Testo e foto di Elena Augelli, Ludovico Clementi e Sofia Morassi
Da dove, da quanto/10

La storia di Lucia

Con il ritratto di Lucia Iavarone prosegue il racconto della storia del quartiere della Magliana raccontato dagli studenti del Liceo Montale di Roma

“Nonna, nonna! Ci racconti la storia della zia Lucia?”.

“Ancora? Ma cuccioli cos’altro vi devo dire?”.

“No, raccontala da capo nonna. Michele non se la ricorda bene” a parlare era stata una bambina paffutella, buttando a terra lo zaino delle elementari.

“Ehi non è vero! Sei tu… sei tu che la volevi sentire”.

“Va bene, va bene. Ora non litigate però, da bravi. Se volete così tanto sentirla vorrà dire che ve la racconterò da capo. D’accordo?”.

I gridolini elettrizzati dei due bambini sparsero il loro dolce suono nel modesto salottino della nonna-

“Sapete bene che Lucia, sorella di mia madre, viveva in modo completamente diverso da noi nonostante avesse la vostra stessa età”.

“Sì è vero, frecciava a braccia aperte per la strada sulla biccicletta insieme ai suoi amici!” gridò la piccola Anna entusiasta.

“Esatto, e fu proprio lei a insegnare ai suoi compagni come usarla, così che potessero divertirsi tutti insieme… comunque è sempre stata una brava insegnante vostra zia, sempre pronta a dare aiuto a chiunque glielo chiedesse”.

“Anche se ricordo che mia mamma ogni tanto me ne parlava prendendola in giro per la sua timidezza, per le sue insicurezze e indecisioni, ma sto divagando… la sua passione è sempre stata ciò che ho più ammirato di lei. E vi ricordate chi la aiutò a tirarla fuori da dentro di sé, questa passione?”.

“Sii, Anto- Anto- ehm”.

“Antonella!” urlò la sorellona con viso compiaciuto.

“Stavo per dirlo io!” ribatté offeso il piccolo.

“Esatto” batté le mani la nonna per richiamare l’attenzione dei due bambini, seduti ai piedi della sua poltrona “Lucia parlava sempre di come la sua maestra di scuola l’avesse aiutata a uscire fuori dal suo guscio attraverso ciò che amava di più: l’attività sportiva. Iniziò con la ginnastica artistica, proprio come te Michele.”

“Adesso non faccio più ginnastica, nonna” disse il quattordicenne dagli occhi scuri e le spalle larghe.

“Giusto, giusto, ora è il nuoto che ha preso il tuo cuore vero?”

“Ad ogni modo, pian piano, con la costanza e l’incoraggiamento della sua insegnante, Lucia riuscì a seguirne le orme, studiando, ma soprattutto lavorando sodo proprio secondo lo stile dei suoi genitori. Lucia sentiva un distacco profondo da loro, per via del cambiamento sociale e culturale che, come vi ho detto tante volte, negli anni 70 il nostro paese stava affrontando, ma alla fin fine li capiva e li stimava tanto per l’educazione che erano riusciti a dare ai loro tre figli. Fu proprio quest’educazione che le permise di rendersi conto della brutta situazione che purtroppo era parte della vita quotidiana di diversi suoi amici e conoscenti”.

“Sì, nonna, lo sappiamo che studiare è importante. Ce l’hai ripetuto fin troppe volte” fece annoiata la sedicenne dai capelli corvini.

“Non è solo questo, ragazzi miei. Lucia ha sempre saputo che nel suo quartiere purtroppo c’era qualcosa che non andava. Tutti quei ragazzi, abbandonati a loro stessi e raccolti nel grande circolo che era allora la droga.”

“Ma c’era anche qualcuno li aiutava giusto? Mi ricordo di un tale che parlava con un accento incomprensibile della Basilicata. La bisnonna una volta lo ha imitato e io e Anna ci abbiamo riso su per un mese”.

“Esatto Michele” sorrise compiaciuta la donna, i cui capelli erano diventati ormai un po’ più grigi “Antonella Placidi infatti lavorava nella palestra che Felice Grieco era riuscito, con i pochi soldi e contatti che aveva, a mettere in piedi alla Magliana. Io purtroppo non li ho mai conosciuti, nessuno dei due, mia madre avrebbe saputo dirvi di più, ma so che entrambi avevano lavorato sodo per far sì che sempre meno ragazzi si perdessero, aiutarono molti di loro dandogli delle speranze migliori a cui aggrapparsi e dunque delle diverse possibilità di vita.”

“Erano persone di buon cuore” constatò Anna che indossava i suoi soliti pantaloni di pelle e tacchi alti.

