A proposito di "Farfalle"
Nuovissimo Gozzano
Giuseppe Grattacaso ha curato una nuova edizione delle “Epistole” di Guido Gozzano. Un omaggio a un poeta novecentesco che con questi versi si allontana dai cliché del tempo
C’è un protonovecento nella nostra storia della poesia che è un autentico e portentoso laboratorio, un terreno fertile dove sbocciano diverse istanze espressive che poi confluiranno, con pesi e misure molto differenti, nel pieno Novecento. Andando a leggere infatti quei primi anni del XX secolo ci si rende conto di quante voci, quante poetiche si delineano, esili o meno, ma con un fermento in risposta alla grande crisi dell’Ottocento, un’avvertita crisi scientifico-culturale (fine del Positivismo e, soprattutto, i primi studi di Freud e la consapevolezza sempre maggiore della frammentazione dell’Io) ma anche politico-sociale-economica (crollo degli Imperi). Investe ogni campo dell’arte: dalla letteratura alla musica (che risponde con le prime composizioni atonali) alle arti figurative (con una rappresentazione sempre più destrutturata del vero e della figura umana a partire dall’Espressionismo).
E, ritornando alla nostra poesia, andiamo alle pubblicazioni di quei primi anni del Novecento, vediamo le adorabili date, per dirla proprio con Gozzano, tra i maggiori protagonisti di quel momento, “incanto che non so dire” (un’adorabilità che condivido appieno). E dunque: c’è un diffuso, anche geograficamente, protonovecento crepuscolare fondato su Sergio Corazzini (dalle Dolcezze del 1904 al Libro per la sera della domenica 1907), Corrado Govoni (dalle Fiale del 1903 agli Aborti del 1907) e Guido Gozzano (La via del rifugio 1907 e I Colloqui 1911), con innesti di Aldo Palazzeschi prima maniera (dai Cavalli bianchi 1905 ai Poemi 1909) in anticipo sulla sua conversione al Futurismo; c’è poi un protonovecento Futurista con Filippo Tommaso Marinetti (con il primo Manifesto del 1909 e il Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912), con lo stesso Palazzeschi (L’Incendiario edizioni 1910 e 1913) e Govoni (quello delle Poesie elettriche 1911 fino alle Rarefazioni 1915).
Tutto questo movimentismo risponde e prova a distanziarsi, sempre con più di una contiguità, dal Gabriele D’Annunzio del Poema paradisiaco (1893) e delle Laudi, Alcyone in particolare (1904), e dal Giovanni Pascoli (quello che va dai Canti di Castelvecchio 1903 ai Nuovi poemetti 1909 passando per i Primi poemetti e i Poemi conviviali del 1904 e Odi e inni del 1906). Con lui, poi, i “debiti” restano fino a oggi, detto per inciso, E tutti questi, nessuno escluso, bevono a sorsi più o meno pieni dal tardosimbolismo (forse il primo movimento in opposizione all’Ottocento) e soprattutto a quello di Maurice Maeterlinck (1862-1949 e Nobel nel 1911), Francis Jammes (1868-1938) e Georges Rodenbach (1855-1898) forse ancor di più che a quello di Stephane Mallarmè (1842-1898), senza dimenticare le pubblicazioni del “Mercure de France”, rivista di certo presente sui tavolini dei nostrani poeti dell’epoca, e le due edizioni dei Poètes d’ajourd’hui di Paul Leautaud e Adolphe Van Bever, dove si attingeva a piene mani a queste voci, e anche questi volumi negli scaffali dei suddett. E se poi Ungaretti con Il porto sepolto (1916) e l’Allegria poi (1919) inaugura il Novecento provando, e in parte riuscendovi, a ricondurre a sé le diverse istanze, diventa a mio avviso molto difficile avere piena intelligenza di Montale e dei suoi Ossi (1925) senza i crepuscolari, Gozzano in particolare, e Pascoli, con la possibile mediazione dello Sbarbaro di Pianissimo (1915).
Ha reso pertanto opera molto meritoria Giuseppe Grattacaso nel recuperare e curare questa edizione dedicata delle Farfalle. Epistole entomologiche (Interno Poesia, 104 pagine, 13 euro) parzialmente pubblicate in vita (soltanto quattro apparvero nel 1914 sulla rivista “La Grande Illustrazione”). Perché è in questo poema, dalla realizzazione sofferta e incerta, come vedremo, si può rintracciare un Gozzano che lascia alle spalle sé stesso e il ricco bagaglio del suo crepuscolarismo dotto e raffinato per volgersi oltre.
Editate postume, per lo più in volumi con le altre opere del poeta piemontese e talvolta neppure integralmente, le Epistole sono state considerate un “disastro” da Sanguineti o un’operazione di “parassitismo letterario” da Bruno Porcelli in un saggio in cui sottolinea, malevolmente, la derivazione da Maeterlinck. Ma Grattacaso, attento conoscitore del poeta belga, focalizza adeguatamente la relazione tra i due, racchiudendo in più giusti confini i pur evidenti prestiti dal poeta belga e ricordando anche il sopraffino bagaglio letterario di Gozzano in grado di attingere, per le Epistole, tanto a Dante quanto ai poemi didascalici del Settecento.
Ma, soprattutto, il curatore pone l’accento su come Gozzano sia ben consapevole di star lavorando a un coso chiamato guidogozzano del tutto differente e distante da quello antidannunziano e al contempo legato alla tradizione. Annuncia Gozzano, in due lettere a Marino Moretti e ad Amalia Guglielminetti, giustamente in Appendice a questo volume, come fosse impegnato su qualcosa di inedito, aggettivo da lui riferito non solo al fatto che ancora non aveva pubblicato nulla ma perché si sentiva impegnato in una versione “inedita” del suo fare poesia, lontano, per dirla in altro modo, dai pur riusciti Colloqui. Queste Epistole, quindi, sono da considerare “un approdo voluto dall’autore, probabilmente con sofferta ed eccitata inquietudine di fronte al decisivo cambiamento di prospettiva che esse avrebbero dovuto rappresentare – e che in effetti rappresentano – una trasformazione che riguarda forma e disposizione, come avviene appunto da bruco a farfalla, fortemente ricercata dal poeta per offrire una nuova dimensione ai suoi versi”, scrive Grattacaso. Non gli è quindi più sufficiente la poetica delle piccole cose di pessimo gusto, la signorina Felicita o la temeraria pattinatrice sul ghiaccio che “rabescò”.
Avverte Gozzano una nuova quanto diversa spinta poetica, per questo si sente inedito a sé stesso. C’è, in queste Epistole, una proiezione diversa del suo “io”, Gozzano si pone con altra postura di ricerca, quasi esistenziale, non sarà quella montaliana ma certo aggettante verso una vita che “è sempre – come osserva con acutezza critica Grattacaso – interrogazione e ricerca dell’Assoluto”. Una domanda ancora inedita nell’area crepuscolare e che lo proietta con decisione verso il Novecento (e verso Montale si può azzardare).
La fotografia accanto al titolo è di Deborah Raimo.