Al Maxxi di Roma
Le curve di Aalto
Una vita spesa per "umanizzare" il razionalismo in architettura: una grande mostra ripercorre il genio di Alvar Aalto. Dai grandi luoghi ai più piccoli oggetti si manifesta una intera filosofia dello spazio
Una piscina sinuosa, senza neppure un angolo, tanto collegata alla biologia umana da avere la forma di un rene. Una biblioteca pubblica in cui, a dispetto dell’esterno costituito da due rettangoli bianchi sovrapposti, la scala interna è circolare e l’auditorium ha il soffitto di legno increspato in morbide curve. Una casa dello studente, nel Massachusetts, che sfida lo spazio stretto e lungo adiacente al fiume ondulandosi a doppia curva, per replicare nell’esposizione a sud la miglior luce e offrire camere di ventidue forme differenti. Contro l’ovvio, il ripetitivo, la massificazione anche in fabbrica: la crociata di Alvar Aalto, l’architetto e designer finlandese che ha plasmato razionalismo e Movimento Moderno con l’intento ultimo di far felice l’uomo. “La vera architettura esiste solo quando pone al centro l’essere umano”, scrisse. E ce lo ricorda la mostra che al MAXXI di Roma è stata allestita con il titolo appunto “La dimensione umana del progetto”, a cura di Space Caviar, fino al 26 maggio 2024.
Non c’è solo lui, l’inventore di edifici minimi e massimi – abitazioni, ville, chiese, fabbriche, ospedali, case del popolo – ma le due donne affiancate come mogli e collaboratrici nello Studio Aalto fondato nel 1923. Sono Aino, compagna di Politecnico sposata nel 1924, ed Elissa, portata all’altare nel 1952, tre anni dopo la morte prematura della prima moglie. Un trio compatto. E viene da chiedersi quanto l’innesto femminile abbia orientato il lavoro di Alvar, quanto abbia influito in quella umanizzazione del razionalismo, che invece incatena maggiormente alla teoria giganti dell’architettura del XX secolo come Le Corbusier e Mies van der Rohe.
Il nocciolo delle invenzioni di Aalto – quello che ne contiene tutti gli input – è nel progetto che viene illustrato in apertura della rassegna romana. Villa Mairea, realizzata nel 1939 a Noormarkku, a ovest di Tampere, per una coppia di coniugi svincolati dal conformismo. La piscina-rene è presentata attraverso una struttura lignea che si eleva circondandola come gli spalti – leggeri, impraticabili – di uno stadio. Forme curve, dunque, racchiuse dalla pianta ad L che avvolge due terzi del giardino. Osmosi interno-esterno – leggi Architettura-Natura – per quella pensilina che raccorda il soggiorno con il boschetto di betulle. Mattoni intonacati di bianco, teak, pino, rattan, ardesia, ceramica, materiali “vivi” e tipici della penisola scandinava.
Altrove è la luce naturale a siglare “l’architettura più umana”. Biblioteca civica di Viipuri (Russia, 1927-1935): nella sala per la lettura una serie di oblò orizzontali, allineati in file sul tetto del parallelepipedo costruttivo, spargono l’illuminazione donata dal cielo. L’effetto avvolgente e trainante è ancora più cercato nella chiesa di Riola di Vergato, in Emilia, commissionata nel 1965 dal cardinal Lercaro e realizzata solo nel 1976, dopo la morte dell’architetto, contestato perché protestante: sei arconi in cemento armato sostengono la copertura verticale costituita da una vetrata che inonda di chiarore la navata. Fuori, pietra arenaria per il prospetto, a richiamare le colline attorno, nell’esaltazione del territorio circostante, ondulato, mosso, così come le città della Toscana, amate da Aalto costruite come sono con un apice spesso coincidente con il Duomo e il campanile, a differenza delle città finlandesi, piatte e utilitaristicamente concepite.
Ancora luce e piacevolezza dove più sono necessarie. Ecco il sanatorio di Paimio – 1929-1933, sud della Finlandia, a ridosso dei fiordi (nella foto accanto) – dove ogni ala è disposta nella migliore posizione, in termini di temperatura, luce, acustica, colori e materiali. Lo Studio Aalto progettò ogni dettaglio, dalle maniglie alle appliques, ai lavandini tondi e profondi, “silenziosi” dunque, nelle camere di degenza. E le sdraio di chiaro legno, basse e ondulate, da sistemare sulla balconata anch’essa smussata.
I mobili sono l’altro impegno, realizzato da Artek, l’impresa degli Aalto fondata nel 1935 che nel nome riunisce le parole “arte” e “tecnologia” e lavora sul concetto di “standardizzazione flessibile, promuovendo la produzione di massa dei singoli elementi di arredo, in modo da lasciare libertà compositiva agli utilizzatori dei prodotti”. Si pensa ai bambini, con il tavolo componibile e praticabile, sei-otto pezzi di forme diverse da accostare, allontanare, ricomporre. Sedie e sgabelli sono impilabili, un tondo nel sedile al quale si avvita una coppia di gambe ricurve in alto. Le lampade hanno colori ambrati, paralumi di tela, listelli montati orizzontalmente perché la luce non sia aggressiva, come quella delle candele (dunque bandite dagli ospedali le plafoniere centrali, che feriscono gli occhi di chi è disteso sul letto).
Fluidità, sinuosità, adattabilità nei vasi di vetro. Il prototipo è del 1932, creato da Aino Aalto e premiato al termine di un concorso bandito da Karhula-littala, l’azienda che lancia nel mondo il design scandinavo. L’iconico vaso Bolgeblick”, rivisitato per il ristorante “Savoy” di Helsinki, ne prenderà tout court il nome.
Sono forme e oggetti (compresi i tessuti, che svariano da disegni floreali di Aino a quelli geometrici di Alvar ed Elissa) che oggi ritroviamo nelle grandi catene di arredamento scandinavo. Funzionali e semplici, flessuosi e belli – come le poltrone e i tavolini all’ingresso della mostra – ci appaiono quasi scontati. Eppure nascono cent’anni fa. Hanno un aspetto “amichevole” per la praticità e per l’uso del legno chiaro, divenuto simbolo della intimità domestica, “materiale naturale per eccellenza, il più vicino all’uomo sia biologicamente che come contesto di forme primordiali”, osservava Alvar. Quello che tiene più conto dei bisogni emozionali dell’individuo. La lezione finlandese del resto intende l’architettura come libero esperimento, incentrato sui bisogni delle persone, senza certezze costituite. Per questo Cesare Brandi parlò di Aalto rispetto agli altri grandi del Movimento Moderno come di “una chiesa separata”.