Roberto Cavallini
Ai vecchi "Grattacieli" di Roma

Er Pecetto e Pasolini

Le vecchie borgate romane, l'amicizia con Pasolini, la poesia, la pittura, incontro con Silvio Parrello, "Er Pecetto" di “Ragazzi di vita“: la vita è una battaglia, non bisogna smettere di combattere

«Io, una volta, ci feci a botte con i “grattacielini”, avrò frequentato la quarta o la quinta elementare alla “Franceschi”, mentre tornavo a casa, su per via Ozanam, con un compagno di classe, a pochi metri da qui all’altezza del monte Splendore dove c’è ora la scuola Fabrizio De André. Arrivarono due ragazzini che neanche finirono di strillare a “monteverdini” che iniziò la “Sfida all’OK Corral” roba da western al cinema Delle Terrazze, ma dopo tre cartellate e un paio di rotolamenti a terra eravamo soddisfatti del duello e… tutti a casa per pranzo». «Beh erano famose pure le sassaiole perché noi “grattacielini” eravamo i poveri e voi “monteverdini” i ricchi».

Incontro Silvio Parrello, “er Pecetto”, nel suo studio d’artista, salotto, rifugio, punto di riferimento pasoliniano, Lo Scrittoio, in via Federico Ozanam 134, ai “Grattacieli” di Donna Olimpia.

“I Grattacieli” sono tre isolati di case “popolarissime”, convenzionate con l’allora Istituto Case Popolari, ognuno con una sua fisionomia urbanistica ed architettonica distinta, edificati ai margini della città, come altre borgate nei primi Anni Trenta. La zona fu scelta per il suo basso costo, vista l’insalubrità dell’area per la presenza sia di un corso d’acqua, il fosso dei Tiradiavoli proveniente da villa Pamphili che sfociava nel Tevere all’altezza di piazzale Meucci, poi coperto per costruire via Donna Olimpia, sia per la presenza dalla fabbrica Ferro-Betòn, ricordata come Ferrobedò in Ragazzi di vita da Pasolini.

“I Grattacieli” furono costruiti per accogliere la popolazione ormai senza alloggio per la demolizione di alcune case medievali nella parte di Trastevere più addossata al fiume, di qualche edificio intorno al Campidoglio e in maggior misura dall’abbattimento nel 1936 dalla cosiddetta “Spina di Borgo”.

Nel 1930/32 fu terminato il gruppo di palazzi Pamphili I, in via Donna Olimpia n.30, nel 1939 fu terminato il complesso Pamphili II, in piazza Donna Olimpia n.5. Le ultime costruzioni in via di Donna Olimpia al civico 56, di fronte alla scuola Franceschi furono terminate i primi anni cinquanta dopo l’occupazione da parte delle famiglie evacuate dalla scuola “Franceschi”, che aveva subito un crollo.

Silvio Parrello, “Er Pecetto” ancora abita lì.

Se Silvio Parrello è una persona, “er Pecetto” è un personaggio. Questo soprannome a Silvio è rimasto attaccato come una seconda pelle, definendone una nuova e forse la sua autentica identità ed in qualche modo determinandone una missione di vita.

Le ragioni sono principalmente due: la prima è perché suo padre era soprannominato “er Pecione“, un calzolaio che riparava le suole delle scarpe utilizzando la pece e la seconda ragione è determinata dall’incontro e la frequentazione di Silvio con Pasolini che oltretutto in Ragazzi di vita (1955) lo cita espressamente. «Er Pecetto insieme al Riccetto, ar Monnezza, allo Spudorato, al Ciccione e a Pallante erano impegnati a fare i bagno e i tuffi a Tevere».

Ma andiamo per ordine.

Quando sei nato?

Sono nato a Roma il 13 gennaio 1943.

Sei nato qui a Donna Olimpia?

No, sono nato al Pigneto, a Donna Olimpia sono arrivato nel ’48 con la famiglia perché la palazzina dove abitavamo, in seguito al bombardamento del 19 luglio del 43, rimase lesionata e col tempo la situazione peggiorò fino a che divenne pericolante e così ci mandarono qui nei locali della scuola “Giorgio Franceschi”, insieme ad altre famiglie di sfollati, bombardati, di tutto e di più!

Quindi non hai abitato subito alle case popolari, i cosiddetti “Grattacieli”.

No alle case popolari andai ad abitare dopo il crollo della scuola “Franceschi” il 17 marzo del’51, la sera stessa i capifamiglia si riunirono e decisero di invadere il palazzo di fronte alla scuola, in fase di completamento, proprio in via di Donna Olimpia al numero 56. All’occupazione seguì una fase di regolarizzazione, per cui un gruppo di famiglie fu mandato al Tuscolano, un’altro a Tor Marancia e noi, come altre famiglie, rimanemmo qui, dove sono rimasto io.

