Nel centenario della nascita
Dolci tra poesia e impegno civile
Ricordo del “Gandhi italiano”, sociologo, poeta, educatore, attivista della nonviolenza. La fede assoluta, intransigente nei suoi convincimenti che lo sorreggeva, contribuì a rendere difficile il suo dialogo con le istituzioni. Nel “Vocabolario della Pace” (Succedeoggi Libri) il suo epistolario con Cesare Zavattini
Danilo Dolci nasce in provincia di Trieste, a Sesana, il 24 giugno del 1924. Il padre è un dipendente delle Ferrovie dello Stato costretto a frequenti cambi di residenza. La madre, di origine slava, trasmetterà al figlio il suo forte senso di religiosità e la passione per la musica. Danilo consegue il diploma in un istituto tecnico e la maturità artistica a Brera. All’inizio della seconda guerra mondiale raggiunge il padre trasferito nella stazione di Trappeto in provincia di Palermo. Ha così modo di conoscere l’aspro e al tempo stesso dolce territorio della Sicilia occidentale, ricco di testimonianze d’arte. Rimane colpito dall’indigenza delle popolazioni, soprattutto i contadini e i pescatori, gli uni e gli altri vessati dalla mafia.
Nel 1943 viene arrestato a Genova per non essersi presentato alla chiamata alle armi. Evade dal carcere per rifugiarsi sulle montagne abruzzesi. Un anno dopo è a Roma per frequentare i corsi della facoltà di Architettura. Ascolta anche le lezioni di storia del cristianesimo di Ernesto Bonaiuti, reintegrato nella cattedra universitaria. Nel 1950, alla vigilia della laurea in Architettura al Politecnico milanese, abbandona gli studi. Decide di trasferirsi a Fossoli, frazione di Carpi in provincia di Modena, dove comincia a collaborare, sotto la guida del fondatore don Zeno Saltini, con la comunità “Piccoli Apostoli”, nel luogo ove non molti anni prima sorgeva un campo di concentramento nazista. Nomadelfia – ovvero dove la fraternità è legge – è il nome che viene attribuito a quel luogo carico di tristi memorie. Dolci vi rimane un anno.
Nello stesso 1951 pubblica la raccolta poetica Voci nella città di Dio. Frattanto le attività di Nomadelfia, caratterizzate da una vita che intende rifarsi al cristianesimo delle origini, trovano l’opposizione delle autorità civili e religiose. Un anno dopo Dolci compie una scelta che si rivelerà definitiva. Elegge la Sicilia dell’adolescenza a luogo dove crede di poter sperimentare e applicare i progetti educativi, sociali e forse politici sui quali ha riflettuto. Si stabilisce a Trappeto, nei pressi di Partinico, vicino ai contadini e agli operai e ai loro problemi. Costituisce il Centro studi e iniziative della valle dello Jato. Dà inizio a uno dei tanti scioperi della fame che distingueranno la sua scelta di vita. Nel 1953 avvia la costruzione di Borgo di Dio, con un asilo per i piccoli e un’università popolare. Sono strutture laboratorio che operano grazie al suo personale impegno e a quello dei suoi valorosi seguaci e collaboratori e alla generosità di persone che vivono a Nord del paese. Nello stesso anno sposa la vedova di una vittima del banditismo, madre di cinque figli, dalla quale avrà due bambine.
Nel 1955 esce per l’editore Laterza Banditi a Partinico e l’anno successivo da Einaudi un testo incentrato sul rispetto del diritto al lavoro sancito dall’articolo quattro della Costituzione. Due anni dopo gli viene conferito il premio Lenin per la pace, dotato di un cospicuo ammontare di denaro. Dolci lo accetta destinando la somma al Centro studi di Partinico. Coglie l’occasione, il premio ha risonanza mondiale, per ribadire la sua estraneità all’ideologia marxista e alla prassi delle forze politiche che a essa si ispirano. Da quel momento ogni anno sarà segnato da azioni spesso clamorose, sempre non violente, con il fine di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale ed estera sui problemi che assillano quelle comunità. I volumi di successo, le denunce del malcostume e del malgoverno, le marce a favore delle popolazioni colpite nel 1968 dal terremoto del Belice, i digiuni si accompagnano al sorgere di consorzi e cooperative ai quali aderiscono migliaia di soci, con significativi conferimenti di prodotti agricoli. Subisce processi penali e viene condannato per aver diffamato esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale. Solo l’amnistia gli evita il carcere.
