Diario di una spettatrice
Virzì torna a Ventotene
Fa discutere il nuovo film di Paolo Virzì, il sequel di "Ferie d'agosto": vuole raccontare l'Italia di oggi ma finisce per essere un "amarcord". Tra nostalgia e orrore del presente
C’è una legge nel cinema per la quale il sequel fa sempre rimpiangere il film che l’ha originato. Ovviamente ci sono le eccezioni. Per spiegare ciò che fra poco scriverò del film di Paolo Virzì Un altro ferragosto, devo fare una premessa che in apparenza non c’entra ma c’entra: sono stata l’ufficio stampa della Società editrice il Mulino per vent’anni. Il Mulino di Bologna, un’impresa editorial-culturale complessa che ha fornito per anni idee ai riformisti italiani, ha tra i suoi padri nobili quel gruppo di intellettuali antifascisti che il regime mandò al confino nell’isola di Ventotene e che si chiamavano Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi. Sono gli autori del “Manifesto di Ventotene”, il documento visionario su cui si fonda l’identità dell’Unione Europea.
Che c’azzecca questa pagina di storia col film di Virzì? C’azzecca, perché a un certo punto il regista livornese evoca con immagini in bianco e nero proprio quella vicenda, suggerendo agli spettatori un riferimento politico-culturale altissimo per la storia, un po’ commedia e un po’ satira di costume, della contesa tra le famiglie Molino e Mazzalupi che proprio a Ventotene ha luogo e che aveva raccontato quasi trent’anni fa nel film mitico Ferie d’agosto, di cui Un altro ferragosto è il seguito. Almeno immagino fosse questa l’intenzione di Virzì quando ha pensato di tirare in ballo i celebri confinati di Ventotene.
È un riferimento che mi ha commossa per le ragioni che ho appena detto, ma che secondo me con questo film c’entra poco, è un’aggiunta che mi è parsa posticcia, sospetto anche che per molti spettatori sia incomprensibile. Lo dico senza giri di parole: l’ultimo film di Virzì mi ha delusa come mi deluse l’anno scorso Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, l’ho trovato triste e prevedibile, insomma non mi è piaciuto.
Sono passati quasi trent’anni e ci immergiamo di nuovo nella parodia della lotta di classe trasferita sugli scogli di Ventotene, tra i progressisti Molino che sanno leggere e scrivere e i destrorsi Mazzalupi coatti e ignoranti. Com’è questo sequel? Mi è sembrato che anche la seconda puntata fotografi il passato più che il presente, nonostante l’intenzione di Virzì di attualizzare la storia, tutto è cambiato e niente è cambiato. Di certo, poiché siamo nel 2024, la parodia non fa più ridere: non è più il tempo della satira politica che prendeva allegramente a sberleffi il berlusconismo nascente, oggi non riusciamo certo a sghignazzare su chi siamo diventati e sulla destra che ci governa. Il confronto con ciò che eravamo è impietoso anche per gli attori e ho guardato con disagio l’invecchiamento degli amati protagonisti di un tempo che rischiano di diventare le caricature di se stessi, nonostante sia evidente lo sforzo di tutti di evitarlo. Aggiungo che molto pesa l’assenza di un fuoriclasse come lo scomparso Ennio Fantastichini, cui era affidato il compito di mantenere alto il livello di una commedia non banale, un ruolo che in questo film mi pare assegnato al palazzinaro spiantato Christian De Sica, ma non con lo stesso risultato.
Così la legge che colpisce i sequel scatta nonostante le buone intenzioni del regista: la sceneggiatura si ingarbuglia nell’intreccio frammentario delle vicende personali in cui lo spettatore spesso si perde, almeno io mi sono persa. E soprattutto l’ironia micidiale che faceva della disfida estiva tra i Molino e i Mazzalupi la metafora dell’Italia di allora, oggi diventa un déjà vu prevedibile e malinconico.
Se l’intento di Virzì era di enfatizzare, alla luce dell’attualità, il contrasto tra chi ancora crede in quell’idea di paese nata a Ventotene e chi invece preferisce stare sui social e seguire gli influencer come Sabry (la brava Anna Ferraioli Ravel), mi pare che l’operazione sia riuscita a metà e ho anche pensato che magari era meglio raccontare una storia tutta nuova, una storia del nostro presente. Certo, è difficile fare i conti, cinematograficamente parlando e ancora di più politicamente, come sappiamo, con il paese che siamo diventati. In fondo, a lanciare un messaggio forte in quella direzione è riuscita solo Paola Cortellesi con il suo C’è ancora domani e gli incassi pazzeschi dimostrano che quel messaggio l’hanno colto tutti.
Silvio Orlando commovente nella sua resistenza ad oltranza fino alla fine, brava soprattutto Sabrina Ferilli, ironica e grintosa. Bella la locandina disegnata dallo stesso Virzì e che a me ricorda il manifesto felliniano di Amarcord. Credo che anche Un altro ferragosto di questo ci parli.