Diario di una spettatrice
Equivoco in classe
"La sala professori" del tedesco Ilker Çatak è un film sull'impossibilità di immaginare (e soprattutto di realizzare) una scuola perfetta
Se fosse una serie televisiva, La sala professori sarebbe perfetta: il ritmo incalzante del thriller, una sola location (una scuola media tedesca), all’inizio un incidente apparentemente trascurabile che poi, come una valanga, travolge tutto, personaggi credibili, una protagonista bravissima, l’uso discreto della camera a mano, un commento musicale non invadente, insomma in questa storia ci sono tutti gli ingredienti per creare la tensione necessaria ad agganciare lo spettatore fin dalle prime scene. Se fosse una serie televisiva anche il finale irrisolto avrebbe un senso, lo spettatore penserebbe: è ovvio, ci sarà una seconda stagione.
Mi rendo conto da queste considerazioni di avere guardato La sala professori, il film del quarantenne regista berlinese Ilker Çatak candidato dalla Germania all’Oscar per il miglior film internazionale, con uno sguardo che è rimasto mio malgrado estraneo e mi chiedo perché. Credo che la ragione sia imputabile al doppiaggio, ieri purtroppo non era disponibile la versione originale e questo ha compromesso il mio giudizio. Prima raccomandazione: cercatelo in versione originale.
Ma cos’è La sala professori? Michele Anselmi giustamente lo definisce un potente apologo sul sospetto e sull’eterogenesi dei fini, una storia che non interessa solo insegnanti e genitori di dodicenni, ma ci interroga tutti perché riguarda le intenzioni delle nostre azioni, questo è il punto al centro della pellicola.
C’è una giovane insegnante di matematica ed educazione fisica proveniente da Danzica, Carla Nowak (interpretata dalla straordinaria Leonie Benesch), che arriva in una scuola media tedesca con tutta la sua passione e i suoi capelli rossi, in ogni situazione si schiera apertamente dalla parte dei suoi allievi e loro la adorano, meno i colleghi che la guardano come un’estranea un po’ invasata, nonostante lei faccia di tutto per farsi accettare ed eviti di parlare in polacco.
La sua empatia coi ragazzi non si basa su una comunicazione tradizionale: quando entra in classe ripete con loro un piccolo rito per sintonizzare il gruppo e quando il chiasso esplode e nessuno più ascolta nessuno, lei batte le mani e i ragazzi subito le rispondono battendo le mani all’unisono e ristabilendo così il silenzio.
Ma in questa scuola non bastano i riti per iniziare bene la giornata, accadono cose strane, furti inspiegabili ai quali la preside risponde con la tolleranza zero. Un ragazzo di origine turca finisce per essere sospettato ma viene subito scagionato, sembra solo un piccolo incidente risolto ma non è così.
La valanga degli effetti a catena che Carla innesca suo malgrado, mossa dall’intenzione di tutelare i suoi studenti dai sospetti e dagli interrogatori del corpo insegnante ma ottenendo l’effetto contrario a quello sperato, metterà tutto in discussione, rivelando la precarietà degli equilibri e i pregiudizi radicati dietro la maschera del politicamente corretto. La scuola si rivelerà per ciò che è: un’istituzione in crisi profonda incapace di gestire sia il bullismo tra gli studenti, che l’aggressività di allievi e genitori verso un’insegnante che non è più simpatica come prima. Il risultato è un campo di macerie senza vinti né vincitori. E qui nient’altro aggiungo perché la storia si sviluppa al ritmo incalzante di un thriller che non può essere svelato.
Raccomando la visione di questo film innanzitutto a chi con la scuola (e anche con l’università) ha a che fare, ma, come ho scritto all’inizio, ci riguarda in fondo tutti.
Un appunto lo dedico al finale inutilmente enfatico. La scena conclusiva nella quale il ragazzino sospeso dalla scuola viene portato fuori dall’aula da due agenti di polizia che lo sollevano di peso con la sedia alla quale è abbarbicato, mentre esplodono le note trionfali di Felix Mendelssohn che Woody Allen usò a piene mani nella sua Commedia sexy, insomma questo finale secondo me arriva a freddo e lascia lo spettatore sospeso e attonito, in attesa di un seguito che, non essendo una serie tv, ovviamente non ci sarà.