Herman Melville
Moby Dick/4

Achab e il doblone

Con la promessa di un doblone continua la pubblicazione di Moby Dick nella versione di Alessandro Macchi, illustrata da Roberto Cavallini per Succedeoggi

CAPITOLO XXXVI
IL CASSERO. ENTRA ACHAB, POI TUTTI
Non molto tempo dopo l’affare della pipa, un mattino, poco dopo colazione, Achab come d’abitudine salì per la scaletta della cabina in coperta.

A quell’ora quasi tutti i capitani di mare passeggiano dopo colazione lì sul cassero come signori di campagna nel giardino.

Subito sentimmo quel passo d’avorio, costante, avanti e indietro nel suo solito giro e le tavole consuete al suo passo portavano i segni delle orme come pietre geologiche.

Pari impronte si stagliavano sulla sua fronte, strane, di un pensiero ricorrente, unico, insonne, sempre in cammino.

Fronte scavata e orme quel mattino sembravano più profonde e il pensiero di Achab, muovendosi dall’albero maestro alla chiesuola, pareva quasi voltarsi dentro di lui mentre camminando si voltava.

Passavano le ore. Un momento Achab si chiudeva in cabina, dopo poco risaliva in coperta di nuovo a camminare avanti e indietro, nel suo volto sempre la stessa euforia rabbiosa, la stessa determinazione.

E s’avvicinava la fine del giorno. Improvvisamente egli s’arrestò vicino alla murata cacciando la gamba d’avorio nella buca di trapano li predisposta e, afferrando con una mano una sartia, comandò a Starbuck di mandar tutti a poppa.

-Signore! – esclamo l’ufficiale a quell’ordine strano che raramente o mai viene dato a bordo se non in casi straordinari.

-Mandate tutti a poppa- Ripetè Achab. -Giù subito voi lassù alle vedette-

Quando tutti i marinai si furono riuniti e iniziarono a guardarlo con attenzione e con timore vedendo quella fronte come il cielo all’orizzonte quando si avvicina la tempesta.

Achab diede un rapido sguardo all’ingiro dalle murate poi, scoccando sugli uomini uno sguardo di fuoco, prese a camminare avanti e indietro riprendendo quel suo andare sul ponte come se nessuna anima viva fosse lì intorno, la tesa del cappello calata sugli occhi, incurante del brusio di meraviglia che saliva dalla ciurma.

Stubb in un sussurrò mormorò a Flask che Achab li aveva convocati per assistere a un’impresa podistica.

Quel camminare non durò a lungo. Ad un tratto Achab si fermò, rabbioso e gridò:

—Che cosa fate, marinai, quando vedete una balena? —

La segnaliamo! — gridarono una ventina di voci tutte insieme. Bene! — esclamò Achab con tono feroce della voce ma compiaciuto dell’entusiasmo magnetico con cui li aveva trascinati con la domanda

E che cosa fate dopo, marinai?

Ammainiamo le lance e la inseguiamo

—E a che canto remate, marinai?

—Balena morta o lancia sfondata!

Sempre più stranamente e fieramente soddisfatto si faceva il viso del vecchio a ogni grido. Mentre i marinai, sorpresi da quel fervore nato in loro a quelle domande, si guardavano increduli.

Ed Achab si volse a metà dal suo perno, una mano alzata verso l’alto la stringe ad una sartia strettamente, in modo quasi convulso.

—Tutti voi di vedetta mi avete prima d’ora sentito dar ordini per una balena bianca? . Guardate! vedete quest’oncia d’oro spagnola? — e alzò al sole una grossa moneta splendente–. È un pezzo da sedici dollari, marinai. La vedete? Signor Starbuck, datemi quel martello.

