Leggere i versi
Poesia sulla sabbia
Due antologie di poesia, una curata da Tommaso Di Dio e una da Nicola Crocetti e Davide Brullo, ripropongono il tema del florilegio di versi: qual è il criterio migliore per scegliere?
Sarà capitato anche a voi di voler regalare dei fiori. Un buon fioraio allora indica le possibilità cercando, a seconda della circostanza, di trovare la combinazione più adeguata: per amore rose rosse, sempre in quantità dispari, (gialle per manifestare gelosia o bianche per testimoniare un atto di candida amicizia). Comunque, un sol tipo di fiore. Per altre occasioni in genere propone una composizione di fiori diversi, in quantità e tipologia, ma certamente armonicamente messi insieme. Detto questo, non diverso mi sembra il compito di chi si mette in testa di redigere un’antologia, ancor più se di poesia (e tra fine Otto inizi Novecento si portava in editoria il “fiore della …” o “il fior da fiore …” prima di indicare la tipologia o, più di frequente, l’autore). Anche in questo caso il fioraio-curatore può indirizzarsi o verso una composizione monotematica o una pluriforme, a seconda dei casi.
E così hanno scelto di fare Tommaso Di Dio, con Poesie dell’Italia contemporanea (Il Saggiatore, 1086 pagine 35 euro), e Nicola Crocetti e Davide Brullo con Dimmi un verso anima mia. Antologia della poesia universale (Crocetti Editore, 1248 pagine, 50 euro), le due antologie più ponderose dell’anno appena alle spalle. Le composizioni floreali sono evidenti dai titoli: tipo mazzo di rose la prima e assortimento armonico di fiori di diverso (e in questo caso anche esotico) genere la seconda. Si sa bene che alla parola “antologia” si drizzano le antenne di tanti diretti interessati, pronti a cogliere assenze e presenze (esercizio di infimo profilo) e si apre un dibattito per lo più tedioso. Quello che penso a riguardo lo dico subito: prima di tranciare giudizi affrettati, in questo caso su oltre mille pagine di duro lavoro, sarei alquanto cauto. Su queste, come su tutte le antologie, spesso si va giù diretti, anche in sedi salottiere, ancor più rumorose e infide (verba volant e volano sempre troppo), siano salotti in carne e ossa o siano virtuali (e in questo caso è anche peggio).
Concordo allora in diversi punti con la “Difesa della poesia indifesa” (shelleyana almeno nel titolo) a firma Nicola Crocetti che inaugura l’antologia universale, a partire dalla considerazione di quante poche siano le poesie che si conoscono nell’immensità di testi esistenti, “una manciata di sabbia sugli arenili sterminati del nostro pianeta”, con tantissimi (troppi aggiungerei) che continuano “ostinatamente a scrivere versi che spesso nessuno o pochissimi leggeranno”. E concordo anche su “la rete sembra aver risolto il problema della pubblicazione” ma sono messaggi in una bottiglia nell’oceano. Soprattutto con “sembra” sono molto d’accordo. L’unica arma di difesa della poesia è cercare di “farla arrivare al maggior numero possibile di persone cercando di ribadirne l’importanza e la bellezza”. Aggiungo che qui ciascuno può estrarre il suo fiore, annusarlo per bene e, se piace, andare ad approfondire la lettura di questo o quell’autore.
“Va aperto a caso questo libro – per instradarsi nel sentiero di un verso, per orientarsi al ritmo del poema” invita a sua volta Davide Brullo nel primo appunto del suo scritto introduttivo (tutto da leggere e solo apparentemente disorganico). E poco più avanti precisa: “il metodo che ha animato questa antologia è rabdomantico, avventuriero, ovvero: predazione del meraviglioso” con l’unica “norma critica” che risiede nel capriccio. E poi si dà a un profluvio di “la poesia è…” che spiazzano (anche in questo caso tutto da leggere per …). Non possiamo considerarlo un breviario (per dimensioni) da comodino ma il senso sembra quello. È il panorama regalato è davvero “universale” nei luoghi e nel tempo e nelle voci. Un immenso coro ben orchestrato dai due curatori n un tentativo di armonizzare (forse) l’inarmonizzabile.
