Il catalogo della mostra di Perugia
Pasolini e l’Umbria
Nel silenzio che segue le celebrazioni è possibile tornare a riflettere su alcuni temi-chiave della poetica pasoliniana attraverso gli approfondimenti contenuti nel bel volume “Prospettiva Pasolini”: Dalla revisione del giudizio su Pound alla gestazione del “Vangelo secondo Matteo”, in una relazione illuminante col paesaggio di San Francesco
Il centenario di Pier Paolo Pasolini si sta ormai allontanando con tutto il buono e l’inevitabilmente meno buono che lo ha caratterizzato e nel silenzio che a esso ha fatto seguito – altri centenari si avvicendano e domandano ascolto, altri sono in attesa – è possibile tornare più meditatamente su alcuni spunti di riflessione che con merito sono stati proposti, su alcuni momenti e approfondimenti di sicuro interesse. Fra questi ultimi va sicuramente compresa la mostra – promossa dal Comune di Perugia e dal locale Ateneo – tenutasi nel capoluogo umbro nella primavera del 2022 che può essere ora utilmente riconsiderata, per quanto sta allo specifico e all’originalità della sua proposta, a partire dal bel catalogo a cura di S. Casini, C. Pulsoni, R. Rettori e F. Tuscano (Prospettiva Pasolini, Morlacchi, Perugia 2023, 234 pagine, 35 euro).
Comune a molte delle riflessioni che hanno segnato il corso del centenario era il capire quanto la più volte ribadita inattualità del poeta di Casarsa rimanesse a cinquant’anni dalla morte per così dire “attuale”, e questo perché per più versi è sembrato toccare a Pasolini – artefice della più radicale denuncia del consumismo che cambiava per sempre la sua Italia contadina – il paradosso di diventare egli stesso oggetto di un discutibile consumo. La sua parola, soprattutto degli ultimi anni corsarie luterani, sganciata arbitrariamente dall’afflato poetico che ne unifica l’intera vicenda artistica e civile, è apparsa come “a disposizione” di chiunque intendesse servirsene per modesti tornaconti, soprattutto in un dibattito che si fa fatica a definire pubblico. Un Pasolini dunque fuori contesto, fatto a pezzi, certamente orecchiato assai più che letto, e non sia mai studiato. Di qui dunque l’esigenza di nuove messe a fuoco, nuovi scandagli nella prodigiosa complessità di quel pensiero poetico e poetante, cui la mostra di Perugia con i suoi approfondimenti critici ha risposto portando l’attenzione sulla centralità del rapporto articolatissimo, e forse mai prima fino in fondo còlto, tra Pasolini e l’Umbria: una relazione tale da comportare per il poeta illuminazioni decisive. La prima – la mette bene in risalto Francesca Tuscano – è quella che lo legò di un’ammirazione irrevocabile alla purezza della poesia di Sandro Penna, vista quasi come una bussola con cui orientarsi nelle coordinate del proprio notevole saggismo letterario; un termine irraggiungibile e proprio per questo reale e necessario. Ma è a Spoleto che si compie in Pasolini un’esperienza imprevedibile e dirimente.
Tra il 26 giugno e il 2 luglio del 1965 Giancarlo Menotti presenta, nell’ambito del suo Festival dei Due Mondi, una iniziativa per allora inconsueta, una “Settimana della poesia” dalla laboriosa preparazione: «cantano tutti la pace e l’amore – chiosa ironicamente – ma non sempre vanno d’accordo fra loro». Alla fine l’elenco di chi partecipa è sensazionale: accanto agli italiani Pasolini e Quasimodo figurano Neruda e Yevtushenko, André Frénaud e Lawrence Ferlinghetti, Rafael Alberti e Ingeborg Bachman, Ted Hughes e Stephen Spender, John Asbhery e Ezra Pound, per citare solo alcuni nomi. In breve è la poesia del secondo Novecento quella che si ritrova tra i palchi dorati del Caio Melisso e poi in un’imprevista lettura all’aperto, sul sagrato del meraviglioso Duomo di Spoleto. Qualche anno prima – racconta nel suo saggio Carlo Pulsoni – quando Vanni Scheiwiller aveva predisposto un appello per la liberazione di Ezra Pound, detenuto dal ’45 in un manicomio criminale americano, l’adesione di poeti e scrittori italiani di diverso orientamento ideologico era stata rilevante (sulla vicenda è esaustivo lo stesso C. Pulsoni in La libertà dell’intelligenza. Ezra Pound un intellettuale tra intellettuali, Ares, Milano 2023, pp. 107 – 174). Pasolini non figura però tra i firmatari, per una fortissima contrarietà di ordine politico che lo tiene ugualmente e emotivamente lontano dall’opera del poeta statunitense. Ora è proprio assistendo alla impressionante lettura poundiana – Ferlinghetti uscirà dal teatro in lacrime – che Pasolini giunge a capovolgere il suo giudizio e a riconsiderare in modo radicale, nel vivo ascolto della parola, insieme l’opera e la figura di Pound, facendone fino alla fine dei suoi giorni un luogo irrinunciabile del proprio orizzonte poetico.
