Roberto Cavallini
In margine a una grande tragedia

Natale a Gaza?

Sui social, tra panettoni e gattini, girano migliaia di presunte foto degli orrori di Gaza realizzate con l'intelligenza artificiale. Un modo come un altro per manipolare la realtà e passare "dalla fotografia all'immagine". Ecco come si fa...

«L’irrevocabilità di ciò che è stato e non può più essere messo in dubbio» (Italo  Calvino, Lavventura di un fotografo). Il noema o principio fondante della fotografia è “la cosa è stata là”, così decretò Roland Barthes ne La camera chiara, nel lontano 1980. Questo principio si può estendere arbitrariamente a qualsiasi immagine che abbia tutti i crismi del realismo, se non addirittura dell’iperrealismo. Per sviluppare il ragionamento che stiamo per affrontare non basta prendere in considerazione solo la fotografia, perché la fotografia o immagine che sia, non è mai un prodotto avulso da un contesto ed è sempre veicolato da un mezzo, per cui, senza dover riscrivere un manualetto su la struttura della relazione comunicativa, è d’obbligo prendere in considerazione dove sono inserite e da dove fruiamo le immagini di questo “Natale a Gaza”.

Natale che è pur sempre una festività cristiana (ora trasformata in occasione di scambio di regali, alla faccia della festa dell’epifania) che pieghiamo e associamo, noi occidentali, a chi ci pare e come ci pare. La cosa è particolarmente urticante proprio in relazione alla tragedia immane che sta devastando quel territorio, in questa ennesima declinazione del conflitto israelo-palestinese.

Davanti allo schermo del computer o ancor più sbrigativamente davanti a quello del cellulare, scorriamo le immagini che i social più diffusi ci propongono in una sequenza arbitraria, dalla foto del gruppo di amici in pizzeria, alla pubblicità di biancheria intima rigorosamente rossa, a scene di guerra, tutto in assenza o quasi di testo. Perché in fondo, i social servono a tenerci occupati senza fatica, ma con l’indignazione pronta.

Ecco allora che tra un panettone e una mutanda, appaiono scene di “sacre famiglie” in mezzo a rovine e distruzioni contemporanee. Immagini di un realismo indiscutibile, “fotografie” che ci mostrano distruzione e sofferenze che esistono sicuramente nella realtà, ma non in quelle forme e non con quei colori proposti. Quelle che ci vengono somministrate sono immagini realizzate con i vari programmi di intelligenza artificiale, ovvero sono immagini create da algoritmi. Non sono fotografie, ma ne hanno la parvenza, ne generano l’illusione, se non addirittura l’inganno.

Consultata su questi argomenti, la fotografa Laura Salvinelli, una delle più importanti testimoni dei nostri anni, appena tornata da un reportage in un ospedale in Uganda, ha usato più volte il termine “spaventata”. “Sono spaventata dalla potenza infinita di manipolazione dell’AI, che intelligenza non è, ma che è azionata da qualcuno che intelligente è”; e conclude con una considerazione che definire amara è un eufemismo, spostando l’attenzione su quanti fotoreporter sono morti, uccisi dagli eserciti in conflitto, per fornire una informazione onesta strettamente connessa al noema di Roland Barthes: “la cosa è stata là”.

Certo, la manipolazione delle immagini non è cosa recente, la propaganda politica ne ha fatto uso ed abuso da tempo immemore basta pensare alla propaganda delle dittature nell’altro secolo in tempo di fotografia analogica. Dal 1990 il software Photoshop ha spostato l’orizzonte della manipolazione rendendo più facile moltissime alterazioni della registrazione dei raggi luminosi sul supporto sensibile (perché non dimentichiamo che fotografia significa scrittura con la luce).

Afferma a questo proposito Uliano Lucas: “Il grande cambiamento è avvenuto passando dalla fotografia all’immagine, due cose completamente diverse. Finché la foto è stata un prodotto legato all’uso di macchine, rullini, flash, il nostro mestiere di fotoreporter era legato alla capacità di inventare una foto. Con la rivoluzione digitale, che rende tutto possibile, quel rapporto di sapere è finito e si è passati all’immagine. Per fare una foto io devo andare su un posto, studiarlo, costruire un rapporto di fiducia con le persone e se funziona le persone si donano. È un principio di etica. Nella foto la gente può solo donarsi. Se rompi questa etica non sei più un fotografo, ma un avventuriero che rende la foto una merce.”

Una merce, appunto, il cui esclusivo scopo è la commercializzazione della fotografia stessa ma soprattutto del veicolo cartaceo o informatico che la pubblica. Una informazione che è negazione dell’informazione stessa, che è in definitiva deformazione.

Per tornare al “Natale a Gaza”, dopo aver visto le “foto” dei bambini palestinesi che sono tornati sulle macerie per riabbracciare i loro gattini, create con AI, più recentemente altre immagini ci hanno mostrato “presepi contemporanei” con i segni evidenti di manipolazione, con inserimento di elementi estranei al contesto mostrato, che, per nulla, sono stati notati da commentatori distratti sui social, che hanno reputato “reali” quelle immagini.

Ho chiesto a Martino Pirella, un fotografo tradizionale, che ultimamente si è appassionato alle potenzialità dell’AI, di produrre immagini realisticamente fotografiche, in bianco e nero, anche se la realtà la percepiamo a colori, che avessero per tema il “Natale a Gaza”. Appassionatosi alla mia richiesta ha a sua volta chiesto ad un programma di AI di elaborazione testi per commentare una foto. Ecco quanto elaborato:

TITOLO: Sotto il cielo di Gaza: La tenacia di una famiglia tra le rovine.

GAZA. In una stanza dove le pareti parlano di guerra e la luce del giorno combatte per farsi spazio tra le crepe, c’è una quiete che racconta una storia diversa. Una storia che ho catturato attraverso l’obiettivo della mia macchina fotografica, una storia di una famiglia che nonostante tutto, esiste, resiste, vive
Il padre, Ahmed, un giovane muratore, ora disoccupato a causa dei continui bombardamenti, tiene stretto il suo bambino, Ismail. I suoi occhi, una volta pieni di vitalità, ora riflettono un mix di determinazione e ansia. Accanto a lui, la madre, Hana, con il capo coperto dal hijab, osserva il suo piccolo con una gioia che sembra fuori luogo in un contesto tanto desolante. Il loro figlio, una piccola fiamma di vita, è ignaro del destino che lo circonda, ma è proprio la sua innocenza a dare loro la forza di andare avanti
Mentre scatto la foto, il silenzio è rotto dal lontano fragore di un altro edificio che cede sotto i colpi di un attacco aereo
Questo scatto non è solo documentazione; è una dichiarazione di esistenza. In un angolo di mondo dove ogni giorno può essere l’ultimo, la loro scelta di rimanere insieme è un atto di sfida
Dal cuore di Gaza, questa foto viaggia ora verso il mondo esterno, un messaggio silenzioso ma potente.

Tutto è stato tremendamente facile e rapido, nell’ordine di minuti.


Tutte le fotografie, ovviamente, sono state realizzare con l’intelligenza artificiale.

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