Anna Camaiti Hostert
Cartolina da Chicago

L’America plurale

Parlando di solidarietà e pluralismo, Bill Clinton infiamma la Convention che incorona il candidato vicepresidente Tim Walz. Fuori, invece, i cosiddetti "pro-palestinesi" infiammano Chicago

Prima di entrare nel vivo del programma di stasera, è importare rendere conto delle proteste che si sono svolte ieri di fronte al Consolato israeliano in Madison Street fuori della Convention e hanno provocato ieri sera 56 arresti, inclusi tre giornalisti. A differenza degli altri giorni in cui tutte le proteste sono state pacifiche, Behind Enemy Lines, un gruppo propalestinese con circa 200 persone ha iniziato una marcia che si è conclusa con il rogo delle bandiere americane. Le accuse su chi ha iniziato le violenze rimbalzano tra polizia e manifestanti. La polizia ha accusato coloro che protestavano di essere violenti a differenza di altri gruppi, mentre i dimostranti hanno affermato il contrario. Alcuni di loro e alcuni poliziotti sono stati trasportati all’ospedale con traumi di lieve entità e altri sono stati arrestati. Michael Boyte di Behind Enemy Lines ha accusato la polizia di violenza e ha affermato che il gruppo rimarrà al di fuori del carcere dove i sono rinchiusi gli arrestati, assicurando loro tutto quello che è necessario: da una tazza di caffe agli avvocati dopo la brutale esperienza che hanno vissuto. Il gruppo richiede all’amministrazione Biden di fermare quello che vien definito “il genocidio di Gaza”, interrompendo gli aiuti a Israele.

I poliziotti in tenuta da sommossa sono intervenuti alle 19,30 di martedì sera e hanno requisito i pali dove erano infilate le bandiere americane, prima che fossero bruciate, per paura che potessero essere usati come armi da offesa. Nel fare questo c’è stato un confronto fisico con i manifestanti a cui sono seguiti fermi e arresti di persone che volevano entrare tra le strade di Clinton e Madison, proibite all’accesso. Più tardi una manifestazione a favore di Israele è apparsa tra le strade di Madison e Canal Street e dunque tra di loro e i gruppi pro-palestinesi c’era in mezzo solo il cordone della polizia a separarli. Non ci sono stati scontri tra gruppi diversi, ma dopo che la manifestazione si è sciolta, alcuni giovani si sono lasciati andare ad atti di vandalismo e violenza per esprimere – hanno detto – la frustrazione di non essere stati ascoltati minimamente. Solo nello spettacolo serale della CBS di Stephen Colbert che ospitava Nancy Pelosi lo showman ha permesso loro di parlare, rivolgendo domande alla speaker della House of Representatives.

Alla Convention, comunque, è stata una giornata piena di interventi diversi e significativi. All’inizio sono intervenuti diversi repubblicani che hanno parlato del pericolo che Donald Trump rappresenta per la democrazia, pericolo confermato dall’avere vissuto in prima persona il terrore che ha creato quando era alla Casa Bianca. Geoff Duncan ex vicegovernatore della Georgia ha affermato che votare Kamala Harris oggi non significa “essere semplicemente un democratico, significa essere un patriota”.

Dopo il suo intervento sono state mostrate immagini del tentativo, istigato da Trump, di colpo di stato del 6 gennaio 2021 che non si erano mai viste prima; successivamente è intervenuto Aquilino Gonell un poliziotto emigrato dalla repubblica dominicana, ferito durante quei disordini. Ha parlato dei suoi colleghi che sono morti durante quelle violenze e ha invitato a votare per la senatrice californiana.

Poi è apparso Stevie Wonder che prima di cantare ha fatto un breve discorso di incoraggiamento a superare il momento difficile. “Questo è un momento da ricordare nella storia – ha detto – dobbiamo avere la forza di scegliere e il coraggio di agire: scegliere la gioia sulla rabbia, la pace sulla guerra, camminare su un terreno più alto”. E poi ha presentato un piccolo show, cantando, circondato da un gruppo di musicisti e di ballerini.