Molto più mirato criticamente e concentrato su una porzione per noi decisiva oggi della storia letteraria il lavoro di Tommaso Di Dio, anche qui ponderoso e animato da un grande amore verso questo mondo (potrei citare il Brullo dell’altra antologia nel caso: “chi ha compiuto questo lavoro ha dedicato la vita alla poesia, sempre in veglia”). Come capita ai libri di tal genere, questo di Tommaso Di Dio sta facendo discutere, per dubbi e certezze che la lettura lascia. Molti nemici (e questi chi fa antologie lo mette in preventivo, credo) molto onore, aggiungeva qualcuno. E gli eventuali dubbi possono, anzi devono, essere proposti con cognizione per intavolare un dialogo serio e aperto (nessuno ha la Verità in mano). Il più sorprendente, conoscendo l’acutezza critica dell’autore, è che dalle tante pagine non riesco a rintracciare con nitore il pensiero-Di Dio, ma può essere un mio limite. Nella sua introduzione e negli apparati mi sembra di intravedere l’assenza di un discrimine, peraltro decisivo a mio modo di vedere, per “stile” e per “letteratura come condizione” e resta necessario assumere ulteriori oneri critici. Che so, provare a ipotizzare anche un’idea di canone così come sette rose rosse le scegli in base a un’idea assoluta di quel fiore? Caro Tommaso, e lo dico con molta stima e affetto, credo si potesse provare a selezionare di più e un punto di vista di partenza, con il condivisibile Simmel, andava preso con maggiore decisione. E, a proposito di scelte: si può stare secoli a discettare su chi c’è e chi non c’è, “soltanto i frustrati – cioè, i non poeti – mirano a chi manca”, grazie ancora allo stesso Brullo di prima per questo passaggio, anche se in una panoramica così ampia e ricca, che sembra mirare all’esaustività, sorprendono certe ripetizioni di alcuni poeti con le loro opere a svantaggio di altri testi. Ricordando che la struttura è ad annuario, proposta di autori e titoli più significativi anno dopo anno, forse c’era modo di equilibrare tra i nomi e i testi, campionando anche tra quelli non considerati e questo in base almeno a una valenza storica.
Ma detto tutto ciò ci sono altrettante certezze nell’impianto di Tommaso Di Dio (per forza nome e cognome quando si va con il genitivo). La schedatura bibliografica per gli anni che riguardano l’antologia è davvero ragguardevole, di supporto irrinunciabile agli studi futuri e sicuramente sudata. C’è una profonda onestà intellettuale nell’impegno, bene prezioso oggi, che va a mio avviso considerata e rispettata. C’è chiarezza nella formula storica dell’annuario, alla Antonio Porta di Poesie degli anni Settanta cui sembra fare esplicito riferimento. D’altronde il titolo parla chiaro: Poesie dell’Italia contemporanea, e denuncia senza infingimenti di sorta l’intento e a questo il curatore non si sottrae. Lo stile della scrittura è molto nitido e c’è ottima consapevolezza della materia senza mai arrogarsi il diritto di saperla tutta, e scusate se è poco oggi in un paese di “soffiatromba” (“Discorso di compleanno di Bilbo Baggins” nel “Signore degli Anelli”) come il nostro.
Stimolante, poi, la scelta dell’ordine critico prevalente nel genere antologia: i testi assumono qui valore primario rispetto il nome del poeta, senza però oscurare l’importanza autoriale. Un tempo anch’io la pensavo così, ma oggi credo sia meno ideologico dare preminenza all’autore: Edoardo Sanguineti, Poesia italiana del Novecento, 1969, o Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, 1978? “E ho detto tutto…” (Peppino De Filippo in “Totò, Peppino e la … malafemmina”).
Il disegno accanto al titolo è di Giulia Cavallini.