Dove sei andato scuola, visto che la “Franceschi” aveva subito il crollo?

Sono andato alla “24 Maggio” che stava in un vicoletto, il Bottazzi, dietro i grattacieli del 30 e ho frequentato fino alla quinta elementare.

Dove svolgeva tuo padre il suo lavoro di calzolaio?

Mio padre aveva il suo laboratorio in una baracca alla fine dei grattacieli di via donna Olimpia 30, poi riuscì ad ottenere questo locale dove siamo adesso e dopo che andò in pensione il locale è passato a me ed io qui dipingo e scrivo. In pratica ci sto dall’83.

Tua madre lavorava?
Collaborava con mio padre.

I tuoi compagni di classe erano anche i tuoi amici?

Eravamo tutti amici, qui.

Eravate i famosi “Ragazzi di vita”.
Sicuro!

Quando avete incontrato Pasolini?

Mi ricordo che la prima volta che lo vidi fu al campetto di pallone sotto al monte Splendore, dove c’è ora la scuola “De André”. Stava in giro con due libri sotto braccio, ma quando ci vide li posò, si arrotolò i calzoni e si mise a giocare con noi. Già abitava a via Fonteiana n.86, ci venne nel 1954, a due-trecento metri da qui, in salita, verso Monteverde Vecchio. Donna Olimpia è in fondo ad una gola, simbolicamente il confine tra Monteverde vecchio e nuovo.

Pasolini parlava con voi o si limitava a giocare?

Lui parlava con tutti, pure con i bambini di tre o quattro anni. Lui era un pedagogo e poi occorre considerare che stava scrivendo Ragazzi di vita e da noi cercava di attingere notizie, informazioni. Ci chiedeva come stavamo in famiglia, che lavoro facevano i nostri genitori. Ogni tanto ci leggeva anche qualche cosa, ma noi non eravamo molto interessati, eravamo ragazzini. Quegli incontri non si risolvevano solo con quattro calci al pallone e della generosità di Pasolini, poco se ne è parlato. Ad esempio dopo che Fellini gli regalò la “Seicento” per la collaborazione alla sceneggiatura a Le notti di Cabiria, Pier Paolo veniva a giocare a pallone in macchina e lasciava le portiere aperte dove nelle tasche lasciava qualche spiccio per noi, “ragazzi di vita” che poi ci saremmo, magari, andati a comperare un gelato.

Ma c’è un fatto che mi riguarda personalmente. Una mattina mia madre scendeva giù, per via Ozanam, da piazza San Giovanni di Dio, Pier Paolo stava alla fontanella in prossimità del campetto, la riconobbe, le andò incontro e le regalò diecimila lire. Alla vista della banconota mia madre quasi si sturbò, perché all’epoca gli insegnanti guadagnavano 27.000 lire al mese.

Come giustificò questo regalo?

Il rapporto tra la mia famiglia e Pasolini si stabilì dopo ad una partita di pallone durante la quale a Pier Paolo si staccò la suola della scarpa; allora Giovanni “lo Sfregiato” gli consigliò di andare dal “sor Peppino” che gliela avrebbe riparata. Durante la riparazione i due si misero a parlare e mio padre gli raccontò che era stato un perseguitato politico e confinato ben cinque anni a Ventotene, insieme a Sandro Pertini. Da lì nacque la loro amicizia e siccome mia madre lavorava con mio padre… ecco come si conobbero tutti.

Tuo padre frequentava la sede del PCI che stava qui a i “Grattacieli” del 5?

Sia mio padre, che mia madre.

Fino al ’60 via di Donna Olimpia mi pareva fosse poco più di un viottolo, guardando dalla finestra di classe e a Ponte Bianco si arrivava con difficoltà.

Era asfaltata, ma era stretta, allora eravamo ancora una zona considerata balorda come San Basilio, se un parente doveva prendere un taxi per venire a trovarci in quartiere, il tassista si fermava a ponte Bianco o a piazza San Giovanni di Dio.

Hai proseguito lattività di tuo padre? Quali sono stati i tuoi lavori. Visto che oggi ti occupi di tutt’altro.

Il mio primo lavoro fu quello del garzone in una bottega di vini e oli, per pochi mesi, poi andai a lavorare con mio padre e imparai anche a fare le scarpe su misura, lavorai anche con mio fratello nell’edilizia e feci il pittore edile, poi cominciai lo sport e presi il brevetto da assistente bagnanti e lavorai un decennio in piscina a lungotevere Acqua Acetosa, di fronte al Bowling. A ventisette anni ho cominciato a dipingere, comunque fino a 44 anni ho praticato il triathlon. Quando smisi con l’agonismo si manifestò la vena poetica e poi sono diventato pittore.