Poi è stata la volta dell’attore comico Kennan Thompson che è una star del famoso programma satirico Saturday Night Live che è apparso con il progetto trumpiano per il 2025 con l’eradicazione di molti obiettivi realizzati dall’amministrazione Biden. Tra di essi c’è l’eliminazione dell’abbassamento del prezzo dell’insulina per i diabetici e quella degli aiuti alla comunità LGBTQ+. Poi in programma c’è ancora la chiusura delle cliniche della fertilità e quella del dipartimento della pubblica istruzione. Per ognuno di questi temi Thompson ha fatto parlare una persona che sarebbe danneggiata dalle decisioni di Donald Trump.

Bill Clinton ha esordito chiedendo ai presenti se non sono fieri di essere democratici di questi tempi e ha parlato degli Obama, di Hillary e di Biden, ma anche dei molti giovani che adesso sono presenti nel partito. Biden – ha detto Clinton – ha migliorato le nostre vite; dopo si è dimesso e facendo ciò si e assicurato la sua eredità. L’ha ringraziato per tutto. Clinton ha fatto un discorso non solo ai democratici presenti, ma a tutti coloro che lo stavano ascoltando: agli indecisi, agli indipendenti. Ha detto scherzando che oggi ha compiuto 78 anni, ma che si sente comunque molto più giovane di Donald Trump. Ha fatto alcune domande su cosa un presidente dovrebbe fare, affermando che la gente che da’ il mandato al presidente sceglie i requisiti ogni quattro anni e li deve anche aggiustare a seconda dei tempi. Implicitamente facendo un discorso sulla democrazia, su quello che dovrebbe fare un presidente rispetto ai sogni, alle paure e all’instabilità dei cittadini che amministra. Dovrebbe cercare di realizzare i primi, eliminare le seconde e raggiungere un equilibrio sociale. Ha ricordato che Harris da quando lavorava da McDonald e diceva “How may I help you?” non ha mai smesso di chiedere la stessa cosa. E ora per lei è il momento di portarla al compimento più alto.

E poi ha parlato dell’egocentrismo di Donald Trump del numero di volte che ripete il pronome “I” e ha affermato che quando ci sarà Kamala Harris sarà trasformato in “You”. Ha continuato con gli ultimi successi portati a compimento dai democratici rispetto ai repubblicani nei confronti delle classi meno abbienti: dal prezzo dell’insulina all‘aumento del salario minimo. Anche Clinton ha parlato della speranza che Harris infonderà in un paese fiaccato da una retorica demagogica e negativa e da una propagando di violenza che incoraggia l’acquisto delle armi. “Quando usciremo di qui ci sentiremo bene, perché ci sembrerà di avere conquistato un punto importante, di marciare in avanti, ma il lavoro di fronte a noi è ancora molto duro e lungo”. Ha poi continuato a parlare di “We the people” con un pronome sempre al plurale. Ha inoltre magnificato il fatto che Harris proteggerà il diritto al voto di chiunque anche di quelli che non votano per lei. “Abbiamo un lavoro duro di fronte a noi” ha detto e ha affermato che bisogna passare molto tempo nelle aeree rurali, nei sobborghi sperduti, nelle zone più isolate e desolate. “Se voterete per questo team sarete fieri di questo per tutta la vita, perché abbiamo bisogno di Kamala Harris come “presidente della gioia!”

I discorsi che si sono succeduti ha messo l’accento sulla salvaguardia della democrazia e della libertà nel paese. Nancy Pelosi in un brevissimo discorso ha ricordato il 6 gennaio, parlando di una violenza inaudita, di insurrezione nei confronti dei poteri dello stato da parte di un presidente degli Stati Uniti. “Noi abbiamo salvato la democrazia in quel giorno, grazie alla maggioranza democratica alla House – ha detto. E oggi dobbiamo difenderla contro l’autocrazia di Trump”. Successivamente è stata la volta dell’astro nascente del partito, il governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, che ha incentrato il suo discorso sulla libertà, accusando Trump di volerne amputare le ali, decidendo sul corpo delle donne e sui libri che gli studenti devono leggere a scuola.