Naturalmente il rapporto Pasolini Umbria passa per Assisi ed è appena il caso di ricordare come sia dovuto in primo luogo alle numinose figure di San Francesco e di Giotto che lo raccordano alla dolcezza di quel paesaggio. Ma qui avviene qualcos’altro, a segnare un momento alto e decisivo. Ormai passato alla macchina da presa il dichiaratamente ateo poeta di Casarsa ha iniziato uno scambio epistolare con l’assisiate Pro Civitate Christiana di cui è ospite al momento della storica visita alla Basilica di papa Giovanni XXIII. Sul comodino della camera dove alloggia trova una copia del Vangelo secondo Matteo che innesca in lui come una “fulgorazione”. L’idea di un film tratto dalle parole dell’Evangelista non lo abbandona più e viene sottoposta agli amici religiosi e laici della Pro Civitate che ne sono entusiasti e lo supportano con i loro pareri mentre lavora alla sceneggiatura. Nel vasto apparato iconografico che il catalogo riproduce l’emozione più forte è data forse dalle pagine dattiloscritte della sceneggiatura con i commenti manoscritti a margine, che evidenziano da parte della Pro Civitate consensi e limitatissime perplessità e costituiscono un documento straordinario. E questo anche in considerazione dei problemi con la censura e l’ordine giudiziario che Pasolini affrontò ogni qualvolta ebbe a toccare con il cinema argomenti o simboli della religione cattolica.
Le pagine di Anna Tuscano ricostruiscono molto bene questo momento così come quelle di Giuseppe Moscati raccontano l’altrettanto importante fascinazione, restando sempre ad Assisi, che Pasolini sentì per la figura di Aldo Capitini, il “santo laico” delle “Marce per la Pace” inaugurate nel 1961, della “non violenza” in cui il poeta vide la concretezza di un’utopia – se è lecito definire concreta un’utopia – insieme aristocratica e popolare, un punto di svolta che gli apparve in tutta la sua portata luminosa.
Si tratta nell’insieme di considerazioni che in più modi si legano al tema, fondamentale in Pasolini, dell’immagine, al centro nella sua poesia, nel romanzo, nella riflessione civile e naturalmente nel cinema. Ineludibile è infatti l’imprinting dovuto al magistero di Roberto Longhi risalente agli anni universitari di Bologna; lo ricorda in un densissimo contributo Tommaso Mozzati che nel richiamare le duplici coordinate caravaggesche e cezanniane care al Maestro le ricollega alla figurazione dei primi lungometraggi in cui accanto alle “equivalenze” di tanta grande pittura medievale e rinascimentale italiana viene chiamato in causa il segno neorealista di Anna Salvatore, artista degli “amanti di periferia” legata alla cerchia di Renato Guttuso a cui Pasolini dedicò in apertura di un catalogo un’intensa lirica di ekphrasis. E sono temi ricorrenti anche nei due saggi dedicati più in particolare al cinema (Fabio Melelli e Giovanni Bogani) nella messa in discussione della presunta “sgrammaticatura” del poeta nel costruire la scena in modo così radicale, digiuno – si cita in proposito la disapprovazione di Fellini – di tecniche e malizie di regia, ma poeticamente avvinto dalla profondità viva dell’immagine, da cui l’acuta definizione di Moravia della Ricotta come di un poema cinematografico (Simone Casini).
Come si può vedere accanto al focus del paesaggio storico e culturale dell’Umbria vengono a comporsi nella mostra di Perugia – che si avvalse, lo ricordiamo, anche di un ciclo pubblico di conferenze – alcuni fra i più rilevanti temi dell’operare pasoliniano e tra questi la sua poetica politica riflessione sulla scomparsa delle lucciole (Ginevra Amadio), le frequentazione dei classici che attiene anche alla figurazione e dunque nuovamente al paesaggio e vede in Pasolini il pure aspramente discusso ma assai suggestivo e sorprendente volgarizzatore di Eschilo e di Plauto (Lorenzo Calafiore), la Divina Mimesis(Alessandro Gnocchi), il rapporto originale con la musica (Giulio Carlo Pantalei), la morte, nei versi dell’amico gradese e poeta amatissimo Biagio Marin (Giulia Grillenzoni).
Nella notevole collezione di immagini che il catalogo presenta vi è un riscontro puntuale a molti di questi temi, un riscontro che parla soprattutto attraverso la grafica dei periodici a cui Pasolini tanto assiduamente collaborò, ai loro caratteri di stampa, alle titolazioni, ai corredi fotografici, fornendo in questo modo un’ulteriore e preziosa contestualizzazione che ben si lega all’approfondimento dei saggi ricordati.