“Lo erano di certo. E la cosa più bella è che riuscirono a trasmettere la loro bontà anche alle persone con cui entravano in relazione, in primo luogo proprio a Lucia, che portò avanti la loro palestra. Ma, a un certo punto capì, seppur a malincuore, che le sue risorse non sarebbero più bastate per concedere alle sue giovani atlete ciò che si meritavano. Fu costretta a chiudere la palestra, indirizzando le ragazze verso società migliori e si trasferì lontano dalla Magliana. Era arrivato per lei il momento di capire la sua strada, di conoscersi davvero e concedersi del tempo per sé stessa, dopo aver fatto così tanto per la sua comunità”.

“Ah, è adesso che arriva suo marito, vero?” intercalò entusiasta il giovane universitario.

E sua nonna, aggrappandosi ai manici della sua poltrona leggermente impolverata, ridacchiò sonoramente.

“Beh, sì. All’epoca stava recitando in questo spettacolo su Frankenstein Junior e fu proprio durante una tournée in Sardegna che incrociò lo sguardo di colui che sarebbe diventato il padre di sua figlia. E così capì che, dopo tutti quegli anni in cui era stata bene per conto suo e in cui era riuscita a conoscersi bene, era giunto il tempo per lei di tornare a casa.”

“Una casa che per troppo tempo aveva definito distrutta, disastrata, ma che era rimasta sempre lì ad attenderla, bella e confortevole esattamente come la ricordava. Anche se i problemi sociali sembravano persistere quasi eternamente e più volte fu tentata di andare via nuovamente; volendo forse concedere a sua figlia una vita migliore, proprio come avevano fatto i suoi genitori con lei”.

“Sai nonna, non ho mai capito cosa intendessi con questa “vita migliore”. Insomma, Lucia alla fine è riuscita ad avere quello che desiderava, ad aiutare le persone che aveva care e allora quale altra vita avrebbe potuto desiderare?” la interruppe la giovane donna seduta a fianco a lei.

“Questo è vero tesoro, ma non del tutto corretto. In fondo non ci sarebbe stato alcun bisogno di aiutare delle persone se la situazione in cui esse vivevano non fosse stata… beh, problematica… sotto molti aspetti. Non devi dimenticare che per quante persone Lucia e i suoi compagni e insegnanti siano riuscite ad aiutare, ce ne sono.state altrettante che non ce l’hanno fatta”.

“Ci sono state tante volte in cui si è sentita giù, in cui ha pianto per la fatica e ha pensato di mollare tutto e nonostante ciò mi metta tristezza questo mi infonde anche tanto coraggio.”

“Queste sono belle parole, ma restano solo tali, nonna. Senti, sono anni ormai che ci racconti questa storia, ogni volta aggiungendo un dettaglio in più, ma né io né Anna abbiamo mai capito perché ti piace così tanto” disse cupo Michele, con i capelli tirati all’indietro, gli occhiali tra le mani e il busto rivolto in avanti, guardando la sagoma della donna ora sdraiata sul suo lettone, avvolta tra le coperte.

“Sì nonna, ogni volta che la finisci poi ti resta sempre quel sorriso a metà tra l’amaro e il compiaciuto in volto e poi sembri rattristarti tutto d’un colpo. E allora perché continui a raccontarcela?” continuò Anna, prendendo tra le sue la mano della nonna

La nonna lì osservò, senza muoversi o dire una parola per un po’ di tempo, osservò i loro capelli scuri ormai così diversi dai suoi, e poi rispose: “Perché ci sarà sempre chi, per un motivo o per un altro, non capirà come entrare in relazione con te oppure lo farà unicamente per un interesse personale e non perché veramente ti stima o ti ama. E se la storia di Lucia Iavarone mi ha insegnato qualcosa, questo è che la cosa più importante e preziosa che si possa avere in questa vita è la consapevolezza: la consapevolezza di ciò che si è, di ciò che si vuole essere e di ciò che si vuole trasmettere a chi si incontra.

Raccontare la storia di Lucia Iavarone però, significa per me soprattutto capire e far capire che le incertezze e indecisioni, proprie di ogni fase della nostra vita, vanno accettate e, nel caso, trasformate in una spinta vitale. La vita è l’unica cosa che conosciamo ed è anche ciò di cui abbiamo meno esperienza, e allora è giusto viverla attraverso l’esperienza.”

L’anziana chiuse gli occhi, addormentandosi sul letto, con le rughe sulle labbra rivolte verso l’alto.


Nelle fotografie: in alto, Lucia Iavarone; più in basso, a sinistra, Elena Augelli fotografata da Elisa Marchei; a destra, Ludovico Clementi fotografato da Filippo Castagna; qui sopra, Sofia Morassi ritratta da Simone Tucciariello.

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