“Ucraina terra di confine”
Se la mente umana è il campo di battaglia
A colloquio con Massimiliano Di Paquale, autore del primo libro sull’Ucraina pubblicato in Italia nel 2012 e ora in edizione aggiornata. La guerra cognitiva – spiega –, esistente fin dall’epoca sovietica, oggi con le tecnologie digitali, ha un effetto devastante sul conflitto russo-ucraino
Fake news e manipolazioni della realtà sull’Ucraina e sul conflitto in corso imperversano; meglio affidarsi, a mio avviso, a esperti veri, ascoltare la loro voce. Dopo la pubblicazione delle interviste su questo giornale a Giorgio Cella (https://www.succedeoggi.it/2023/04/la-pace-e-le-armi/) e a Niccolò Pianciola (https://www.succedeoggi.it/2023/10/la-spina-nel-fianco/), ho rivolto alcune domande a Massimiliano Di Pasquale, responsabile dell’Osservatorio Ucraina dell’Istituto Germani, a partire delle sue pubblicazioni.
La nuova edizione di Ucraina terra di confine, pubblicata nel 2022, in che cosa si differenzia dalla prima? Ha mai pensato a una terza edizione come “diario di viaggio” sulle distruzioni operate dai russi e sui cambiamenti subiti dall’Ucraina nel suo patrimonio storico-culturale una volta finita la guerra?
Ucraina terra di confine è stato il primo libro sull’Ucraina pubblicato in Italia. Uscì nel 2012 per i tipi de Il Sirente. È un testo che si inserisce nella tradizione del diario di viaggio alla Chatwin e alla Kapuściński. È un reportage letterario e storico in cui gli incontri con gente comune, politici e letterati dell’Ucraina attuale si mescolano a memorie storiche dell’Ucraina sovietica, zarista e austro-ungarica. Tra l’altro era l’unico libro disponibile per comprendere l’Ucraina nel 2013, quando scoppiò il Maidan. A distanza di 10 anni, dopo l’invasione su larga scala del 24 febbraio 2022, ho deciso di aggiornarlo. La nuova edizione unisce alla struttura originaria, che è rimasta intatta, quattro nuovi capitoli e un nuovo inserto fotografico con 32 foto a colori. Tre capitoli riprendono la struttura del reportage storico-letterario e sono legati a luoghi ed eventi della guerra: Horlivka nel Donbas (le parole e i nomi presenti nell’intervista testo sono stati traslitterati facendo riferimento alla loro grafia ucraina – dunque Donbas, Kyiv, Chornobyl invece di Donbass, Kiev, Chernobyl – secondo un metodo il più vicino possibile a quello diffuso in ambito anglosassone – per cui Yushchenko, non Juščenko, nda), Chernihiv, antica città della Rus di Kyiv e Bila Krynytsia, un villaggio della Bucovina dove vive una comunità dei Vecchi Credenti. Il quarto capitolo è invece un vero e proprio saggio, intitolato “La guerra di Putin all’Occidente”, in cui spiego cosa è successo dal 2012 fino al 2022 e analizzo le ragioni reali del conflitto. Il discorso che Lei fa sui cambiamenti subiti dall’Ucraina nel suo patrimonio storico culturale è importante… Forse sarebbe interessante raccontare come era l’Ucraina prima della guerra attraverso delle foto.
I due volumi di Abbecedario ucraino come sono organizzati? Vorrei che ci illustrasse le voci che ritiene fondamentali del primo volume (pubblicato nel 2018 da Gaspari) e del secondo volume (ivi, 2021).
Il progetto Abbecedario ucraino nasce intorno al 2014/2015, quando mi accorgo che molte delle notizie sulla storia recente e su quella passata dell’Ucraina vengono presentate in Italia attraverso lo specchio deformante della disinformazione russa. Al 2014 risale l’annessione russa della Crimea e poi l’apertura di un fronte di guerra in Donbas: questi due avvenimenti sono stati raccontati dai media, sia quelli alternativi sia quelli mainstream, avvalendosi spesso delle narrazioni strategiche russe. Abbecedario nasce come un progetto unitario che, per esigenze editoriali, è stato suddiviso in due volumi, al fine di renderlo più fruibile.