Mentre l’ufficiale prendeva il martello, Achab in silenzio sfregava con cautela la pezza d’oro sulle falde della giacca, come per aumentarne lo splendore e, senza profferir parola canterellava tra sé e sè producendo un suono così stranamente soffocato e inarticolato che pareva il ronzare meccanico delle ruote della vitalità che aveva dentro. Ricevendo il martello da Starbuck, s’avanzò verso l’albero maestro con lo strumento alzato in una mano, mettendo con l’altra l’oro bene in vista. A gran voce esclamò: — Chiunque di voi mi segnali una balena dalla testa bianca, dalla fronte rugosa e dalla mandibola storta, chiunque di voi mi segnali quella balena bianca che ha tre fori nella pinna a destra della coda, state attenti! chiunque mi segnali proprio questa balena bianca, riceverà quest’oncia d’oro, marinai!

—Urrà! Urrà! — gridarono gli uomini agitando i cappellacci d’incerata salutando il colpo con cui Achab piantava la moneta all’albero maestro.

—È una balena bianca, vi dico — riprese Achab, gettando via il martello — tenete gli occhi ben aperti per cercarla, ragazzi: guardate bene se vedete acqua bianca, se vedete anche solo una bolla, segnalate.

–Capitano Achab, — disse Tashtego — quella balena bianca dev’essere la stessa che certi chiamano Moby Dick.

—Moby Dick? — gridò Achab. — Conosci dunque la Balena Bianca tu, Tash?

—Dibatte la coda in un modo un po’ curioso prima di tuffarsi, signore? — chiese pacatamente il Capo Allegro.

.-E ha pure uno soffio curioso, — disse Deggu — molto grosso anche per un capodoglio, e rapidissimo, capitano Achab?

—E lui ha uno, due, tre, oh! molti ferri in pelle anche, capitano, — esclamò Quiqueg con voce incerta a scatti tutti torti e ritorti come il… il… e balbettava forte cercando la parola e torceva la mano tutt’in giro come a stappare una bottiglia — come  il… il…

-Cavatappi! — gridò Achab. — Sì, Quiqueg, i ramponi gli stanno nel fianco tutti storti e divelti; sì, Deggu, il suo spruzzo è grosso come un fascio di grano e bianco come un mucchio della lana di Nantucket dopo la grande tosatura annuale; sì, Tashtego, e dibatte la coda come una vela squarciata dalla burrasca.

Morte e demoni! è Moby Dick che avete visto, marinai, Moby Dick, Moby Dick!

Capitano Achab, — disse Starbuck –che insieme a Stubb e a Flask aveva finora guardato con crescente sorpresa il superiore, ma che alla fine parve colpito da un pensiero che in qualche modo spiegava tutto— capitano Achab, ho sentito parlare di Moby Dick; ma non è stato proprio Moby Dick a strapparti la gamba?

— Chi ti ha detto questo? — gridò Achab; poi fermandosi:

—Sì, Starbuck, sì, miei coraggiosi tutti quanti, è stato Moby Dick che mi ha disalberato, Moby Dick che mi ha ridotto a questo tronco moncone su cui mi reggo ora. Sì, sì! — egli urlò con un terribile e altissimo singhiozzo da belva, simile a quello dell’alce colpita nel cuore. — Sì, sì! è stata quella maledetta Balena Bianca a troncarmi, a far di me per sempre un disgaziato buono a nulla!

— Poi, agitando le due braccia con smisurate imprecazioni, urlò a gran voce: — Sì, sì! e le darò la caccia oltre il Capo di Buona Speranza, al di là del Capo Horn, al di là del grande Maelstrom di Norvegia, oltre le fiamme della perdizione, prima di abbandonarla. Ed è per questo che vi siete imbarcati, marinai! Per cacciare quella Balena Bianca in tutto il mondo, in ogni parte della terra, finché non sfiati sangue nero e si rivolti con le pinne all’aria. Che cosa rispondete, marinai: ci stingiamo ora le mani subito? Si direbbe che voi siate coraggiosi.

