Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Venezia prismatica

Nato nella città lagunare, autore di generi letterari più disparati, la figura di Carlo Della Corte «è stata ingiustamente rimossa dal panorama letterario del secondo '900». Dalla sua prima raccolta poetica, alla trilogia dei romanzi a sfondo noir, una panoramica delle sue opere

La figura di Carlo della Corte è stata ingiustamente rimossa dal panorama letterario del secondo Novecento, nonostante l’autore veneziano, dotato di una versatilità rara, si sia misurato proficuamente con i generi più disparati, spaziando indifferentemente dal romanzo al racconto, dalla poesia al saggio, dall’elzeviro alla nota di costume. Dopo aver lavorato in banca e in ambito editoriale, della Corte divenne giornalista della Rai, presentando il Telegiornale veneto nella prestigiosa sede di Palazzo Labia. Quanto a visibilità, la pubblicazione delle sue opere si sviluppa in contesti diametralmente opposti: se nel periodo che va dagli anni Sessanta alla fine degli Ottanta la sua produzione, soprattutto romanzesca, viene sostenuta da editori di vaglia come Mondadori e Rizzoli, nella parabola conclusiva della sua carriera lo scrittore è costretto a licenziare i suoi libri con case editrici di secondo piano.

Amico di alcuni tra i maggiori intellettuali del tempo – da Valeri a Zanzotto, da Sereni a Fellini, con il quale aveva progettato di realizzare, dopo l’esperienza del Casanova, la sceneggiatura di un altro film ambientato a Venezia –, della Corte esordisce pubblicando la sua prima raccolta poetica, Cronache del gelo, nella collana “Dialoghi col poeta” di Schwarz nel 1956, in una tiratura di 500 esemplari numerati. Dopo una serie di svariati titoli, tra cui una pionieristica raccolta di racconti fantascientifici e il primo saggio organico sui fumetti apparso in Italia, escono per Mondadori, rispettivamente nel 1964 e nel 1968, i suoi due romanzi più significativi: I mardochei, edito nella collana “Il Tornasole”, diretta da Niccolò Gallo e Vittorio Sereni, e Di alcune comparse, a Venezia, proposto nella collana dei “Narratori italiani”. Il primo, di 180 pagine, messo in vendita al prezzo di 900 lire, presenta in copertina una curiosa istantanea di Vittorio Bobbi che abbraccia anche la quarta dove si riconosce l’autore che rivolge, sotto un ombrello, il volto impiegatizio verso una ragazza sorpresa dall’obiettivo; il secondo, di 290 pagine, con il prezzo di 2000 lire, accoglie in sovracoperta la riproduzione di Papà Hirsch di Kokoschka. Quest’ultimo volume sarà ristampato un decennio più tardi negli Oscar con la stessa immagine in copertina e recentemente riproposto da Ronzani. I due libri formano una sorta di dittico, di Bildungsroman dai tratti ora pungenti ora elegiaci, non di rado stravolti da un dettato tendente al caricaturale e al grottesco, dove è possibile rintracciare sia la nostalgia per una città lagunare che si sta irrimediabilmente guastando sia, come suggerisce la nota critica presente in bandella, reminiscenze di autori cari a della Corte: «Piena di mille echi eppure nuova, in questa Venezia incontriamo la sfrontata impudicizia di un Baffo, la nostalgia di un Giustinian, il gaio realismo di Goldoni assieme ai deliri del Baron Corvo». Entrambe le edizioni originali si possono trovare a prezzi molto contenuti attraverso gli usuali canali del modernariato.

Nel 1970 l’autore approda con la raccolta poetica Versi incivili alla collana mondadoriana “Lo Specchio”. Il libro accoglie versi composti nel decennio 1960-1970 e costituisce la summa della sua esperienza poetica, riportando al suo interno sequenze anticipate in altri contesti editoriali. È il caso dell’intensa plaquette in dialetto veneziano Un veneto cantar, edita nel 1967 da Vanni Scheiwiller con la sigla editoriale All’Insegna del Pesce d’Oro nella collana “Lunario”. Il volumetto, prefato da Diego Valeri, edito in 600 copie numerate, recante la significativa dedica a Giacomo Noventa, ci regala una piccola galleria di miracoli espressivi.

Caccia in laguna è un libro poliziesco, edito da Rizzoli nella collana “Il rigogolo” nel 1969 che anticipa le prove narrative degli anni successivi, pubblicate nella serie degli “Scrittori italiani e stranieri” di Mondadori: Le terre perse (1973), Grida dal palazzo d’inverno (1980) e Germana (1988). Questi tre romanzi costituiscono il naturale approdo di una scrittura tesa a investigare la dimensione introspettiva ed esistenziale dei personaggi attraverso l’uso di una fiction che si tinge, come nei suoi esiti più riusciti (Grida dal palazzo d’inverno e Germana), di un avvincente sottofondo noir. Germana, come dichiarato nella nota apposta in bandella, è il romanzo inaugurale di una trilogia ambientata a Venezia a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Tale trilogia verrà completata dai romanzi Il diavolo, suppongo (1990) e …e muoio disperato! (1992), pubblicati da Marsilio nella collana “Romanzi e racconti”. Il diavolo, suppongo, con in copertina un enigmatico panorama settecentesco di Francesco Guardi, accoglie una nota di Fellini in cui si dichiara: «È la storia di un’impresa sempre più indiavolata (come rappresentare Venezia), perché pretende di esprimere l’inesprimibile, di materializzare raccontandola una città che non c’è, costruita sull’acqua, dipinta nell’aria».

Un discorso a parte merita Il viaggio finisce qui, con il sottotitolo Appunti per un romanzo in versi, uscito nel 1993 presso EFC in una tiratura di 150 copie numerate, fuori commercio, destinate agli amici del poeta. Si tratta di un libro realizzato a proprie spese, dalla circolazione pressoché inesistente, con una copertina rigida, di colore rosso, che contiene un romanzo in versi suddiviso in 55 parti il cui inizio viene fatto risalire, come dichiara l’autore nella nota in calce, successivamente al 1970, data in cui licenzia i Versi incivili, diventandone l’ideale proseguimento. È stato riproposto integralmente nell’antologia poetica Il cauto emblema, edita qualche anno fa per i tipi del Ponte del Sale.

Facebooktwitterlinkedin