Luca Fortis
Viaggio in Iran

Teheran senza velo

Qualcosa è cambiato nella vita quotidiana di Teheran. Non si può dire che la rivolta dei ragazzi contro il regime abbia vinto, ma nella capitale (e anche nei piccoli centri) almeno un terzo delle ragazze non porta più il velo. È un successo del pacifismo

La cupola della moschea di Tajrish risplende di mille riflessi di blu e giallo nella notte di Teheran. I colori delle piastrelle fanno concorrenza al cielo stellato in una gara a chi ha più sfumature e lucentezza. Sotto, i vicoli del bazar brulicano di vita e colori, tra frutta fresca e secca, pistacchi, zafferano, melasse di tutti i tipi e negozi di tessuti e vassoi e altri oggetti di metallo. Nonostante la forte crisi, dovunque c’è gente e l’atmosfera è vivace.

Il trenta per cento delle donne non porta alcun velo, i capelli sono al vento. Dopo un anno di rivolte per toglierlo, tanti morti, probabilmente più di 1500. Gli Ayatollah sono ancora lì, ma tutto è diverso. Le donne hanno comunque avuto un’intuizione da scacco matto. Invece di continuare a protestare, farsi arrestare, hanno intuito che se in massa uscivano di casa semplicemente senza il velo, il governo non avrebbe potuto arrestare o imprigionare il 30 per cento delle donne del paese. Hanno compreso che il pacifismo e la disobbedienza civile sono un’arma micidiale se portate avanti in massa.

Gli ayatollah hanno quindi, almeno per ora, dovuto cedere di fronte alla testardaggine del popolo. Un semplice gesto, un velo abbassato nella quotidianità, ha messo in scacco il sistema. Sistema che ufficialmente non ha affatto cambiato né le leggi, né la retorica, ma ha mutato la pratica. La polizia morale tenta di convincere a parole le donne a rimettere il velo, a volte multandole se guidano senza, o provando a chiudere i locali dove vanno. Ma la polizia sembra stanca di prendersela con masse così compatte e pacifiste.

Questo non accade solo nei quartieri ricchi, anzi è ancora più diffuso nei quartieri universitari del centro. Bisogna ricordare che l’Iran è un paese, al contrario dell’Europa, con una demografia a maggioranza composta da giovani. I ragazzi, forse proprio per opporsi al sistema così rigido di regole della repubblica islamica, sono attratti da uno stile di vita molto hippie e pacifista. Non solo producono in casa vino, grappa e birra ma molti amano fare uso di sostanze psichedeliche allucinogene.

In questo vasto sistema hippie e anarchico, vaste quantità di giovani hanno anche investito in bitcoin per aggirare le sanzioni economiche e bancarie. Alcuni di loro addirittura si sono costruiti a casa grandi server per gestirli.

Questo atteggiamento pacifista e laico, non è diffuso solamente nei maggiori centri urbani, ma anche in molte campagne. Azeri, curdi, gli abitanti del Gilan nel Mar Caspio, così come delle isole del Golfo Persico, stanno tutti attuando una riforma dei costumi fatta di atteggiamenti quotidiani e non è raro che ragazze le cui madri portano lo chador nero e vengano magari da Mashad o Qom, città sante sciite, non portino più il velo. Per altro senza che questo comporti più alcuno scandalo da parte dei genitori.

Per ora gli Ayatollah, senza ammetterlo ufficialmente, nascosti dietro una retorica che ufficialmente proclama tutto il contrario, sembrano, pur di rimanere al potere, aver infranto la linea rossa del velo. La maggioranza della gente è fiduciosa che non si tornerà indietro, dicono che di solito, ogni volta che si è fatto un passo avanti, le Repubblica Islamica non è mai potuta tornare indietro, finendo volente o nolente, per accettare il cambiamento. Solo il tempo mostrerà se è davvero così, se l’Iran riuscirà a uscire dalla spirale di violenza degli ultimi anni e se la volontà monolitica di cambiamento della gente di tutto il paese riuscirà a modificare il sistema da dentro.

Certo è emozionante, in un’epoca in cui il pacifismo viene sempre tacciato di essere naif, rendersi conto che come già avevano dimostrato Mandela e Gandhi, un semplice gesto pacifico, se fatto in massa, può mettere in scacco matto le potenze apparentemente più inespugnabili, mentre le rivolte violente, quasi sempre innescano spirali di violenza da cui non si esce nemmeno decenni dopo, anche quando in apparenza si è vinto. Basta pensare al destino di quasi tutti i paesi africani e asiatici che hanno avuto processi delocalizzazioni violenti. Oggi sono quasi tutti dittature, mentre l’India e il Sud Africa sono democrazie. Certo come tutte le democrazie sono dei purgatori, dove regnano disparità sociali, corruzione, disoccupazione. Eppure quasi tutti preferiscono emigrare da paesi dittatoriali per ottenere l’agognato passaporto di una caotica democrazia. Questo dimostra che quando si vive sotto un’autocrazia, si è disposti a pagare un certo prezzo, pur di trasformala in un sistema complesso e imperfetto come la democrazia o per scappare in un paese democratico. Solo chi è nato in una democrazia e non ha mai visto altro, sembra non comprenderlo e pensare che dovunque il potere sia similare.

Mai come oggi, il pacifismo, la disubbidienza civile, se applicata in massa, potrebbe essere la chiave per disinnescare un mondo dove la violenza, anche retorica, sembra essere sempre più attraente. Anche se la pratica mostra in modo evidente, che dovunque è divampata, anche dove le cause per cui si combatteva erano giuste, la violenza innesca altra violenza, spirali del terrore e nuove dittature. Mentre laddove le vittime, invece che accecarsi dall’odio e dal rancore, diventando nuovi carnefici, sanno, in modo rivoluzionario, essere migliori di loro carnefici, sapendo addirittura prendersi cura di loro, vincono sparigliando le carte, dimostrando che volando alto, si disinnescano le paure proprie e degli altri, uscendo dalle spirali di violenza. Certo non si crea un Paradiso, per andare in paradiso bisogna morire. Ma si creano pur sempre purgatori, paesi reali con tutte le loro complessità e latenti tensioni. Ma sono pur sempre meglio dei paesi che dietro a ideologie in cui si propaganda il Paradiso in terra o l’uguaglianza per tutti, si creano realtà piuttosto infernali. Di buone intenzioni sono lastricate le strade dell’inferno. L’Iran avendo già vissuto la rivoluzione del ‘79, sa bene quali realtà sono capaci di creare gli idealisti, con i loro amori ideologici per il Paradiso in terra o l’uguaglianza per tutti e preferisce piccoli gesti pacifisti per garantire a tutti di essere semplici peccatori che vagano nel mistero della vita, un mistero che non prevede un’unica verità chiara e certa, ma il sapere accettare di non sapere fino in fondo quale sia la verità.

Ecco che un semplice gesto, come abbassare un velo, se fatto in massa, può smuovere le montagne. Soprattutto se non si cerca il Paradiso in terra, ma la vita, che è in quanto tale, ambigua, piena di sfumature e complessità.

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