Sì, sì — gridarono i ramponieri e i marinai, affollandosi vicino al vecchio sconvolto. — Occhio aguzzo alla Balena Bianca, lancia aguzza contro Moby Dick.

-Che Dio vi benedica- disse, metà quasi singhiozzando e metà gridando

—Ma che cos’è quel muso lungo, signor Starbuck?

-Mi sento d’affrontare la sua mascella storta e anche le mascelle della Morte, capitano Achab, purché rientri giustamente nella linea del lavoro che dobbiamo perseguire, ed io sono venuto qua per dare la caccia alle balene, non per la vendetta del mio comandante. Quante botti frutterà la tua vendetta, posto che tu la raggiunga, capitano Achab? Non ti renderà molto sul mercato di Nantucket.

–II mercato di Nantucket! -Ma va’ là! – e sputa per terra, ma fatti più vicino, Starbuck, tu hai bisogno di una parola un po’ più profonda. Se il denaro dev’essere la misura, che produce un mondo di contabili fasciato di ghineee a tre per pollice, ti dico, amico, che la mia vendetta mi darà un profitto qui dentro – e ciò dicendo si battè il petto.

E Starbuck grida – vendetta su una creatura muta, senz’anima? Che ti ha colpito solo per il più cieco degli istinti? Una follia! Essere adirati contro un essere muto, bruto, capitano Achab, questa è una bestemmia! –

–Tutti gli oggetti visibili, vedi, sono soltanto maschere di cartapesta, ma in ogni evento, nell’azione viva, nell’azione vera e propria, qualcosa di sconosciuto, ma sempre ragionevole, sporge le sue fattezze sotto il velo della maschera bruta. E se l’uomo vuol colpire, colpisca sulla maschera! Come può evadere il prigioniero se non forza il muro della cella? Per me la Balena Bianca è questo muro che mi è stato spinto accanto. Talvolta penso che di là non ci sia nulla. Ma mi basta. Essa mi occupa, mi sovraccarica: io vedo in lei una forza che è un oltraggio forte di una malvagità imperscrutabile. Questa cosa imperscrutabile è ciò che odio.

Non parlarmi di bestemmie, uomo. Abbatterei il sole se mi offendesse. Se fosse capace di offendermi, sarei capace di abbatterlo. Sono le regole del gioco, da sempre la rivalità governa il creato…. Bada Stabuck le parole che si dicono a caldo si ritrattano da se, non suonano nemmeno come un’offesa. Non volevo irritarti, lascia perdere. Guarda all’entusiasmo di tutta la ciurma … Volti di turchi senza Dio, volti dipinti dal sole senza pensiero che vivono senza darsi ragione del torbido che stanno vivendo, Stubb, ride, guarda! Quel cileno laggiù è infuocato al solo pensiero. In piedi in mezzo all’uragano non vale il tuo solo arboscello.

Sì, comincio a invogliarti, l’ondata ti solleva, su parla! di solo una parola! … Si, si. … E’ il tuo silenzio che parla per te, certo …

Ed Achab mormora tra sè: – Qualcosa che è sgorgato dalle mie narici dilatate, lui l’ha aspirato nei polmoni: Strabuck adesso è mio. Non mi può più fermare se non con l’ammutinamento-

—Dio mi guardi! Guardi tutti noi! – mormorò Starbuck sommesso, poi il suo sguardo tornò ad illuminarsi nella caparbietà della vita.

Ma nella sua allegrezza per la magica e muta capitolazione del secondo, Achab non udì quella profetica invocazione. E il vento presago vibrò sul cordame e le vele sbatterono vuote sugli alberi- Oh! ammonimenti e avvertimenti! perché non vi fermate quando venite?

—La misura di grog! La misura grande di grog! — gridò Achab.

