata in film dal grande regista Ron Howard con protagoniste di eccezione come Amy Adams e Glenn Close. Dunque è anche famoso, il che non guasta mai, anche se tuttavia proviene da quella white trash povera e negletta che fin dall’inizio ha dato il suo voto a Donald Trump, in quanto percepito come l’unico capace di ascoltarla. Inoltre la sua è la storia di un riscatto che ha fatto del figlio di una madre single e drogata, un avvocato laureatosi a Yale, uno scrittore di successo e infine il candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti. E quello del self made man è un cursus honorum che in America paga sempre! E in generale anche giustamente!
Nel suo libro, Vance critica l’assistenzialismo dei democratici e rinforza l’etica individuale, il patriottismo (ha servito come militare in Iraq), mentre in politica ha ormai sposato in pieno l’agenda iperconservatrice del MAGA (Make America Great Again) di Trump con tutte le conseguenze che essa comporta sui problemi di inclusività, di protezionismo, di controllo sulla magistratura, di sovranismo, di unilateralismo nazionalista. In più è un fiero oppositore di qualsiasi facilitazione nei confronti di pratiche abortive.
Passando successivamente alle vicende sul versante democratico anche qui ci sono stati eventi inaspettati. Le sofferte dimissioni di Biden avvenute tardi nella campagna elettorale, mossa assai ingegnosa da parte del partito, hanno sviato l’attenzione dei media nei confronti di Trump e hanno registrato un cambiamento di rotta nell’agenda democratica. Hanno infatti determinato quel “momentum”, come viene definito qui, che ha fatto risalire nei sondaggi le preferenze nei confronti dei democratici. La nomina di Kamala Harris a futura candidata alla presidenza, con una maggioranza schiacciante di delegati in suo favore, è stata una sorpresa non tanto per il suo nome, che forse stava anche nelle cose, quanto per la inaspettata trasformazione di ruolo che ha assunto la vicepresidente, fino a quel momento quasi assente e molto silente. La sua grazia, la sua eleganza e allo stesso tempo la sua determinazione si stanno rivelando carte vincenti che riportano fiducia nell’elettorato democratico. La nomina a suo vicepresidente dell’energetico e positivo Tim Walz inoltre è stata una mossa intelligente.
Anch’egli abbastanza sconosciuto al di fuori dello stato del Minnesota. Governatore di quello stato per due mandati consecutivi, ha cominciato la sua carriera politica nel 2006 come deputato del Minnesota ed è stato rieletto per ben cinque volte prima di candidarsi a governatore dello stato. Da giovane si è arruolato nella Guardia nazionale dove ha servito per ben 24 anni, è stato insegnante di scienze sociali nella scuola superiore di Mankato in Minnesota dove ha vissuto per la maggior parte del tempo con la moglie e i figli, e coach del team di football della stessa scuola portando la squadra a vincere il suo primo campionato. La sua presenza, che certamente ha una valenza politica determinante, rivela un’agenda progressista assai spiccata, almeno nella politica locale, che va dalla protezione dei diritti riproduttivi delle donne, al rafforzamento del diritto al voto, alle politiche ambientali, alla riduzione delle tasse per la classe media, all’espansione del diritto di congedo retribuito. Dunque il governatore costituisce un asset che con il suo entusiasmo e la sua energia può servire davvero molto alla candidata democratica nella sua campagna politica.
Queste saranno elezioni che vedranno battersi un uomo bianco e una donna di colore, ma non saranno determinate semplicemente da una contrapposizione di genere quanto dalla visione del genere che ognuno di loro rappresenta con l’esempio e le proposte politiche che dice di volere realizzare. Trump con il suo bagaglio antiabortista, misogino e razzista, Harris con la sua competenza legale di donna che si è battuta e si batte per i diritti riproduttivi delle donne, delle minoranze e che ha fatto del colore della sua pelle non un vessillo da esibire in modo plateale nella campagna elettorale, ma un elemento di lotta contro ogni esclusione a difesa della tradizione democratica del proprio paese, il cui bene comune va messo sempre prima del proprio utile particulare.
E se dovesse vincere, vale la pena di ricordarlo, sarebbe la prima donna e di colore a raggiungere quell’obiettivo. Non solo the glass ceiling sarebbe infranto, andrebbe in mille pezzi!!!
La prossima Convention democratica che si terrà qui a Chicago dal 19 al 22 agosto si preannuncia molto “calda” non solo nel senso meteorologico, ma anche in quello politico per via delle diverse anime del partito democratico che sembrano tuttavia, almeno all’apparenza, unite nella scelta della vicepresidente come candidata alla corsa presidenziale. Chicago dunque incoronerà candidati ufficiali Kamala Harris e Tim Walz rispettivamente nei ruoli di presidente e vicepresidente nella tornata elettorale del prossimo novembre. Vedremo se anche in questo caso ci saranno eventi che ci sorprenderanno, deragliando dai binari ufficiali il corso normale degli eventi e marciando verso quella che altrove, con terrore, ho definito la strana ineluttabilità della storia.
Accanto al titolo, Kamala Harris, foto con licenza creative commons.