Il caso Officina Pasolini
Salvate l’ex Civis
Da Eugenio Barba a Eduardo, breve storia dell'ex Sala Civis, oggi Teatro Eduardo De Filippo, che la politica vorrebbe cancellare. Per trasformare un piccolo gioiello dell'architettura teatrale in una sala da conferenze
Chi non c’era non può nemmeno immaginarlo. Metà/fine Anni Settanta: Roma era al centro del dibattito culturale internazionale. Fiorivano cantine teatrali, festival, occasioni d’incontro dove gli artisti di casa (teatranti, poeti, critici, pittori) si mescolavano ai luminari della scena creativa del mondo: a ripensarci oggi, pare di aver vissuto un sogno che si è trasformato in un incubo. Io avevo una manciata d’anni e una passione totalizzante per il teatro: le cantine romane erano la mia casa; Bruno Mazzali, Antonio Obino, Memè Perlini, Giancarlo Nanni, Manuela Kustermann, Giancarlo Sepe, Roberto Benigni e Carlo Verdone i miei miti o i miei amici, o tutt’e due le cose insieme. Nascevano spazi nuovi in continuazione; spazi teatrali non tradizionali, adatti a una sensibilità creativa che puntava tutto sulla sperimentazione.
Vidi La conference des oiseaux di Peter Brook in una strana arena al margine di Via Sabotino, dove pochi giorni prima avevano debuttato a Roma Mario Martone con Falso Movimento e Toni Servillo con Propaganda 2. Poco dopo, quello spazio fu trasformato in un centro anziani e ora non ce n’è più alcuna memoria. Vidi Insulti al pubblico di Peter Handke con Rosa di Lucia in un teatrino di legno – il Teatrino Scientifico di Franco Purini – nel cuore di Prati che ora, ovviamente, non c’è più. Vidi una strana, bellissima Antigone di Remondi e Caporossi in un capannone sull’Isola Sacra, un ex deposito di ghiaia: la montagna di sassi era la scena sulla quale Antigone ricopriva il corpo martoriato di Polinice. Ora lì c’è un parcheggio privato per chi deve partire da Fiumicino. Vidi Le ceneri di Brecht di Eugenio Barba alla Sala Civis, uno spazio teatrale polifunzionale che fu scelto proprio da Barba perché consentiva di sistemare il pubblico ai due lati di una lunga pedana dove si svolgeva l’azione. Lì, al Civis, avevo visto anche una lezione di Jerzy Grotowski: non poteva chiamarsi spettacolo perché allora – 1980 – il grande didatta polacco da molto tempo aveva già rifiutato la nozione di teatro come evento concluso e concentrava il suo lavoro intorno a una personalissima idea di rito scenico collettivo. E sempre quello strano spazio, il Civis, era stato scelto da Fulvio Fo e dall’Ente Teatrale Italiano per ospitare il primo corso di formazione per organizzatori teatrali: quello da cui sono usciti tutti i protagonisti della cultura produttiva teatrale di oggi.
Ebbene, la Sala Civis c’è ancora. Ma – forse – solo per poco. Per via di una scellerata decisione dell’ex governatore del Lazio Nicola Zingaretti e dell’ex ministro Luigi Di Maio, il complesso che lo ospita, alla Farnesina, si appresta a passare sotto le insegne del vicino Ministero degli Affari Esteri. Insieme alla vecchia sala teatrale – oggi intitolata a Eduardo De Filippo perché lì Eduardo tenne i suoi seminari per l’Università La Sapienza dopo che il Teatro Ateneo aveva preso fuoco, e nel 2016 rimessa perfettamente in uso, con tanto di regolare graticcia – dovrebbero passare al Ministero anche gli spazi limitrofi. Si tratta di un insieme di edifici progettati in origine dall’architetto Enrico Del Debbio nell’ambito della sistemazione generale del Foro Italico (a metà degli anni Trenta del secolo scorso) e poi disegnati e realizzati come centro servizi per le Olimpiadi di Roma del 1960 dall’architetto e urbanista Piero Maria Lugli.
La destinazione originaria per la kermesse sportiva già prevedeva l’evoluzione degli spazi in Casa dello Studente: l’area doveva essere un campus, con residenze per gli studenti e aule e spazi comuni. Teatro compreso. Il quale teatro disegnato da Lugli, per altro, ha sempre svolto onorevolmente il suo ruolo: perché è una sala architettonicamente non tradizionale. Fin dal progetto, era destinato alla sperimentazione, ed è un piccolo capolavoro dell’architettura teatrale del Novecento proprio perché la sala può essere adattata a varie configurazioni: con il palcoscenico frontale (come lo ha usato Eduardo) o con la scena al centro contornata dal pubblico (alla maniera del Teatro Totale di Gropius) o ancora con lo spazio scenico sistemato per lungo a dividere in due la platea (come lo ha usato Eugenio Barba). Non ci sono altre sale con queste caratteristiche a Roma: la nostra città è zeppa di teatri storici magnifici, ma la sperimentazione architettonica teatrale novecentesca vi ha lasciato pochi segni. I teatri del secolo passato, a Roma, sono quelli più convenzionali, come l’Eliseo o il Quirino. La Sala De Filippo, l’ex Civis, è un unicum che andrebbe salvaguardato, non miseramente trasformato in una qualunque sala-conferenze come previsto nel progetto di oggi.
A tutto ciò si aggiunga che dal 2016, lo spazio Ex Civis è diventato il campus di Officina Pasolini, scuola sostenuta da fondi europei che ospita aspiranti attori, musicisti e operatori multimediali: una realtà didattica che non ha eguali in Italia. Intanto perché è l’unica scuola completamente gratuita per chi la frequenta e poi perché dispone oltre che della Sala De Filippo, anche di diverse sale prove e due sale di registrazioni perfettamente attrezzate. Insomma, la storia della cultura, la storia dell’architettura teatrale, la storia del teatro e il rispetto delle nuove generazioni imporrebbero di non mettere mano al magico sortilegio che ha fatto di questo luogo un centro di cultura vivo e unico nel panorama italiano. Ma chissà se la politica se ne renderà conto.