Il mio scopo era raccontare in maniera rigorosa, arrivando al più vasto pubblico possibile, la storia ucraina agli italiani che ne avevano una conoscenza vaga e distorta. Il primo volume, uscito nel 2018, copre l’arco temporale che va dall’indipendenza del 1991 alla guerra nel Donbas; il secondo, uscito nel 2021, si occupa della storia ucraina dal Medioevo alla tragedia di Chornobyl. Perché esce prima il volume che si occupa della storia più recente? Perché era mia intenzione spiegare agli italiani in tempo reale gli avvenimenti legati a Euromaidan, all’annessione illegale russa della Crimea, all’apertura della guerra in Donbas – che è una vera e propria invasione della Russia e non una guerra civile – e altri avvenimenti. È difficile dire quali siano le voci più importanti, di sicuro è un libro che può essere letto saltando da un lemma all’altro, è un libro storico, ma ha questa agilità e fruibilità ed è inoltre corredato anche da un’ampia bibliografia, per chi volesse approfondire.
Le voci fondamentali del primo volume sono quelle relative alla Crimea, a Euromaidan, al Donbas, alla Rivoluzione Arancione e il ritratto del Presidente ucraino Viktor Yushchenko, che ho avuto modo di incontrare personalmente e di intervistare per quattro ore nella sua residenza vicino a Kyiv. Nel secondo volume, direi la voce relativa a Stepan Bandera, perché legata a Bandera c’è tutta la questione del nazionalismo ucraino che è stato sempre demonizzato dalla propaganda russa per criminalizzare gli ucraini, dipingendoli come dei nazisti. Fondamentale è anche il lemma sul Holodomor, il genocidio perpetrato da Stalin sul popolo ucraino attraverso la fame; le voci sui dissidenti anni 60, su Chornobyl, sulla Rus di Kyiv e quelle sui cosacchi e sull’etmano Ivan Mazepa.
Lei ha dedicato studi alla disinformazione russa, molto diffusa oggi in Italia e in Occidente. Vuole tracciarne una piccola storia?
La disinformazione russa è un tema di cui si parla troppo poco in Italia. Si è iniziato a parlare di disinformazione solo dopo l’invasione su larga scala del 24 febbraio 2022, ma la guerra ibrida in Ucraina era iniziata 8 anni prima, nel 2014. La disinformazione russa è qualcosa che risale all’epoca sovietica; parlare di disinformazione è finanche riduttivo, perché occorrerebbe contestualizzarla all’interno di un quadro concettuale più ampio. La disinformazione, la propaganda e le narrazioni strategiche sono dei fenomeni che si inquadrano nel tema più vasto della guerra cognitiva, una forma di guerra in cui il campo di battaglia è rappresentato dalla mente umana. Questo tipo di guerra esisteva anche in epoca sovietica, però oggi ha una valenza differente perché si innesta su un contesto tecnologico molto diverso, nel senso che le tecnologie digitali, i social media, l’intelligenza artificiale e anche i progressi che sono avvenuti nelle neuroscienze, nelle neurotecnologie, fanno sì che l’impatto sia molto più forte. Una narrazione strategica è un mezzo di cui un attore politico, in questo caso la Russia, si avvale per cercare di costruire un significato condiviso del passato, del presente e del futuro all’interno delle relazioni internazionali. Ciò serve per plasmare opinioni e condizionare i comportamenti, sia all’interno di uno Stato che all’esterno. Queste narrazioni creano una percezione distorta della realtà, sia nell’opinione pubblica sia nelle decisioni politiche del Paese bersaglio per favorire gli interessi dello Stato aggressore.
