Testo e foto di Alice Bellucci, Arturo Lovaglio e Mattia Uncini
Da dove, da quanto/7

La finestra di Roberto

«...Così un gruppo di lavoratori cominciò a lottare pe’ migliora’ il quartiere e fondò il Comitato. Ognuno faceva la sua parte...». Continua il racconto dello storico quartiere romano della Magliana fatto dagli studenti del liceo Montale

So’ cinquant’anni che apro ‘sta finestra tutte le mattine e troppi ne ho visti di cambiamenti! Se penso che non c’era niente quando so’ arrivato alla Magliana…

Erano i primi anni Settanta e il quartiere stava nascendo. Palazzoni di cemento venivano su come funghi e lasciavano poco spazio alle aree verdi. Tra un palazzo e l’altro solo strade di fango, altro che asfalto! Sicuramente l’idea di trasferirmi qui non ce l’ho avuta per il panorama. Ma gli affitti erano a buon prezzo e certo era meglio di farmi dalla Cassia al Gazometro tutte le mattine. La Magliana sembrava un cantiere abbandonato. Almeno mio figlio Luca si divertiva: passava i pomeriggi a rincorrersi co’ gli altri bambini tra le cataste di legno alte due metri, facendo finta che fossero castelli o fortini in cui nascondersi.

Prima le macchine erano ‘na rarità, non come ora che ogni famiglia ce n’ha almeno due. E gli autobus? Chi l’ha mai visti, figure mitologiche! Un po’ come adesso, che, anche se ci sono, te fai vecchio alla fermata, perché col traffico che c’è non arrivano mai. All’epoca nei quartieri nuovi come questo, di sicuro non mancavano brutti giri di droga; era facile prendere la strada sbagliata. Non si poteva contare nemmeno sulla scuola, visto che pe’ andarci dovevi fa i tripli turni. Pe’ fortuna dai problemi nasce anche la voglia di trova’ le soluzioni.

Così un gruppo di lavoratori cominciò a lottare pe’ migliora’ il quartiere e fondò il Comitato. Ognuno faceva la sua parte. Io pure mi so’ chiesto cosa fare, in che modo aiutare i ragazzi del mio quartiere. L’idea di organizzare la società di pallavolo m’è venuta perché mia figlia andava a pattinaggio a Laurentina e vedevo che lì c’era una. E, allora, perché non farla anche a Magliana? Nel ‘78 portai i ragazzi al Palazzetto dello Sport all’Eur: c’erano i Mondiali di pallavolo. Niente di meglio pe’ fa’ salì un po’ di spirito sportivo! L’anno dopo, infatti, ci fu la prima manifestazione. Riuscimmo a coinvolgere da subito molti ragazzi. Pure Luca era entusiasta e s’era portato dietro qualche amico. Io fui sincero, je lo dissi proprio: “Non v’aspettate i campi regolamentari. Qui il campo ce lo disegniamo co’ la calce!” Le facce sorridenti dei ragazzi mi fecero capi’ che quella era la strada giusta. E poi, finalmente, c’avevano qualcosa da fa’. Qualche anno dopo, me pare fosse l’83, non avendo strutture idonee, la parrocchia di quartiere mise a disposizione un’area, ‘na specie di rimessa pe’ le macchine. Non tutti, però, condividevano il nostro entusiasmo: dal palazzo che la Regione aveva dato agli inquilini, ce tiravano le patate e le uova dalle finestre.

Non potendo più seguitare lo sport, cercammo una nuova collocazione, senza perderci d’animo. La scuola Salvatore di Giacomo ci mise a disposizione la palestra. Ma anche lì davamo fastidio a qualcuno e c’erano contrasti co’ certi professori che si credevano i padroni. I problemi nascevano dal fatto che in un quartiere nuovo non ci si conosce. Ma mica è facile coinvolgere la gente! In questo, però, il Comitato fu fondamentale. Stavano facendo capi’ alla gente che i loro obiettivi erano gli obiettivi di tutto il quartiere e che si riusciva a fa’ qualcosa solo unendo le forze. Persino il parroco don Pietro partecipò alla lotta. Lo sport pure fece la sua parte, tra la maratona e il torneo in piazza. Arrivarono anche gli sponsor, tanti sponsor. La società stava crescendo. Infatti, nei primi anni Novanta, il Comune ci concesse i giardini pe’ fa’ i tornei di pallavolo. Era ‘na cosa seria, venivano invitati anche gli arbitri federali. C’è da dire che giocare in mezzo alla strada c’aveva i suoi contro. Una volta dovemmo interrompe’ ‘na partita perchè di lì doveva passare un carro funebre e il CONI ci fece la multa.

Nel ‘92 ci venne concessa la possibilità di allenarci di nuovo in una scuola, ‘sta volta a via dell’Impruneta. Ma anche lì non durò molto perché in quella struttura si doveva trasferi’ il commissariato di polizia, cosa che in realtà non è mai successa. Dopo quattro, cinque anni ci ritrovammo di nuovo senza una sede e come peregrini ci dovemmo sposta’. Non certo un viaggio lungo perché da Magliana finimmo ad allenarci nella parrocchia vicino a Piazzale della Radio, ma fu comunque un sacrificio, necessario per non perdere i ragazzi. Nei primi anni duemila il quartiere stava crescendo, e con lui anche le strutture. Dal 2002 al 2018, le manifestazioni si svolsero nel Pallone di Campo Marchetti, dove imparammo a condividere gli spazi con altre associazioni. Mica potevamo gioca’ solo noi! Dopo quarant’anni di onorato servizio come presidente della società decisi di lasciare: le responsabilità, soprattutto quelle legali, cominciavano a pesa’.

Ma la pallavolo resta viva nel DNA della famiglia Del Pinto! Le mie nipoti ancora fanno questo sport. Vederle giocare mi fa ripensa’ alle facce belle di tutti quei ragazzi (saranno stati centosessanta o centosettanta) che hanno dato ‘n senso al tempo e alla fatica che ho dedicato alla società di pallavolo Magliana. Mi piace pensa’ di ave’ dato una possibilità di riscatto a qualcuno che altrimenti si sarebbe perso nelle brutture che un quartiere come questo può nascondere.


Nelle foto: in alto a sinistra, Alice Bellucci ritratta da Simone Tucciarello; a destra, Arturo Lovaglio fotografato da Mattia Uncini; qui sopra Mattia Uncini ritratto da Arturo Lovaglio.

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