Anna Camaiti Hostert
Cartolina da Chicago

La scommessa di Chicago

La Convention democratica di Chicago si conclude con un discorso di grande impatto politico: «Dobbiamo continuare a costruire la democrazia, facendo quello che hanno fatto le generazioni prima di noi passandoci il testimone...»

Prima di entrare nel merito della serata più importante della Convention nella quale la vicepresidente Kamala Harris ha accettato la sua candidatura a presidente degli Stati Uniti, come donna, mi corre l’obbligo di fare una considerazione preliminare. Dovremmo chiamarla presidentessa o semplicemente la presidente, nel caso venga eletta? Certamente, se fosse italiana, non obietterebbe nei confronti di nessuna delle due espressioni, anzi la pretenderebbe essendo fiera, come è sempre stata ed è, di essere donna. Non come la nostra presidente del Consiglio che invece si rifiuta di onorare il suo genere facendo precedere il suo titolo da un articolo di genere maschile. E a questo proposito sono felice invece di far sentire la voce di una donna delle grass roots del partito democratico, una donna che opera in quella società civile che costituisce la base del partito. Il suo nome è Carol Dawley e nel 2017 ha fondato Invest to Elect, un’associazione di donne che si occupa di significative donazioni politiche che impattano le comunità in cui vivono. Quest’associazione raccoglie fondi in supporto in favore dei candidati democratici che corrono per cariche federali, cercando di aiutarli a vincere. Fino ad ora questo gruppo di donne ha raccolto 8 milioni di dollari. È inoltre Senior Adviser del progetto Progressive Turnout, la più grande organizzazione di contatto con gli elettori negli Stati Uniti il cui scopo è quello di portare i democratici al voto. Carol ha definito questa Convention “Inspiring, energizing, motivating, affirming, activating” e soprattutto “joyful” come nessun’altra prima. Sembra proprio che la parola gioia, sia la chiave di lettura di questa Convention che tutti i big del partito e del mondo dello spettacolo hanno evocato. L’hanno evocata gli Obama, Bill Clinton, Oprah Winfrey e anche il marito di Kamala Harris insieme a molti altri. Carol si è premurata anche di aggiungere che questi sono tutti valori di cui i democratici si fanno portatori, ma sono anche quelli che la maggior parte degli americani condividono al di là delle loro idee politiche. Purtroppo dopo l’avvento di Donald Trump – ha concluso – sono stati dimenticati ed è una fortuna che ritornino ad essere popolari.

Questa Convention è riuscita a resuscitare un entusiasmo che si credeva ormai perduto.

È soprattutto la base del partito ad essere energizzata, combattiva e pronta a impegnarsi di nuovo in vista delle prossime elezioni. Anche perché questa potrebbe essere la volta buona per avere una donna come presidente degli Stati Uniti. Seppure, come spesso ho ripetuto, ritengo che Joe Biden sia stato un grande presidente soprattutto per le scelte di politica interna in favore dei lavoratori e delle classi meno abbienti. Ma forse c’era bisogno di sangue nuovo infuso nelle vene del partito per ritrovare quello spirito positivo che è di questi tempi una cosa abbastanza insolita quando ci si riferisce al mondo politico.

La senatrice Elizbeth Warren, efficace come sempre, ha fatto un intervento militante, parlando della differenza tra Donald Trump e Kamala Harris come della differenza tra un criminale e una tutrice della legge. Ha parlato di Wall Street, delle banche e dei super ricchi, difesi da Trump e delle politiche sociali della casa, della sanita, della scuola, della difesa dell’aborto portate avanti invece da Harris, marcando chiaramente una divisione di classe evidente nelle loro scelte politiche. Inoltre ha dichiarato di avere visto Kamala Harris in azione e di nuovo ha usato la parola “Joy”.

Il reverendo Al Sharpton noto attivista politico nero ha poi parlato del razzismo di Trump che si schierò con l’accusa che nel 1980 volle colpevoli cinque neri di New York accusati di essere degli stupratori e degli assassini per cui furono accusati ingiustamente e liberati solo dopo molti anni di carcere. Sharpton ha inoltre accusato Trump di favorire i gruppi neonazisti e razzisti nel paese. E ha ricordato come alcuni leader per i diritti civili scomparsi, guarderebbero con favore la scelta di Kamala Harris. Ha poi pagato un tributo di riconoscenza al reverendo Jessie Jackson. “Abbiamo lottato troppo a lungo per avere le donne fuori dai luoghi del privato, cosi come abbiamo lottato per la comunità LGBTQ+ e non torneremo certo indietro”. “Non torneremo indietro” è stato il mantra di Sharpton per affermare tutte le conquiste ottenute dalle minoranze etniche e di genere che non saranno certo rinnegate. “Andremo avanti per raggiungere i traguardi giusti per cui abbiamo lottato”. Ancora la parola “Joy” è tornata fuori ed è stata ripetuta diverse volte. Poi sono saliti sul palco i cinque neri di Central Park su cui è stata fatta una serie tv di grande successo dal titolo   When They See Us e hanno chiesto al pubblico di ripetere ad alta voce il titolo della stessa a significare che adesso sono tornati visibili.

Campioni di basketball, attori, attrici e cantanti hanno mandato i loro messaggi o sono saliti sul palco oltre a molti cittadini comuni. Questi ultimi hanno raccontato storie di famiglie che hanno dovuto tribolare a causa dell’eliminazione dell’aborto, di persone che hanno potuto finalmente acquistare le medicine necessarie per sopravvivere grazie ai provvedimenti di Biden e Harris che hanno diminuito il prezzo dei farmaci. Poi ci sono stati i genitori di un poliziotto morto nei disordini del 6 gennaio.

