Cartolina dagli Usa
L’America al bivio
La posta in gioco del Super Tuesday, il giorno delle grandi votazioni per nomination del candidato repubblicano, è altissima: ormai in gioco c'è il futuro della democrazia Usa, tutti i commentatori lo sottolineano. Eppure...
E cosi, finalmente, siamo arrivati al Super Tuesday! Il giorno cioè in cui ci sarà la nomination del candidato repubblicano per la presidenza degli Stati Uniti. E, a meno di un inaspettato cataclisma elettorale, sarà l’ex presidente Donald Trump. Quindici stati dovranno votare oggi. Ma la candidata che strenuamente si batte contro l’ex presidente, Nikki Haley, ex governatrice della South Carolina ed ex ambasciatrice all’Onu, fino ad ora, eccetto alcune rare eccezioni, ha perso in quasi tutti gli stati che hanno tenuto le primarie. Haley ha messo in guardia il suo stesso partito affermando che se vince il suo avversario “il partito sarà Donald Trump e il RNC (Republican National Committee) si trasformerà nel suo privato fondo nero legale”. Il che potrebbe essere semplicemente l’accusa di un’avversaria. Ma che il partito ormai sia diventato Trump appare chiaro. Tanto che gli elettori repubblicani, nonostante le sue numerose condanne per diversi capi di imputazione che vanno dalla bancarotta fraudolenta ad insurrezione armata contro i poteri dello stato ad avere usato i fondi pubblici per la sua campagna elettorale per pagare una prostituta, per citarne solo alcuni, lo preferiscono ad una donna, di origini indiane che si sta battendo per combattere il deterioramento e la corruzione del partito di Abraham Lincoln. Ricordo per inciso che anni fa, quando il Congressman dell’Illinois, Jessie Jackson Jr., figlio dell’omonimo reverendo di Chicago, andò in carcere per due anni e mezzo insieme alla moglie per appropriazione indebita di fondi della sua campagna elettorale, nessuno batté ciglio.
Trump, all’accusa di avere creato un culto della personalità intorno a sé stesso ha risposto ad Haley che ha un cervello di gallina (brainbird): un’offesa invece di un’argomentazione e una risposta. La ex governatrice dopo un’iniziale decisione di non attaccare direttamente Trump ha cambiato tattica negli ultimi dibattiti, sia perché oggetto di attacchi continui da parte del tycoon, sia perché la posizione di Trump giuridicamente si è aggravata e le sue affermazioni si sono fatte più impudenti. Al CPAC (Conservative Political Action Conference) ad esempio, il chairman della Convention ha salutato la presenza di Trump con un inno alla fine della democrazia e al fatto che se vince sarà completato quello che è stato iniziato il 6 gennaio con l’attacco a Capitol Hill. Credo, senza esagerare, che queste siano affermazioni degne dei Fasci di Combattimento della prim’ora in Italia negli anni ’20 del Novecento e non di personaggi che vivono oggi nella culla di una democrazia che ha avuto ben pochi tentennamenti al suo interno. Haley ha inoltre più volte cercato di parlare agli elettori dicendo che non è sicura che Trump rispetterà la Costituzione una volta rieletto e ha avvisato il partito che la sua vittoria sarà un disastro per i repubblicani e un suicidio per il paese la cui traiettoria è incerta se si trova nelle mani di Trump.
E tuttavia Donald Trump sembra avere dalla sua molte concause che congiurano a determinare la sua nomina.
Se credessi nelle teorie del complotto, dove le coincidenze, come in ogni film che si rispetta, in questo caso distopico, non sono mai casuali, penserei che quello che sta accadendo sia frutto di qualcosa studiato a tavolino. Perché è abbastanza strabiliante. La Corte Suprema, ad esempio, che di solito impiega mesi per prendere una decisione, questa volta, non solo con una tempestività inusitata, proprio prima del Super Tuesday, ha deciso che il nome di Trump che era stato eliminato dalle schede elettorali del Colorado (questo esempio stava per essere seguito da numerosi altri stati) deve ricomparire sulle stesse, ma non si è neanche pronunciata sull’accusa di insurrezionalismo a lui rivolta. Ha infatti decretato, guardando alla sezione 3 del 14esimo emendamento che bandisce dalle elezioni presidenziali qualsiasi candidato si sia macchiato dell’accusa di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, che questa decisione spetta al Parlamento. Ricordo che nella Corte Suprema i giudici conservatori superano di gran lunga quelli liberal (6 a 3) e che Trump ha avuto la fortuna di poterne nominare ben 3.
