I deliri del bibliofilo
A colpi di pamphlet
Le tappe della querelle tra Artaud e Breton, all’interno del movimento surrealista, sono scandite da una serie di testi in cui i due autori si rimproveravano a vicenda la diversa interpretazione della rivoluzione che cercarono di mettere in atto in quella stagione «breve e folgorante»
L’adesione di Artaud al movimento surrealista si situa dopo la lettura da parte di Breton della Correspondance avec Jacques Rivière che esce, con il titolo Une corrispondance, nel n. 132 del 1° settembre 1924 della «Nouvelle Revue Française», all’epoca diretta proprio da Rivière. Breton si entusiasmò alla lettura del carteggio e, di lì a poco, cominciò il suo sodalizio con Artaud che si protrarrà, fra alti e bassi, fino alla morte di quest’ultimo. Già nel primo numero della rivista ufficiale del nuovo movimento, «La Révolution Surréaliste», dall’eloquente titolo Bisogna arrivare a una nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo, figura un emblematico fotomontaggio che propone il ritratto di alcuni antesignani affiancati alle figure di spicco del gruppo, tra cui appunto quella di Artaud, disposte intorno all’immagine di Germaine Berton, un’anarchica che aveva assassinato il rappresentante del partito monarchico Marius Plateau. In basso è riportata la seguente frase di Baudelaire: «La donna è l’essere che proietta la più grande ombra o la più grande luce nei nostri sogni».
È logico che la figura di Artaud dovesse affascinare quegli intellettuali che riscoprivano, sulla falsariga dell’inconscio freudiano, il mondo onirico e la sessualità, oltre all’interesse manifestato nei confronti di ogni devianza di tipo patologico. Nel n. 2 della «Révolution Surréaliste» figura un’inchiesta sul suicidio in cui si segnala un interessante contributo di Artaud dove, tra l’altro, si asserisce che «il suicidio è soltanto un’ipotesi». In questo breve testo sembrano prefigurarsi le tematiche che saranno sviluppate in maniera più articolata, oltre vent’anni dopo, con la pubblicazione del Van Gogh le suicidé de la société. Oltre a uno scritto ispirato ai quadri di Masson è presente anche un testo polemico dedicato al consumo degli stupefacenti, intitolato Sicurezza generale. La liquidazione dell’oppio, in cui si fa una netta distinzione tra l’uso che viene fatto delle droghe a fini terapeutici e quello considerato più specificamente «voluttuario». Si tratta del primo di una serie di testi a carattere violentemente polemico indirizzati da Artaud contro il perbenismo della borghesia francese dalle pagine dell’organo ufficiale del surrealismo.
La spiccata personalità di Artaud (nella foto) diventa, in breve, quella di un leader, tanto che gli viene assegnata nel 1925 la direzione del Bureau de recherches surréalistes. Tale ufficio, inizialmente aperto al pubblico, ha la funzione di promuovere ogni sorta di attività che abbia attinenza con l’inconscio. La virulenza con la quale Artaud contraddistingue la sua verve polemica all’interno del gruppo si palesa attraverso il contrasto che intercorre tra la generica enigmaticità dei papillons surréalistes, volantini colorati che accolgono una frase, rigorosamente anonima, di qualche esponente («Se amerete l’Amore / amerete / il Surrealismo») e i suoi interventi di taglio iconoclasta. Risale a questo periodo la Dichiarazione del 27 gennaio 1925, vero e proprio manifesto surrealista la cui paternità, nonostante sia stato firmato da ventisette aderenti al gruppo, sembra sia da attribuire ad Artaud. Il manifesto, diviso in nove parti essenziali, rivendica la capacità di aderire a modelli di chiara matrice rivoltosa. «Siamo degli specialisti della rivolta», vi si legge infatti.
Ad Artaud viene affidata la curatela del n. 3 della «Révolution Surréaliste» intitolato emblematicamente 1925: fine dell’era cristiana. Con un tono violento e provocatorio, che rasenta l’invettiva blasfema, Artaud compone alcuni degli interventi più radicali del movimento, indirizzati di volta in volta a quelle che vengono considerate le figure-chiave di una società impostata sulle regole del profitto e del conformismo: il Papa, i rettori delle università europee, finanche il Dalai Lama e le scuole del Budda. A tali adresses, pubblicate in forma rigorosamente anonima, va aggiunta la lettera indirizzata ai direttori dei manicomi che, se non sul piano della stesura, affidata quasi sicuramente a Robert Desnos che si avvalse della collaborazione del medico Théodor Fraenkel, risente molto dello spirito con il quale Artaud concepisce questi veri e propri manifesti della «rivolta». La Lettera ai Primari dei manicomi rappresenta una profetica visione di quelle che saranno le problematiche di Artaud attinenti al quasi decennale internamento presso vari istituti psichiatrici.