Quando effettivamente si è sviluppata la tua vena poetica?

In realtà a tredici/quattordici anni già scrivevo poesie, era il 1955/56.

Le hai fatte leggere a Pasolini?

Mio fratello gliene fece leggere una e Pier Paolo gli disse che avevo talento e che avrei dovuto continuare.

Sei in grado di recitare una tua poesia, ora?

Come no! Questa poesia racconta quello che noi facevamo d’estate, quando andavamo a fare il bagno all’attuale ponte Marconi e si intitola: “Pasolini e i Ragazzi Di Vita”.

Andavamo giù ai piloni, noi ragazzi di vita,
con Pier Paolo Pasolini a farci la nuotata,
passando dai grottoni, la ferrovia, la scarpata,
attraverso i capannoni e gli orti di insalata.
Oggi lì è viale Marconi a quel tempo coltivata,
nella riva tra i barconi passavamo la giornata
parlando di milioni di una vita fortunata,
con le toppe ai pantaloni e nel pane la frittata,
un mondo di illusioni di gente emarginata,
poveri accattoni in quell’Italia disastrata
da lutti e distruzioni per la guerra sopportata
con le prime costruzioni che poi l’hanno trasformata.

Invece quando hai cominciato l’attività pittorica?
A 27 anni conobbi una pittrice finlandese, Mària Bertula, molto famosa che vinse una borsa di studio, alloggiava a Roma a villa Lante, io cominciai imitandola e lei si accorse che avevo delle qualità e mi consigliò di continuare ed eccomi qua.

Come definiresti il tuo stile pittorico? Naif, onirico? Vedo sagome di uomini sospesi in spazi indefiniti

No, non va bene, lo definirei più un “mosaico” perché le mie pennellate sembrano pietruzze.

Il tuo studio, oltre alla poesia e alla pittura, è un punto di riferimento Pasoliniano anche a livello internazionale.

Il New York Time mi ha dedicato mezza pagina, la TV Cinese due interviste, Al Jazeera, e poi molti altri sono venuti dalla Francia, dalla Germania, dalla Svezia. Addirittura dall’India sono venuti. Prossimamente uscirà un lungo articolo sul Financial Times.

In che rapporto stai con il quartiere i tuoi amici sono quelli di allora? I tuoi vicini di casa come vivono questa tua (possiamo chiamarla così?) dedizione a Pasolini?

I “grattacielini” mi dimostrano una certa stima, anche quelli di destra o i religiosi, in fondo mi vedono di buon occhio, oltre ovviamente ai compagni. Anche perché oggi di Pasolini se ne vorrebbero appropriare tutti, ma Pasolini non aveva padroni, era una mente libera. Era un gay che dava fastidio al potere.

Questa sua omosessualità si è mai manifestata quando veniva a giocare con voi?

Nei nostri riguardi no, non ha mai approcciato nessuno, anche perché lui andava di notte dai marchettari. Lui scrisse una poesia interessante su quello che faceva la notte, se vuoi te la recito:

Lavoro tutto il giorno come un monaco
e la notte in giro, come un gattaccio
in cerca d’amore… Farò proposta
alla curia di esser fatto santo.
Rispondo infatti alla mistificazione
con la mitezza…

Sembro provare odio, e invece scrivo
dei versi pieni di puntuale amore…

Passivo come un uccello che vede
tutto, volando, e si porta in cuore
nel volo in cielo la coscienza
che non perdona.

Hai una memoria straordinaria, so che sai recitare, senza il supporto del libro, il romanzo “Ragazzi di vita”. Possiedi una vasta conoscenza dell’opera di Pasolini, avrai sicuramente avuto incontri con numerose scuole.

Sono stato chiamato in tutti i più importanti licei di Roma, mi manca solo l’università.

Vedo le fotografie di tua madre, tuo padre, tuo fratello e questa elegante signora, in questa fotografia a colori, chi è?

È la regina Paola del Belgio, con la quale iniziai di mia volontà un rapporto epistolare che si è protratto per dodici anni, queste sono tutte le sue lettere. Le scrivevo tre volte l’anno, le inviavo poesie e lei mi rispondeva regolarmente, è stata una bella storia.

Come vi siete conosciuti?

Non l’ho mai incontrata, ti recito la prima poesia che ha dato inizio alla lunga corrispondenza. Lei era dei Ruffo di Calabria e nella poesia parlo della Magna Grecia.