Un vero regalo a Trump quest’ultima decisione che infatti come tale egli ha recepito, esprimendosi in termini lusinghieri nei confronti dei giudici che l’hanno emessa.
In aggiunta a ciò, domenica scorsa nella sua intelligente trasmissione GPS e nel suo articolo sul Washington Post, Fareed Zakaria noto editorialista della CNN ha rimproverato a Biden di essere inefficiente per quanto riguarda la guerra in medio oriente e di non essere capace di fermare il massacro del popolo palestinese nella striscia di Gaza per mano di Israele. E questo è assolutamente vero e importante da ribadire, perché non si possono tollerare le morti di innocenti, soprattutto di bambini, che si stanno verificando in quell’area. E Israele per bocca del suo primo ministro, l’arrogante Bibi Netanyahu, si prende gioco di tutti e non ascolta nessuno, continuando a massacrare un popolo che cerca solo di sopravvivere. Detto questo, mi chiedo se sia stato opportuno, da parte di Zakaria, esprimersi in questi termini proprio a ridosso del Super Tuesday e delle primarie repubblicane, facendo rimarcare ancora una volta l’inefficienza, la mancanza di leadership e di sicurezza nel guidare il paese di Joe Biden.
In margine a questo ci sono un paio di considerazioni da fare che dipendono l’una dall’altra.
La prima riguarda la figura del presidente attuale. Biden, certo, è anziano, si muove con difficoltà, tartaglia, incespica, fa delle gaffe, sbaglia i nomi dei presidenti, si dimentica la data della morte di suo figlio, ma in politica interna ha realizzato riforme epocali che mi meraviglio che proprio dalla sua parte nessuno ricordi (ne ho scritto più volte su queste pagine e non vale la pena di ripeterle). E in politica estera ha cercato di mantenere un’asse democratica nelle sue decisioni, dal precipitoso ritiro dall’Afghanistan, ma pur sempre ritiro necessario, alle prese di posizione contro la Russia nei confronti dell’Ucraina alla quale sta cercando di continuare a mandare aiuti (salvo l’ostruzionismo dei repubblicani in Parlamento); perfino con Israele ha interrotto un feeling che durava da anni senza tentennamenti; ha una posizione nei confronti della Cina di osservazione guardinga e verso i paesi arabi un interesse moderato, per citare solo alcuni esempi.
Biden è il ritratto di un’America che invecchia, la cui leadership nel mondo si sta indebolendo, e perde colpi, incespica e a volte tartaglia.
La seconda in conseguenza di ciò che ho appena scritto, riguarda la cosiddetta pax americana. Mi viene da dire, mutuando le parole da una diversa espressione latina, pax, dura pax, sed pax. Con questo intendo dire che certo la pace americana spesso è stata ingiusta, violenta come ha scritto giorni fa sul Corsera Antonio Polito, il quale auspica che possano votare alle elezioni americane anche i cittadini europei, cercando di spingerli almeno a votare bene per le europee di giugno, ma pur sempre pace è stata ed è durata per molti anni. Io che ho il privilegio di poter votare alle elezioni americane e a quelle europee, condivido il punto di vista di Polito che perdere la leadership americana per quanto claudicante e in difficoltà è davvero un danno per il mondo. Va a vantaggio di paesi come la Russia e in misura minore della Cina o di certi paesi arabi che certo democratici non sono e che si stanno improvvisando mediatori di molte situazioni delicate nel mondo. E a svantaggio della convivenza dei popoli in generale. Ma chissà che in un futuro, anche se non molto ravvicinato, l’America, sempre capace di rigenerarsi come un’araba fenice, non riesca a sorprenderci di nuovo.