Un racconto romano
Enrica e la pietà
«Istintivamente scattai una foto e per togliermi dall’imbarazzo per quell’intrusione chiesi come si chiamasse la creaturina. «Enrica» mi rispose e poi bofonchiò parole confuse, quasi sottovoce...»
Era un pomeriggio di Luglio del 1989, ero tornato a via Aspertini per portare le stampe di alcune fotografie che avevo scattato alcuni giorni prima verso l’imbrunire, ad una nutrita tavolata, su una spianata prospiciente un palazzo occupato, davanti ad una strana chiesa e a due roulottes di zingari vicino ad un tendone sbilenco.
Cercavo Arnaldo, che la sera della spaghettata, vedendomi con le macchine fotografiche al collo, mi disse: «A barba viecce a fa’ du foto e poi portale a me, che me trovi sempre, sto sempre a casa, sto all’arresti domiciliari».
Così feci.
Arrivato al terzo piano bussai alla porta di Arnaldo, mi accolse in pantaloncini e mentre mi faceva strada vidi che aveva un grosso drago tatuato sulle spalle, mi era parso contento che fossi tornato.
L’appartamento era disadorno, un letto, un tavolo, una sedia e una birra a metà.
Sfogliando le foto disse subito: «Questa, a Mario nu ja potemo dà più, l’altra sera s’è fatto de robba e è ito a sbatte co’ a moto contro quei piloni de cemento che bloccano a strada. È morto sur colpo».
Mario era stato derubricato, senza una apparente emozione.
«Annamo a portà sta foto a Alfredo che nun se po move, che l’ascensore è rotto».
Mentre scendevamo, dopo la prima rampa di scale ci apparve di fronte un uomo piccolo, minuto, che con un braccio si teneva la fronte e con l’altro reggeva una bambinetta.
Istintivamente scattai una foto e per togliermi dall’imbarazzo per quell’intrusione chiesi come si chiamasse la creaturina. «Enrica» mi rispose e poi bofonchiò parole confuse, quasi sottovoce. Chiesi ad Arnaldo se avesse capito e mi disse che l’uomo era disoccupato ed era senza soldi. Un po’ per il senso di colpa pensando di aver rubato qualcosa con quello scatto, un po’ perché la situazione mi appariva oggettivamente drammatica, presi i pochi biglietti da 10.000 lire che avevo in tasca e li consegnai appallottolati come li avevo afferrati a quel padre disperato che li agguantò rapidamente scomparendo altrettanto rapidamente, con la neonata in braccio, giù per le scale.
Sono ripassato recentemente in via Aspertini. Oggi la strada non è più la stessa, il palazzo è stato sgomberato e ristrutturato, altri edifici sono sorti sul pratone della spaghettata, davanti a quella strana chiesa. Non c’erano neanche più, ovviamente, le due roulottes di gitani di quel circo senza spettacolo.
Oggi Enrica dovrebbe essere una donna di circa trentacinque anni.