Roberta Passaghe
A proposito de "Il peggiore"

Colpa della memoria

Il nuovo romanzo di Gianni Usai, utilizzando un piccolo trucco fantascientifico, analizza i ricordi e le ragioni di vita di una "pessima" persona

Che cosa deve accadere, e di tremendo si suppone, affinché la nomea di “peggiore” sia ben meritata? Lo si dirà fin da subito: il titolo è ingannevole; Corrado Gremioli, protagonista del più recente romanzo di Gianni Usai, Il peggiore (Il Maestrale, 288 pagine, 20 euro) per l’appunto, è senza troppi giri di parole, uno stronzo baciato dalla fortuna – un caso (e sul ruolo del caso in questo lavoro ci sarebbe molto su cui soffermarsi) a metà tra il fortuito e il provvidenziale lo avvia a una riuscita e remunerativa professione di fotografo – ma non è, forse, così stronzo da essere “il peggiore”. Arrivista e opportunista, privo di tatto, devoto all’unica religione del sé, misogino se vogliamo (come mera conseguenza dell’avere un ego ipertrofico) e menefreghista: non un santo, ma nemmeno degno dell’epiteto del titolo.

A essere malfidati, poi, verrebbe da chiedersi anche cosa ci sia di non ancora visto tra queste pagine. Apparirà banale ma, al solito, la differenza non sta nel cosa ma nel come. Partiamo dal presupposto che, seppur il ritratto di Corrado non si connoti per spiccata novità, l’evoluzione della storia non è un cosa scontato in toto: in un futuro non troppo improbabile e alla Black Mirror, serie tv britannica distopica e controversa, è possibile leggere la memoria delle persone. Le autorità sfruttano la nuova tecnologia per stabilire chi può avere accesso a eventuali cure e chi no: è così che conosciamo la storia del peggiore, di cui, dal profondo di un coma farmacologico, vengono estratti e trascritti, dando corpo al romanzo, i ricordi. Benché non stia qui il centro nevralgico dell’opera, è spontaneo interrogarsi sulle sorti del fotografo, ovvero: la sua vita, vista attraverso la lente deformante delle suddette autorità, lo renderà adatto ai trattamenti medici di cui ha bisogno? Usai non si limita a creare una tensione basata sull’incerto esito del ricovero ospedaliero, ma fa sì che a stabilire sul serio chi è Corrado, questo sì centro nevralgico dell’opera, sia il lettore. Si è chiamati a emettere giudizi in un contesto che invoglia, tentazione disseminata ad hoc, a sentirsi superiori. Ciò non esclude che col personaggio ci si possa immedesimare, possibilità non priva di amare ricadute perché, come nei lavori di buona fattura, non ci sono soluzioni ovvie.

L’autore, e arriviamo al come, ha architettato per il suo pubblico un riuscito gioco di dilemmi supportato da una lingua dall’andatura tradizionale: la medietà, e già si è sottolineato in altre occasioni, è un ottimo mezzo per restituire in maniera credibile vicende che del tutto credibili non sarebbero. Quando lo stile è ragionato assiste la finzione e facilita la riuscita del testo, e infatti la struttura piana non fa che esaltare le idiosincrasie di Corrado con un accento marcato sulle manchevolezze di cui è reo. È vero, non è una figura di cattivo innovativa ma la sua costruzione, priva dell’aspetto della redenzione se non per un vago accenno sul finale, è calibrata su toni così profondamente umani che, ci accorgiamo non senza un certo terrore, ci parlano da vicino. Resta da sottolineare, senza dare rivelazioni indesiderate sulla trama, che Usai è abilissimo a gestire l’elemento sorpresa: nel voltare la pagina finale, si ha la sensazione di essere stati beffati grazie a un impianto narrativo impostato sull’imprevedibilità delle traversie di ognuno di noi.


La fotografia accanto al titolo è di Tiziana Cavallo.

Facebooktwitterlinkedin