L’UNESCO e alcune prestigiose università degli studi americane danno attenzione e rilievo all’opera di Dolci, anche ospitandolo. Ne scaturiscono rinnovate energie morali e significativi sostegni materiali che, secondo il fondatore, consentirebbero di migliorare le strutture educative, se fossero accreditate nel loro pieno significato e valore dalle amministrazioni, a partire da quelle municipali. Si avvia un dialogo difficile, spesso improduttivo. L’impegno per la scuola si affianca sempre a quello per facilitare la creazione di nuovi posti di lavoro. Il suo nome è ormai noto ovunque: una prova viene da un suo viaggio in Cina. Ama ripetere che il mondo è una sola città, con un ruolo fondamentale assegnato alla comunicazione. Immagina e cerca di realizzare una trasmittente locale, “Radio Libera”, per opporsi a chi ha il monopolio dell’informazione. Avrebbe voluto iniziare le trasmissioni il 25 marzo 1970: le autorità di Polizia glielo impediscono. Nei suoi propositi primeggia il sostegno ai comitati dei volontari chiamati a studiare paese per paese, quartiere per quartiere, come responsabilizzare gli abitanti per renderli cittadini, dando loro voce, promuovendo verifiche e discussioni senza censura. Non potendo avvalersi della radio, si concentra sulle attività formative. Per i giovani punta su nuove figure professionali: ricercatori-pianificatori, animatori sociali, educatori, cooperatori, amministratori locali, divulgatori agricoli.
Appartiene ai primi anni Novanta del secolo scorso la Bozza di manifesto, un grido di dolore e di denuncia per il prevalere ovunque nel mondo della volontà di potenza, di dominio. Dolci non deflette dalle sue posizioni lottando contro coloro che ritiene collusi con la mafia, pur tra ripetuti processi. Lotta contro quella che chiama l’indifferenza o addirittura l’ostilità di larga parte dei mezzi di comunicazione dell’epoca. Muore improvvisamente il 30 dicembre del 1997 nell’ospedale di Partinico, sfinito da vecchi e nuovi mali. Il Comune appena due mesi prima, dopo decenni d’impegno civile e di dedizione per i siciliani e per la Sicilia, gli aveva conferito la cittadinanza onoraria.
Nel suo agire Dolci si era sempre ispirato ai principi della Costituzione, nello sforzo di servire le comunità attraverso la casa, la scuola, la salute, la giustizia, il lavoro. Traguardi raggiungibili potendo far conto su autorità nazionali, regionali e locali e su cittadini responsabili. Per raggiungere le sue finalità, cerca anche di farsi forte dell’acquisita notorietà internazionale testimoniata dai rapporti diretti o epistolari con molteplici personalità dei suoi anni, tra le quali Jean Paul Sartre, Renato Guttuso, Bertrand Russel, Carlo Levi, Giorgio La Pira, Ignazio Silone, Cesare Zavattini. Proprio quest’ultimo il 7 febbraio 1977, a conclusione di uno scambio epistolare, gli fa sapere «Quanto avrei dovuto imparare da te (e anche da Capitini) ma invece si vede che non ho abbastanza umiltà» (Vocabolario della pace – Il carteggio tra Cesare Zavattini, Aldo Capitini e Danilo Dolci, a cura di Valentina Fortichiari, Succedeoggi libri, Roma 2022). Dolci anche nei mesi finali di vita, si sentirà sempre sorretto da una fede assoluta, intransigente nei suoi convincimenti, che contribuisce a restringere le possibilità di dialogo con le istituzioni. Quello che non abbandonerà mai il poeta, l’animatore sociale, il costruttore di originali realtà è, merita ripeterlo, la fiducia nella democrazia che in Italia ha trovato la sua àncora nei principi fondamentali della Costituzione repubblicana.