Con la pubblicazione del n. 4 della «Révolution Surréaliste» la situazione cambia radicalmente. Breton (nella foto) assume infatti la direzione della rivista, affidata fino a quel momento a Pierre Naville e Benjamin Péret, nonostante le direttive del movimento dipendessero, in gran parte, dallo stesso capostipite del surrealismo. Da questo momento in poi i contributi di Artaud diventeranno meno frequenti. «La Révolution Surréaliste» ospiterà nei numeri seguenti suoi testi dal carattere più esplicitamente creativo. È in ogni caso sintomatico che il n. 4 non accolga alcuno scritto di Artaud e che il n. 5 ospiti soltanto la Lettera su me stesso, un testo dal carattere introspettivo. Altri componimenti vedranno la luce nei numeri 7 (L’incudine delle forze, Invocazione alla mummia) e 8 (Lettera alla veggente, Uccello il pelo), per poi confluire, con eccezione della poesia ispirata al tema della «mummia», nella raccolta L’Art et la Mort, pubblicata da Denoël nel 1929.
Bisognerà aspettare l’uscita del n. 11 della «Révolution Surréaliste» per vedere altri brani di Artaud. In questo numero, infatti, risalente al 15 marzo 1928, si possono leggere sia la prosa intitolata L’Ossicino tossicosia una breve lettera indirizzata a Breton dall’Hôpital Sédillot. Questi testi rappresentano, di fatto, un tentativo di riavvicinamento tra Artaud e Breton dopo che quest’ultimo, alla fine del novembre 1926, espulse dal movimento sia Artaud sia Soupault, rei di non aver aderito alla svolta ideologica impressa al gruppo. A tal riguardo, nella primavera 1927, uscirà il pamphlet Au grand jour in cui, nella prima parte, si attaccano violentemente i due dissidenti. Si tratta di un opuscolo, di appena 32 pagine, di cm 16 x 12, che presenta in copertina il titolo a caratteri cubitali e, più in piccolo, luogo e data di stampa: «Paris 1927». Al posto del colophon figura la seguente dicitura: «Cet ouvrage a été tiré pour Les Éditions Surréalistes 16, rue Jacques-Callot, Paris». Artaud è tacciato di «vedere nella Rivoluzione solo una metamorfosi delle condizioni interiori dell’anima, il che è la caratteristica dei menomati mentali, degli impotenti e dei vigliacchi». E ancora: «Oggi, noi abbiamo vomitato questa canaglia. Non vediamo perché una tale carogna dovrebbe aspettare ancora molto per convertirsi o, come probabilmente direbbe lui, per dichiararsi cristiano». La requisitoria è sottoscritta da Aragon, Breton, Eluard, Péret e Unik di cui vengono riprodotte, in calce al testo, le firme in facsimile.
La risposta di Artaud non si fa attendere e, nello stesso anno, l’autore marsigliese fa uscire a proprie spese un libello in cui, sin dal titolo, rovescia le tesi sostenute da Breton e dai suoi accoliti. À la grande nuit ou le bluff surréaliste accoglie le sue caustiche considerazioni intorno all’avventura surrealista. Il fascicoletto, di 16 pagine, misura cm 16,5 x 12,6, ed è stato stampato presso la Société Général d’Imprimerie et d’Édition, sita al 71 di rue de Rennes, a Parigi. In copertina e nel frontespizio figurano il nome dell’autore, il titolo impresso a due colori e la dicitura «À Paris chez l’auteur Juin 1927». La polemica tra Breton e Artaud si risolve soprattutto sul versante ideologico. Quest’ultimo non aveva infatti sostenuto la svolta politica impressa da Breton e dagli altri surrealisti, svolta che sfocerà nella chiusura nel 1929 della «Révolution Surréaliste» e nella nascita di una nuova testata, dal titolo quanto mai eloquente: «Le Surréalisme au service de la Révolution». È significativo che nei sei numeri pubblicati da questa rivista, tra luglio 1930 e maggio 1933, non sia presente nemmeno un contributo di Artaud il cui nome viene, peraltro, citato una sola volta, in maniera sprezzante, da Péret. Artaud volle comunque, nello stesso 1927, mettere fine alla querelle con Breton, pubblicando un altro opuscolo, scritto in collaborazione con Georges Ribemont-Dessaignes e André Barsalou. Point final ebbe tuttavia una diffusione molto circoscritta, in quanto la tiratura fu mandata in toto al macero, dopo che Artaud non fu in grado di pagare le relative spese di stampa. Si è salvata dall’autodafé solo qualche rarissima copia, appartenuta al tipografo e a qualche suo stretto collaboratore.
La stagione surrealista, definita da Odette e Alain Virmaux «breve e folgorante», fu, in ogni caso, un toccasana per Artaud che prese consapevolezza della propria personalità carismatica e impresse una virata quanto mai feconda alle sue opere. In tale lasso di tempo compose alcuni dei suoi libri più rappresentativi, in cui domina una visione della vita originale e dolorosamente lancinante: da L’Ombelic des Limbes(1925) a Le Pèse-Nerfs (1925) a L’Art et la Mort (1929). Tuttavia la sua adesione al surrealismo si può considerare atipica, in virtù della profonda differenza che intercorre fra l’atteggiamento della maggior parte dei surrealisti, orientato a sondare in maniera spesso cerebrale il mondo dell’inconscio, e quello di chi vive sulla propria pelle le stimmate dello sradicamento e della follia.