—Bevete e fate passare —urlò tendendo ai più vicini la pesante brocca piena. Bevete marinai. Fate girare, girare! Sorsi corti. Buttate giù adagio, marinai, è caldo come il piede del diavolo. Così, così va magnificamente. Scende a spirale e vi si biforca uscendo dagli occhi che così azzannano come serpenti. —Bel lavoro: è quasi asciutta. Date qua, che è vuota! Marinai, siete come gli anni: così la vita colma viene inghiottita e se ne va.

—Dispensiere, riempi ancora!

—Fatevi avanti, ufficiali! Incrociate risoluti le tre lance innanzi a me. Bene! Ch’io ne tocchi l’asse.

E in così dire, col braccio disteso afferrò nel centro d’incrocio le tre lance diritte a raggiera, e nel farlo, all’improvviso diede a loro un inatteso e nervoso strattone guardando fisso da Starbuck a Stubb, da Stubb a Flask. Davanti alla violenza ostentata dal suo aspetto mistico, i tre ufficiali rimasero sgomenti, Stubb e Flask distolsero lo sguardo e gli occhi onesti di Starbuck si abbassarono.

—L’incarico non vi garba? Ma come, se il Papa stesso lava i piedi ai mendicanti usando la tiara come brocca?

—Ufficiali, vi nomino tutti e tre coppieri dei miei tre consanguinei pagani, questi tre egregi gentiluomini, i miei prodi ramponieri—E i tre ramponieri gli presentarono il ferro staccato dai ramponi con la punta volta verso l’alto e Achab versò nel cavo dell’asta dove si innesta il rampone il liquido ardente della brocca.

—Ora, a tre a tre siete. Lodate le coppe assassine! Datele voi che siete ormai parte di questa lega indissolubile. Ehi, Starbuck! ormai la cosa è fatta! Il sole attende ora di ratificarla come testimone. Bevete, ramponieri! bevete e giurate, voi che armerete a prua la lancia fatale.

—Morte a Moby Dick! Che Iddio dia la caccia a tutti noi, se non la diamo noi a Moby Dick fino alla morte! —

Le lunghe tazze taglienti d’acciaio vennero innalzate con grida e imprecazioni alla Balena Bianca e il liquore fu simultaneamente tracannato con un sibilo. Starbuck impallidì, si volse e rabbrividì. Una volta ancora, e fu l’ultima, la brocca ricolma andò in giro tra l’equipaggio frenetico, quando, a un cenno di Achab con la sua mano libera, tutti si dispersero ed egli si ritirò nella cabina.

CAPITOLO -XXXVII
TRAMONTO
La cabina, alle finestre di poppa.

Achab (siede solo e guarda fuori).- Lascio una scia bianca e inquieta, acque pallide, facce più pallide, dovunque passa la mia nave. Le onde invidiose si gonfiano ai lati per sommergere la mia traccia: E sia, ma prima io passo.

C’è stato un tempo in cui, nobilmente l’alba mi incitava, e così il tramonto mi recava sollievo. Non più … La luce traboccante non mi illumina più. Tutta la bellezza per me è angoscia e non trovo più gioia alcuna.

Io che ho il dono di una percezione superiore, mi manca la bassa capacità di provare gioia e così sono dannato nel modo piu sottile e più perverso; sono dannato, dannato, in mezzo al Paradiso!

Dura cosa, che per dar fuoco agli altri anche la miccia debba distruggersi!

Ciò ch’io ho osato l’ho voluto, e ciò che ho voluto, farò! Tutti mi credono pazzo ma a io sono demoniaco, sono la pazzia impazzita!

La profezia diceva ch’io sarei stato mutilato, e… Si! ho perso la gamba. Io profetizzo adesso che mutilerò il mio mutilatore. E così siano dunque il profeta e l’esecutore un essere solo. Questo è più di ció che voi, o grandi dèi, foste.

4. Continua.


La traduzione del romanzo di Herman Melville, di cui Succedeoggi sta pubblicando un ampio sunto, è di Alessandro Macchi. Le fotografie originali sono di Roberto Cavallini.

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