Diario di una spettatrice
Ecco il cinema!
Cronaca delle magnifiche serate del festival "Il cinema ritrovato" della Cineteca di Bologna. Dalle visioni mute di Abel Gance alla lezione di Wim Wenders sul potere delle inquadrature; dall'Italia di Pietro Germi al western di Kurosawa
Il primo festival non si scorda mai. E poiché ha senso raccontare solo ciò che si è visto e vissuto, ecco “Il cinema ritrovato vu par moi”, parafrasando il Napoléon vu par Abel Gance.
Cosa scegliere nella kermesse organizzata dalla Cineteca di Bologna (intitolata Il cinema ritrovato, appunto) e giunta alla trentottesima edizione, che ha proposto dal 22 al 30 giugno 480 film restaurati provenienti da tutto il mondo e che ha fatto di Bologna la capitale assoluta del cinema?
1. Il primo appuntamento non poteva che essere la prima parte del monumentale Napoléon di Abel Gance, il film del 1927 tornato alla sua versione originale grazie a una ricostruzione della Cinémathèque Française durata 16 anni. Occasione imperdibile quella offerta dalla Cineteca, considerando che la pellicola divisa in due parti (durata totale 7 ore) sarà visibile in luglio solo in Francia grazie alla decisione spericolata del distributore Pathé di portare nelle sale l’opera che è considerata il più grande film della storia del cinema muto mondiale.
Ho guardato la prima parte (3 ore e 40 minuti) seguendo con gli occhi sgranati lo sguardo spiritato di Albert Dieudonné nei panni del condottiero. E confesso che vedendo la scena in cui Danton presenta al popolo l’autore della Marseillaise e lui la canta per la prima volta e c’è una sincronizzazione così perfetta tra le immagini e la musica che quella diventa la prima scena sonora nella storia del cinema, confesso dunque che mi sarei alzata in piedi e avrei voluto unirmi al coro dei sans culottes cantando anch’io “Aux armes citoyens!” (en passant c’è Antonin Artaud che impersona Marat, giusto per dare un’idea). Concordo col direttore della Cineteca Gian Luca Farinelli: Napoléon è il film spartiacque, c’è il cinema che hai visto prima e c’è il cinema che vedrai dopo.
2. A presentare Napoléon c’era in sala il regista Costa-Gavras, greco trapiantato in Francia per sfuggire ai colonnelli, che con la sua vita e oltre mezzo secolo di film incarna tutti i crocevia intelligenti del cinema europeo e americano. E ascoltando la sua lezione mi sono resa conto che quest’arte è nata per superare qualsiasi confine e abbattere qualsiasi muro.
3. E a proposito di maestri del cinema, incontrare l’ultimo dei grandi, ovvero Marco Bellocchio, e ascoltare il suo racconto di ciò che significa fare cinema, vuol dire ricordarsi di ciò che ancora conta in questi tempi bui. E si può scoprire che il suo film Sbatti il mostro in prima pagina era stato profetico, raccontandoci nel 1972 ciò che sarebbe successo nei decenni seguenti, violenza, corruzione e fake news incluse.
4. E ancora a proposito di maestri. Grazie al festival ho scoperto Pietro Germi morto 50 anni fa e presto dimenticato nella lista dei grandissimi che viene in mente a tutti: Fellini, Visconti, Rossellini, Antonioni. Non erano “solo” commedia alla Monicelli e Risi i suoi capolavori Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata, il dittico che lo rese celebre. Erano molto di più e le sue inquadrature e il suo modo di raccontare storie hanno ispirato registi persino in Giappone.
5. E poi mi sono innamorata di due donne grazie a due retrospettive apparentemente contrapposte: Marlene Dietrich e Delphine Seyrig, la prima la conoscono tutti, la seconda è l’indimenticabile Fabienne Tabard in Baci rubati di François Truffaut. Due donne che hanno declinato in modi e tempi diversi lo stesso desiderio di indipendenza e di affermazione femminile, due “streghe” che tutte dovremmo ringraziare.
6. Dulcis in fundo, confesso il vero motivo per il quale mi sono accreditata al festival: volevo conoscere Wim Wenders, dopo aver visto Perfect days, incontrarmi personalmente col regista tedesco era diventato per me un imperativo morale. Wenders è arrivato a Bologna per presentare al grande pubblico di piazza Maggiore il suo Paris, Texas restaurato a 40 anni dalla prima proiezione. E rivedendo la pellicola con l’orizzonte sconfinato dell’America, il “fottuto orizzonte” per dirla con John Ford, e riascoltando la chitarra di Ry Cooder che gli basta un accordo di quattro note discendenti per straziarti il cuore, mi sono detta: questo è il cinema.
È il cinema di Akira Kurosawa che amava i western di John Ford e per questo fece 70 anni fa I sette samurai, 207 minuti di capolavoro assoluto che mi hanno inchiodata sotto le stelle di piazza Maggiore fino alle 2 del mattino. È il cinema di Abel Gance da cui tutto ebbe inizio, che quando lui fece Napoléon i fratelli Lumière c’erano ancora. Ed è il cinema di un ragazzo nato sulle macerie della Germania distrutta dalla guerra e che andò a Parigi pensando di fare il pittore e invece divenne regista.
Suggerisco a Sergio Castellitto, presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia fondato da Alessandro Blasetti e in cui insegnò Roberto Rossellini, di farsi mandare da Farinelli il video della lezione sull’inquadratura tenuta da Wenders, potrebbe scoprire qualcosa di interessante per lui e anche per suo figlio Pietro. Nella lezione bolognese, Wenders spiega perché la prima e più importante decisione di un regista, oggi, nell’era delle riprese fatte coi droni, non conta più niente. E pensare che da secoli decidere cosa sta dentro la cornice di un quadro, o nel mirino di una macchina fotografica e di una cinepresa, e cosa resterà per sempre fuori e nessuno sguardo potrà vedere, è stata la scelta più significativa per un pittore, un fotografo, un regista.
Ma dopo questo festival io non perdo la speranza sul futuro del cinema. In tutti i film di Wenders c’è sempre un uomo solo e c’è la sua tristezza, ma nel suo ultimo film Perfect days l’uomo solo che pulisce i bagni pubblici di Tokyo sorride ogni mattina guardando il cielo, che ci sia il sole o le nuvole non importa. E nell’ultima scena si commuove ascoltando Nina Simone che canta “It’s a new dawn, it’s a new day, it’s a new life for me. And I’m feeling good”.
Esiste Il cinema ritrovato, esistono registi come Wenders e Bellocchio. E allora anch’io mi sento bene.