La guerra cognitiva che viene fatta oggi alle democrazie occidentali la si può meglio comprendere se si conosce la tradizione sovietica delle “misure attive”. Misure attive era un termine che abbracciava diverse tecniche di influenza e di destabilizzazione politica e psicologica che venivano utilizzate dal Kgb e dal partito comunista per favorire l’indebolimento, il collasso dell’Occidente capitalistico e l’espansione del sistema comunista. Le stesse cose vengono fatte oggi da Putin per attaccare l’Occidente. La guerra cognitiva attuale utilizza le metodologie e si prefigge gli stessi scopi della guerra fatta dall’Unione Sovietica all’Occidente, però all’interno di un contesto tecnologico diverso. Oggi una fake news viaggia sulla rete a una velocità molto maggiore rispetto a una misura attiva che poteva essere fatta negli anni 80. In conclusione potremmo dire che l’Italia è un Paese più vulnerabile di altri alla guerra cognitiva del Cremlino perché ha sempre coltivato un rapporto privilegiato con la Russia. Anche l’uso che viene fatto della cultura russa molte volte è strumentale, nel senso che col pretesto di difendere la cultura russa in realtà si portano avanti delle narrazioni politiche che nulla hanno a che fare con la cultura. L’Italia presenta un panorama piuttosto simile a quello francese con la differenza che, certe narrazioni che in Francia rimangono appannaggio dei media alternativi, in Italia arrivano fino al mainstream televisivo e della carta stampata.
Lei ha collaborato come esperto di paesi post sovietici, con vari enti, istituzioni. Vuole offrici una sintesi del suo lavoro? In particolare come ricercatore alla Fondazione Germani, oltre che di disinformazione russa, di che si occupa?
Scrivo di paesi post-sovietici da circa vent’anni, ho scritto soprattutto di Ucraina, ma anche di Paesi Baltici, di Russia, Polonia, per diverse testate sin dai primi anni 2000. Sono quasi vent’anni che mi interesso di questi Paesi, prima in qualità di giornalista, occupandomi sia dell’aspetto culturale che di quello politico, poi sempre più come analista. Ho partecipato a diversi convegni e conferenze sull’Ucraina in tutta Europa. Recentemente sono stato uno degli speaker alla prima conferenza sulla disinformazione all’Università di Madrid, “Carlo III” (foto sopra). A partire dal 2014, parallelamente agli studi sull’Ucraina, mi sono infatti specializzato sulla disinformazione e sulle misure attive. Mi sembrava fondamentale approfondire questo tema, che poi si è rivelato chiave anche nella “guerra ibrida” del Cremlino verso l’Occidente. Sono circa 10 anni che me ne occupo, pubblicando anche diversi paperper l’Istituto Germani, con cui collaboro da cinque anni. La Fondazione Germani è uno degli istituti più autorevoli, forse il più autorevole in Italia, perché è stato il primo a occuparsi di misure attive, di disinformazione, di intelligence e di studi sociali nello spettro più ampio, seguendo la tradizione liberale di Gino Germani a cui è intitolata la Fondazione (Gino Germani era un famoso sociologo italiano). All’interno della Fondazione dirigo l’Osservatorio Ucraina. L’Osservatorio è nato con lo scopo di far conoscere l’Ucraina nei suoi aspetti politici e culturali. Negli ultimi tempi il focus principale è stato il monitoraggio sulla disinformazione legata all’invasione russa.
Perché ama tanto in particolare l’Ucraina? Da dove è nata questa passione?
L’interesse per l’Ucraina nasce come interesse più generale per i Paesi dell’ex cortina di ferro. Dopo il crollo del Muro di Berlino, infatti, ho cominciato a viaggiare in Europa Orientale. In Ucraina sono arrivato dieci anni più tardi, nel 2004 ed è stato amore a prima vista. Mi aspettavo un Paese molto diverso, perché quelle poche notizie che si potevano trovare all’epoca la dipingevano come un luogo triste, grigio, deprimente. In realtà, ho trovato un Paese molto colorato, molto vibrante, nonostante in quegli anni l’Ucraina stava, piano piano, uscendo dalla grave crisi economica di metà anni 90. Mi colpì molto l’ospitalità della gente, la diversità dei paesaggi… Qualche mese dopo il mio primo viaggio, che risale all’estate 2004, scoppiò la Rivoluzione Arancione. Questo mi spinse a studiare la storia dell’Ucraina e a visitare le sue città e i suoi villaggi.