Every beat of my life
Nitide e bianche contro la morte
I versi di Giovanni Piccioni, scomparso da pochi giorni, hanno «la grazia della visione naturale, dello stupore che osserva il mondo, in assoluta trasparenza». Benché il suo viaggio terrestre sia stato di «solitudine e oblio, poi di attesa toccata da speranza»
Incantesimo e incanto, dopo un viaggio purgatoriale e breve, un’esperienza prima di solitudine e oblio, poi di attesa toccata da speranza, in una semplice gita. In luogo non esotico: in questi versi, sulla scia di Campana, il poeta vive un viaggio metafisico in un paesaggio consueto, mura e campagne e un lago non distanti, ma resi assoluti dall’incantesimo doloroso che il poeta suscita, scoprendolo.
Mi pareva arduo proporvi questo capitolo di Every beat of my heart con i versi di un poeta amico, scomparso, da pochi giorni, sulle pagine della rivista della mia amica Gloria, sua sorella. Eppure, mentre invio questi intensissimi versi e il mio breve accompagnamento (la poesia non si commenta mai, a mio parere, la si accompagna), sento in questa situazione qualcosa di consolante. Non è affatto errato pensare che la poesia consoli: combatte con gli affanni, resiste, con forza e dolcezza.
Questi versi sono tratti dal libro scritto dopo la morte del padre, Leone, e confermano quanto scrissi del poeta introducendo la sua prima raccolta, anni orsono: affermavo che quel piccolo libro aveva la grazia della visione naturale, dello stupore che osserva il mondo, in assoluta trasparenza. Le cose emergono aggiungevo, come un’isola di una lirica del libro, «nitide e bianche contro la morte», come un tentativo di salvarci dal dolore della realtà del mondo. Anche ora, in questo ultimo libro, trovo quell’espressività sofferta e lancinante che fa pensare all’irraggiungibile Campana, come scrissi allora, e confermano come la poesia di Giovanni Piccioni sia un fuoco, non fiammante, che brucia anche non visto.
Arrivai nel grigio della bruma
e mi sentii sospeso sopra al lago:
rari i passanti, gelido il paese.
Con il vuoto come compagno
costeggiai alte mura
e giunsi alla fortezza,
residuo di guerre combattute.
Dopo cercai legna da ardere per la casa.
Poi, come dopo un sogno infranto,
con la mia vera voce dissi:
«ho dentro di me qualcosa
che supera la possibilità di essere espresso».
Venne una luce che diradò la nebbia,
e mi chiesi se mai nascerà un fiume quassù,
se un giorno ascolterò il canto delle sirene del lago
dove una volta era la città.
Giovanni Piccioni
Da Luci da un mare notturno (Effigie)