Enorme appaluso ha accompagnato l’entrata in scena di Oprah Winfrey, giornalista e star dello spettacolo che ha esordito dicendo di avere ascoltato gli Obama la sera precedente: “è stato eccezionale, è stato un fuoco epico, hanno infuso in tutti un nuovo entusiasmo, Non vediamo l’ora di metterci al lavoro!”. Anche Oprah ha parlato di libertà, parlando delle divisioni istillate da Trump proprio per conquistare coloro che sono divisi. Ha ricordato il grande John Lewis campione dei diritti civili “che ci ha fatto arrivare dove siamo adesso e che ci rammenta che la liberta è, come l’America, uno work in progress. È fatta di lavoro quotidiano duro e continuo e va preservata”. Dopo avere lodato la sua “dolce” Chicago, ha parlato di avere esperito questa lotta giornaliera contro il razzismo, la povertà, la misoginia in molti stati del paese e contro tutti coloro che vogliono bullizzare gli altri, con chiaro riferimento a Donald Trump. Ma ha anche detto che caratteristica degli americani è la solidarietà che supera la diversità delle opinioni e delle divisioni. Questi sono tempi complicati che vanno al di là dei tweet e dei patetici commenti. Poi ha parlato dell’importanza dell’autonomia di scelta sul proprio corpo che ognuno deve avere; senza di essa il sogno americano non esiste. Inoltre ha ricordato il sacrifico di una giovane nera che negli anni della segregazione ha permesso ad altre con la sua perseveranza, di potere adire alla scuola pubblica appena desegregata. Oprah le ha reso omaggio perché questa donna è scomparsa sei settimane fa. Poi ha infiammato gli animi dicendo che i valori e la decenza devono avere la precedenza in vista del futuro. Trump ha detto che si dovrà votare una volta e poi non ci sarà più bisogno di farlo-  ha ricordato Oprah- cosa che la fa inorridire perché essere americani significa avere la possibilità di scelta.  “Value and character” hanno la precedenza nella leadership e nella vita e la decenza e il rispetto sono sulla scheda di queste votazioni ha detto infine, pregando di giurare fedeltà alla costituzione e non a un individuo. Dunque facciamo prevalere la gioia e la libertà sul ritorno a un passato oscuro e pieno di insidie. Queste elezioni devono dare la precedenza al buon senso nei confronti del nonsense di chi non crede nella libertà e nella democrazia.

Pete Buttigieg ministro delle infrastrutture nell’amministrazione Biden, da figlio di un grande studioso di Gramsci, ha parlato dell’importanza della politica e degli obiettivi che può far raggiungere creando rapporti interpersonali tra gli individui. Ha affermato che bisogna uscire dal buio in cui ci ha portato Trump e uscire alla luce votando il duo Harris-Walz alla Casa Bianca.

Dopo l’intermezzo canoro del mitico John Legend è stata la volta del candidato vicepresidente Tim Walz che ha esordito parlando della gioia che in questo momento è presente nel partito. “Everybody belongs” ha detto, facendo leva sul senso di appartenenza di ognuno di noi alla comunità circostante, al proprio vicinato, all’obiettivo generale della realizzazione del bene comune, non del proprio utile particulare. Quando Walz ha parlato dell’affetto verso la propria famiglia, la cui figlia è nata grazie al trattamento delle cliniche della fertilità, (che Trump vorrebbe eliminare) e che per questo si chiama Hope, il figlio si è alzato piangendo a dirotto e applaudendo il padre. Walz ha poi parlato del controllo sull’acquisto delle armi, soprattutto riguardo ai giovani. Si è poi riferito al programma di Trump e Vance che vogliono restringere tutte le conquiste sociali dalla pensione sociale (il Social Security) all’assistenza medica agli ultrasessantacinquenni I Medicare), al calmieramento del prezzo dei farmaci. Ha parlato del programma di Kamala Harris nei confronti della middle class con il taglio delle tasse e del prezzo dei farmaci. “Adesso e il momento di andare in trincea e lottare” ha detto. Obiettivi di questa amministrazione saranno la sanita, gli alloggi e la scuola. E ha concluso lanciando lo slogan dell’inizio: “When we fight, we win”.

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