Giuliano Compagno
Suggestioni Olimpiche

La corsa di Colette

In vista delle Olimpiadi parigine, la memoria va subito a un'atleta bella e atipica: Colette Besson, che vinse i 400 di corsa a Mexico City nel 1968. Il suo era un altro modo di concepire lo sport...

«Complimenti signorina per la sua vittoria, per il modo in cui l’ha ottenuta, per il modo in cui l’ha vissuta». Questo breve messaggio manoscritto, timbrato 21 ottobre 1968, portava la firma di Georges Pompidou, proprio in quei giorni sottoposto a un attacco personale e politico orchestrato da elementi gaullisti vicini ai servizi segreti. L’anno seguente si compirà la sua rivincita storica: verrà eletto Presidente della Repubblica, sicché quel suo biglietto di congratulazioni diventerà ancora più prezioso tra le mani di Colette Besson.

Mi ero addormentato con il timore di non trovare un mio ricordo come segno di saluto inaugurale alle Olimpiadi parigine, e invece appena sveglio mi è apparso il volto di Colette. Sono riandato a quella sera del 16 ottobre, con la Rai collegata in diretta e la finale dei 400 femminili. Avevo domandato ai miei il permesso di farmela seguire, benché fosse tardi, perché avevo visto una fotografia di Colette su un quotidiano sportivo, ed era proprio bella. La vidi correre ed era bellissima.

Ho appena rivisto quella gara, e la giovane francese entrare nell’ultimo rettilineo in quinta posizione, con un distacco enorme rispetto a Lillian Board, che era nettamente favorita. Besson fu protagonista di una rimonta impensabile e sorpassò l’inglese sul filo di lana per un decimo di secondo. Da quell’istante diventa un’icona di Francia. Alla stazione di Bordeaux, di ritorno dal Messico, sono migliaia i francesi ad accoglierla. Sta lì, affacciata dalla carrozza prima di scendere, con un grande mazzo di fiori che stringe al petto, sta lì e sorride per quanto è sorpresa. Al massimo si sarebbe aspettata qualche parente in più, non certo mezza Aquitania, e per l’imbarazzo non vede l’ora di tornare nella casa di Saint-Georges-de-Didonne ad abbracciare le amiche e magari il suo ragazzo. Invece giornali e televisione la braccano mattina e sera, vogliono sapere il segreto di quella miracolosa rimonta. Lei si mostra disponibile senza che mai, dall’espressione, trapeli la minima boria per quella medaglia d’oro che porta al collo sempre più volentieri, come una bambina. «No, io non pensavo di vincere ma ai 300 metri mi sono detta, perché no? Stai bene, allora continua, vai… ed è andata com’è andata».

Qualche tempo dopo, a chi le domandava quale segreto vi fosse stato dietro quel giro di pista, Colette rispose con un argomento abbastanza stupefacente. Il merito di quell’impresa, tutto sommato, lo attribuiva al ‘68, alle continue manifestazioni e allo sciopero generale che aveva paralizzato la Francia. Lei che insegnava educazione fisica praticamente non aveva nulla da fare, e così aveva scelto di impiegare il tempo libero allenandosi nella regione dei Pirenei, a un’altitudine compatibile con lo stadio di Città del Messico. «Prima di sistemarmi ai blocchi, osservavo le altre atlete e mi sembrava respirassero a fatica, come a cercare ossigeno da qualche parte. Io mi sentivo benissimo».

Era fatta così la Fiancée de France, incarnava un animo semplice e allo stesso tempo rivelava una sensibilità spontanea e veritiera. Era una ragazza francese, nata libera, nulla a che vedere con le femministe della sua generazione. Era, Colette, una giovane donna dalla personalità spiccata, che sapeva già distinguere tra sport e vita, tra virtù e valori. Tant’è che dopo l’oro di Messico nulla sarebbe cambiato nella sua graduatoria di principi e di ambizioni. Gli uni e le altre avrebbero conservato il loro podio. E così, quella ragazza corse qualche anno ancora e conquistò altre medaglie; nel 1977 decise di ritirarsi dall’agonismo e di sposare Jean-Paul Noguès, allenatore della nazionale togolese di atletica. I due vissero a Lomé per qualche anno ed ebbero due figlie: Sandrine e Stéphanie. Rientrata in Francia, riprese a insegnare e dedicò il suo impegno civile a una lotta assai coraggiosa contro il doping. La vita non fu riconoscente nei confronti della sua generosità, e nemmeno sessantenne Colette Besson venne a mancare.

Qualche mese fa un ricordo di lei, tra i più belli, lo aveva scritto François Hollande, un altro Presidente della Repubblica: «I primi giochi olimpici che segnarono la mia infanzia furono quelli del 1968. Per via dell’altitudine eravamo tutti convinti che la Francia avrebbe avuto ben poche occasioni di conquistare delle medaglie. Ma quando alla televisione potei assistere alla vittoria di Colette Besson, provai una grande felicità. Quella donna aveva dato prova di una grande energia. Si era isolata a Font-Romeu. Aveva portato con sé una tenda dove accamparsi e allenarsi, benché fosse esclusa dai favori del pronostico. L’atletica leggera è davvero meravigliosa e la vittoria di Colette Besson divenne un simbolo. Era stata una delle prime donne francesi a vincere una medaglia d’oro. Nessuno se l’aspettava, tra l’altro. E così per la prima volta, grazie a lei, veniva consacrata una campionessa e la sua medaglia giudicata un alto merito sportivo».

La memoria, improvvisa e inattesa, mi ha dunque suggerito di dedicare questa prima giornata dei giochi olimpici a una mezzofondista francese che mi piaceva tanto. Sono persino andato a cercare la sua figurina di un album della Panini e l’ho trovata. D’altronde Colette non ha rappresentato soltanto il rigore atletico e l’etica sportiva ma soprattutto la libertà e la presenza che mi hanno da sempre fatto amare la società e la cultura francesi. Giusto un secolo fa Parigi ospitava i settimi giochi olimpici moderni e in quell’occasione, per la prima volta, la grande capitale aveva alloggiato gli atleti in un villaggio comune. Per molti versi quelle erano state le prime olimpiadi del ‘900, e la Francia del XX secolo sarebbe divenuta la nazione guida della cultura, delle lettere e delle arti europee.

Forse farei bene a elencare quella dozzina di nomi, tra molti altri, che hanno illustrato un’epoca ormai terminata. A mia volta non suonerebbe particolarmente originale dichiararmi quale persona che tuttora si emoziona quando torna al secolo scorso. E allora sì… dedico la mia modesta memoria francese a coloro che hanno partecipato e vinto, per quel che posso capirne tra studiati, letti e conosciuti: dedicata a Marguerite Yourcenar, a Jean Renoir, a Georges Bataille, a François Truffaut, a Jean-Pierre Vernant, a Brigitte Bardot, a Jean-Claude Killy, a Jules Maigret, a Pierre Drieu La Rochelle, a Georges Perec, a Jean Baudrillard, a Pierre Klossowski, a Raymond Queneau, a Edgar Morin, a Coco Chanel, a Louis Aragon… e a Pierre de Coubertin, ça va sans dire

E a te mando un bacio, dolce Colette.

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