In quel mare tu sei nata,
dipinto dagli Dei,
quel vento ti ha cullata,
a cui si affidano i velieri,
per la lunga traversata fino sotto i propilei,
di Atene immortalata e patria degli Achei.
Quanta storia vi è passata
scritta giace nei musei,
nei marmi lì scolpita,
con i bronzei guerrieri,
in quell’area sei cresciuta,
di leggende e di misteri dai greci fondata,
tra le sponde dei due mari,
civiltà già avanzata ricca di splendori
quando Roma sconosciuta era terra di pastori.

Vedo qui, appoggiata al muro, una bicicletta

La domenica, cento chilometri, li faccio sempre: Roma, Ostia, Torvajanica, Pavona e ritorno. Pensa che in giro per Roma non ci vado mai, c’è troppo traffico! Mi ricordo che quando avevo 19 anni partecipai come dilettante al giro del Lazio quell’anno partecipava Felice Gimondi che vinse. Io alla terza tappa mi ritirai perché in una discesa vicino a Valmontone caddi per una macchia d’olio e mi scorticai tutto. Nel 1986 però vinsi anche una coppa per il triathlon.

Questo tuo studio si chiama “Lo Scrittoio”, ma qui convivono sia parole che immagini e su questo cavalletto che dovrebbe sostenere solo quadri, vedo che è esposta in bella mostra un’altra poesia.

È una delle tante poesie di Pier Paolo, questa parla del fratello partigiano, di quando scapparono da Casarsa, comunque l’ho chiamato “Lo Scrittoio” perché io qui ci dipingo, ci scrivo e stando su strada ho facilità a ricevere persone, con le quali parlo di Pasolini, ma non solo di quando giocavamo a pallone o dei bagni a Tevere, io sento con forza il bisogno di parlare dell’assassinio di Pasolini, di quel maledetto 2 novembre 1975, il cui svolgersi autentico dei fatti rimane ancora oggi avvolto in una ridda contraddittoria di ipotesi. Oltre alla “verità” processuale che si basò sulla colpevolezza di Pelosi e che non convinse mai nessuno, e successivamente ritrattata, ho fatto numerose indagini attraverso i miei canali, anche andando a ripescare le mie conoscenze d’infanzia, rilevando incongruenze tra varie testimonianze che sono state rilasciate sia alla stampa, sia alla televisione, che in sede processuale. Ho conosciuto Citti, stretto amicizia con Pino Pelosi, con la cugina di Pier Paolo, Graziella Chiarcossi e per questa mia attività investigativa sono stato intervistato ed invitato a numerose trasmissioni: Rai Sat Album, La storia siamo noi con Minoli, Complotti a LA7, Teleroma 56, fui chiamato da Magalli, Chi l’ha visto etc., etc. L’ultima intervista l’ho rilasciata per il centenario della nascita di Pasolini a Rai1, partecipando a Cronache criminali di Giancarlo De Cataldo. Per il 70% del mio intervento parlai del delitto, ma in trasmissione passarono prevalentemente i miei ricordi di “grattacielino”.

Comunque il libro di David Grieco, La Macchinazione. Pasolini. La verità sulla morte, Rizzoli 2015, ospita una mia ricostruzione dettagliata, con nomi e cognomi, del delitto Pasolini. Quella notte Pasolini e Pelosi dopo la cena al “Biondo Tevere” andarono all’idroscalo di Ostia, non per consumare un rapporto sessuale, come si sosteneva nella prima versione processuale, ma con lo scopo di facciata di recuperare le pizze di Salò o le 120 giornate di Sodoma, ovviamente Pelosi sapeva che quella non era la verità, era una scusa per condurre Pasolini in un luogo isolato. In realtà Pier Paolo, in quel periodo stava scrivendo Petrolio e con tutta probabilità era venuto a conoscenza di fatti e notizie che dovevano rimanere segreti. Ho ricollegato numerose testimonianze, rilevato la presenza di più automobili sul luogo del delitto, preso nota di numerose e divergenti perizie sulle auto, nonché la presenza sulla scena del delitto, di numerosi personaggi. Oltre a Pino Pelosi, c’erano Abbatino della Banda della Magliana, i fratelli Borsellino, Giuseppe M. Lungo, Johnny Lo Zingaro, Antonio Pinna, tutti personaggi legati alla destra malavitosa e al mondo della mafia.

Come ho già scritto nel libro di Grieco, per me l’assassinio di Pasolini è un delitto di stato, ma questa mia ipotesi, purtroppo, non posso documentarla.


Le fotografie sono di Roberto Cavallini

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