Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

La vita di Hirayama

Il nuovo, bellissimo film di Wim Wenders, "Perfect days", racconta la semplice vita di Hirayama, un uomo "qualunque" che trova il senso di sé. Vedendosi vivere a Tokio

Se volete iniziare nel migliore dei modi il 2024, andate a vedere Perfect days di Wim Wenders, il film che insegna come “santificare” non solo i giorni di festa da Natale a Capodanno, ma ogni singolo giorno della vita, i nostri giorni in cui non succede proprio niente, e con “santificare” intendo rendere questo tempo unico, prezioso, perfetto appunto. Ma come si fa a vivere così ogni singolo giorno, che poi a pensarci sarebbe questo il segreto per vivere pienamente la vita qualunque essa sia, semplice o complicata, faticosa o leggera, ricca o povera, eccezionale o banale, insomma quella che il caso o il destino ci ha assegnato? Come si fa ce lo mostra Wenders raccontandoci la vita apparentemente noiosa e priva di eventi di Hirayama, un sessantenne che vive a Tokyo di cui non conosciamo il passato (ma lo intuiremo quando incontra la sorella), di lui vediamo solo il presente.

Hirayama si sveglia all’alba, ripiega con gesti meticolosi e sempre uguali il suo futon, si lava i denti, spunta con le forbicine i baffi, si rade col rasoio elettrico, nebulizza d’acqua le piantine che salva dall’incuria umana, indossa la tuta della ditta “The Tokyo toilets”, prende le chiavi e i gettoni per il distributore del caffè, apre la porta di casa, solleva lo sguardo verso il cielo e sorride sia al sole che alle nuvole. Questa sequenza di gesti apre il film di Wenders e si ripeterà identica diverse volte nel corso della pellicola. Sono i “giorni perfetti” nella vita di un uomo che pulisce con meticolosa attenzione, addirittura con passione, i bagni pubblici di Tokyo (e che bagni, in gran numero e delle forme più diverse, segno indiscutibile di civiltà che in Italia non conosciamo). È un mestiere umile che potremmo considerare marginale e privo di qualsiasi interesse e che invece lui nobilita con ogni gesto e ogni sorriso. Wenders, in uno stato di grazia che ci riporta ai tempi de Il cielo sopra Berlino, firma una pellicola perfetta che tocca profondamente lo spettatore come capita di rado. Perché nei giorni apparentemente monotoni di questo uomo semplice e di pochissime parole è forse contenuta la rivelazione del vero senso della vita umana: saper accogliere con gratitudine tutto ciò che arriva.

Mentre va al lavoro col furgoncino della ditta, Hirayama ascolta sulle sue audiocassette le canzoni che ci fanno intuire qualcosa della sua identità e di un passato certamente diverso dal presente: The Animals, Otis Redding, The Rolling Stones, Van Morrison, Patty Smith e la struggente Perfect day di Lou Reed che dà il titolo al film. Hirayama ascolta la colonna sonora di un altro tempo e intanto accoglie le persone che incrociano la sua quotidianità: il suo assistente Takashi che non condivide la passione per il mestiere, la proprietaria del ristorante che canta per lui, la ragazza strana coi capelli biondi che a sorpresa lo bacia, il senzatetto che abbraccia gli alberi, la nipote Niko che scappa dalla madre e si rifugia dallo zio (perché solo il nipote capisce lo zio, come canta Paolo Conte). E proprio nell’incontro con la nipote avviene il confronto tra il passato analogico di chi pensa che Spotify sia un negozio di musica e la contemporaneità di chi si chiede se le cassette si possono ascoltare con l’iPhone. La vita intanto scorre, tra le letture serali di William Faulkner e Patricia Highsmith e la ripetitiva routine quotidiana, riempiendo di tenerezza malinconica i giorni di questo uomo che serenamente la vive e ne fotografa in bianconero le luci e soprattutto le ombre. Indimenticabile il protagonista Yakusho Kōji, giustamente premiato a Cannes, le sue frasi laconiche in giapponese vi resteranno dentro. Insieme alle parole di Nina Simone che canta nel lungo primo piano del suo viso sorridente che conclude il film: “è una nuova alba, è un nuovo giorno, è una nuova vita per me e io mi sento bene”.

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