Arturo Belluardo
Liberazione sempre

Richetto e il communista

La memoria vince sull'odio: l'ignobile scritta comparsa la mattina del 25 aprile 2024 sulla lapide di un partigiano sarà spazzata via dalla storia. A questo tema è dedicato il racconto di Arturo Belluardo

Questa mattina, 25 aprile 2024, a Bravetta, a Roma, sulla lapide che ricorda il partigiano Augusto Latini che sacrificò la sua vita per salvarne un altra, è comparsa questa miserabile scritta. A testimonianza del fatto che la memoria vince sempre sull’odio, pubblichiamo questo racconto di Arturo Belluardo.


Richetto era gajardo. Girava spavaldo per la Scrofa con le mani in tasca, il petto in fuori, il sole in fronte. Elegantissimo, un vero paino. Se ne andava a spasso a dar fastidio alle pischellette con il suo amico Leone Limentani.

“Ahò, Leò, anvedi quella? Che dichi?”.

“Dico che Sara l’hai da lassà perde, che è giudia”.

“Embè? Che me frega? Non sei giudio pure te?”

E giù a ridere. Come quando da regazzini facevano a gara a chi centrava con la fionda di camera d’aria il culo di Renzo, il garzone del caciaro, mentre era curvo sulla Fontana delle Tartarughe a lavare le forme di caciocavallo.

“A’ bru-bru-bru…”. Renzo zagagliava e il tempo che arrivava a “mignotta”, loro erano già lontani. E giù a ridere. E a cantare “Se quel guerriero io fossi”, che erano voci bianche al Teatro dell’Opera.

Sempre appiccicati lui e Leone. Appiccicate le case alla Stelletta. Appiccicati i negozi dei padri, articoli da viaggio da Guercini e camicie da Limentani. Poi, una mattina di ottobre del ’43, i tedeschi s’erano bevuti a Leone. L’avevano tirato fuori da casa che scalciava e piangeva come un vitello. Richetto s’era precipitato giù in strada.

“A’ stro…” una mano grande e callosa gli turò la bocca, mentre l’altra gli bloccò il sampietrino che stava per tirare.

“Richè” gli disse la faccia larga e triste di zì Agusto “Nun ce stà gnente da fà”.

“Ma zì, che je fanno a Leone? Nun ha fatto gnente, è un bravo cristiano, anche se è un giudio!”.

“Appunto: è un giudio.” disse zì Agusto “Ma dimme un po’. Te va de damme ‘na mano?” e lo scrutò profondo e scuro, a capire se poteva fare a fidasse de ‘n pischello de diciott’anni.

Richetto avrebbe fatto qualsiasi cosa per quello zio, che suo padre nun poteva soffrire perché era communista. Lo seguì dentro una porticina sul retro della Chiesa di Sant’Antonio dei Portoghesi. Lì ci stava un prete, tutto uguale a quell’attore del varietà, Aldo Fabrizi.

“’Ndò stanno?” je disse zì Agusto.

“Siete sicuro, signor Latini? A casa vostra? E vostra moglie?”.

“Agnese è d’accordo. E pure Eugenia, je fa piacere avere due nuove sorelline”.

Il prete tornò con dù ragazzine per mano, i volti sporchi dalle righe delle lacrime.

“Sara, Giuditta, mò ve chiamate Clara ed Elena. Date la mano a vostro cugino Enrico.”

Enrico, Richetto camminava sorridendo per il Ponte dell’Angelo. Le mani in tasca, il petto in fuori, il sole in fronte. Pensava alla sera prima, che aveva fatto la sua prima azione partigiana. Con zì Agusto e con un certo Franchellucci s’erano infilati alla galleria del cinema “Impero” all’Acqua Bullicante e, all’intervallo de “La nave bianca”, un momento prima del buio, avevano fatto volare i volantini communisti giù in platea. Poi si erano separati. Richetto aveva preso il trenino dei Giardinetti, calmo e tranquillo, tirandosi su il bavero della giacchetta. Avevano appuntamento l’indomani a mezzogiorno a Castel Sant’Angelo.

Richetto camminava sorridendo per il Ponte dell’Angelo e nun s’era accorto de gnente. Vide zì Augusto farglisi incontro a capo chino, buio, oltrepassarlo senza guardarlo e andare all’altro capo del ponte. Proprio sotto l’angelo con la croce, c’era una camionetta di repubblichini e Richetto, facendo finta di guardare i mulinelli del Tevere, seguì zì Augusto che, spavaldo, con le mani in tasca, il petto in fuori, il sole in fronte, si piantò davanti a quegli infami.

“A’ fascisti! Era me che cercavate? Ecchime qua. A disposizione”.

Richetto andò via piano, senza voltarsi, le lacrime che gli sporcavano il volto. Renzo lo nascose nel magazzino della caciara. Poi il prete con la faccia de Fabrizi lo fece scappare tra le montagne d’Abruzzo.

Augusto Latini fu portato al carcere di via Tasso, dove le camicie nere di Koch lo torturarono. Non parlò. Scrisse tre lettere alla moglie Agnese. Lo fucilarono alla schiena a Forte Bravetta il 31 gennaio del 1944. Il corpo fu buttato in una fossa comune assieme agli altri traditori. Solo dopo due giorni, la figlia Eugenia riuscì a trovarlo e a farlo seppellire al Verano.

Il prete, don Morosini, fu fucilato anche lui a Bravetta e Rossellini girò un film su di lui con Aldo Fabrizi.

Le due bambine ebree si salvarono.

Richetto, Enrico Guercini, mio suocero è morto nel 2009. Al suo funerale, oltre alle figlie Monica e Corinna, c’erano tutti ebrei.

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