Successivamente diversi politici e ancora cittadini comuni hanno parlato della proliferazione indiscriminata della vendita delle armi senza nessun controllo, una piaga che ancora tormenta il paese e non accenna a diminuire. Il dolore dei familiari di alcune di queste vittime è stato palpabile e la volontà di cambiare e di agire per contrastare questa triste realtà, ferme.

Gabrielle Gifford ex deputata della House dell’Arizona ferita da un proiettile che le ha sfiorato il cervello nel 2011 e sopravvissuta dopo innumerevoli operazioni e una lunghissima riabilitazione, ha parlato della sicurezza che Harris assicurerà sotto questo profilo.

Pink ha infine cantato “What about us” pezzo di protesta che parla dei cittadini che si sentono abbandonati e dimenticati da chi è in politica, da chi non sente la loro voce e non si occupa dei loro problemi.

È poi stata la volta dei reduci delle guerre magnificati dal falco Leon Panetta ex Ministro della Difesa sotto la presidenza Obama che ha rivendicato l’uccisione di Osama bin Laden come badge of honor e dal senatore dell’Arizona Ruben Gallego che ha fatto salire sul palco tutti i reduci eletti in office.

Poi c’è stato ancora un repubblicano Adam Kinzinger, membro della commissione che ha indagato sui fatti del 6 gennaio insieme a Liz Cheney, che ha rivendicato il patriottismo dei democratici nei confronti dei repubblicani che invece lo considerano una loro proprietà. Ha accusato Trump di soffocare la vera anima dei repubblicani e ha sferrato poi un affondo quando lo ha accusato di tradire i valori e i principi del paese e di non essere adatto a guidare la nazione. Pertanto ha dichiarato che voterà per Kamala Harris, invitando i repubblicani a fare altrettanto votando per la persona giusta.

Questa mi è sembrata una Convention in cui molti cittadini comuni hanno preso la parola e hanno espresso le loro opinioni. raccontando in prima persona la loro condizione e i problemi della loro vita, diversamente da altre in passato.

Infine è arrivata Kamala Harris splendente in un elegantissimo completo scuro e con un sorriso smagliante. Ha iniziato salutando e ringraziando tutti a cominciare dal marito, seguito da Joe Biden a cui va tutta la sua gratitudine e immediatamente dal suo vicepresidente che ha chiamato Coach Tim Walz. Ha poi ringraziato la madre deceduta che è emigrata dall’India. Ha raccontato la storia della sua famiglia che si è spostata in diversi stati del paese fino a che i genitori si sono separati e la madre ha cresciuto da sola lei e sua sorella, inculcando loro il senso della solidarietà e del bene comune, senza lamentarsi. Ma invece l’ha incoraggiata ad agire per risolvere i problemi. Ha parlato poi della scelta di studiare legge e di agire per la gente. Il suo nome in tribunale era infatti Kamala Harris for the people. Ha poi accettato la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti affermando che unificherà il paese e sarà la presidente di tutti. Ha poi detto che in questi anni di vicepresidenza si è battuta per gli studenti, per i reduci, per i lavoratori, per gli anziani, per assicurare i confini del paese contro il traffico di armi e di esseri umani. “Queste elezioni saranno dure – ha detto – e noi siamo sottostimati, ma vale sempre la pena di lottare per il futuro. Queste elezioni non solo sono importanti per il momento che viviamo, ma per la salvaguardia della nazione, minacciata da un personaggio come Trump che ha cercato di ribaltare il risultato democratico delle elezioni con la violenza. Noi perseguiremo un futuro per tutti senza le minacce che invece Trump sta portando avanti”. Ha poi parlato della protezione delle pensioni sociali, dell’assistenza medica per gli ultrasessantacinquenni, della difesa del ministero della Pubblica Istruzione e dell’assistenza sanitaria della Obama care. Ha accusato Trump di rivendicare l‘eliminazione dell‘aborto e di avere fatto in modo che la Corte Suprema abolisse il diritto delle donne a decidere sul proprio corpo. Ha inoltre parlato della creazione – da parte di Trump – di un’istituzione nazionale antiabortista dedicata a chi infrange questa legge. Harris ha definito chi vuole istituire questi provvedimenti come “fuori di testa”. Ha parlato della volontà di far passare la legge di John Lewia sulla protezione del diritto al voto. E inoltre di quella stessa legge bipartisan che è stata fatta respingere da Trump e dai suoi alleati in Parlamento sulla protezione dei confini. Ha promesso di riportarla in auge e farla firmare. Ha detto inoltre che Trump ha parlato di abbandonare la Nato e incoraggiato Putin a invadere l’Ucraina. Harris ha promesso invece per parte sua di stare al fianco degli alleati e di non tollerare nessun tipo di dittatore o autocrate, ma di difendere a spada tratta ogni democrazia.

Per quanto riguarda il Medioriente e Gaza ha detto che “Certo bisogna riportare gli ostaggi a casa e difendere Israele, ma quello che è successo a Gaza è devastante: la morte e la distruzione di centinaia di migliaia di vite non è tollerabile. Ai palestinesi va restituita la salvaguardia e la dignità delle loro vite assieme al diritto all’autodeterminazione”. Un applauso a quel punto si è levato dalla sala e la gente si è alzata in piedi.

In conclusione citando la madre ha detto “Scegli tu quello che sei, non ti far dire da nessuno chi sei” dimostrandolo con le azioni. Infine ha chiuso il suo discorso dicendo che “siamo gli eredi della democrazia più grande del mondo e dobbiamo continuare a fare quello che generazioni prima di noi ci hanno lasciato, passandoci il testimone, guidati dall’ottimismo e dalla volontà di lottare per difendere il privilegio di essere quello che siamo”.


La fotografia accanto al titolo è di Paul Sancya, AP.

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