Roberto Mussapi
Every beat of my life

Il sogno dell’indicibile

Una “poesia d’Oriente” inedita, destinata al ciclo in fieri di Roberto Mussapi “New arabian nights”. Si racconta di un «viaggio rarissimo», di una montagna dei prodigi, di una nuvola da cui appare una principessa «dagli occhi d’incanto»… E di un ritorno

Da tempo lavoro a un ciclo di poesie d’Oriente. Alcune edite nei miei libri recenti, altre inedite, tra cui quella che vi propongo. Quando dico Oriente intendo tante cose (tra cui, sia chiaro, è proibito e bandito l’haiku, un genere di pensierini di e per  magari anche attempati adolescenti), un mondo che inizia a Venezia, ha centro e snodo a Bisanzio, si estende verso le terre delle Mille e una notte, i sogni di Harun-al- Rashid, i mistici Sufi, certo ufficialmente islamici, perché in un mondo islamizzato, certo di fatto persiani… Sharazade…
Mito centrale Marco Polo, il viaggiatore veneziano nato a Curzola (l’isoletta di fronte a Zara, dove nacque mio padre), e che dischiuse al nostro mondo l’Oriente. Questa poesia è una visione di amore in quegli incanti, nelle mie da tempo coltivate, nate, nascenti e nasciture New arabian nights.

 

 

 

 

 

 

 

La visione della montagna

So quanto dicono. Dicono,
che non vuol dire raccontano.
Adesso tu invece avrai da me il racconto,
l’unica fonte vera, oltre alla voce.
È raro che io racconti di quel viaggio, rarissimo.
Perché non è un’esperienza del mio passato,
ma un’avventura presente, e non soltanto mia.
Non mi appartiene, per questo non posso narrarla
Se non a qualcuno che in un attimo io senta accanto.
Quello che dicono è distorto e ridicolo
Come ogni cosa che gli uomini dicono:
esprime anche sinceramente qualcosa che avvenne,
ma le parole di chi dice lo distorce.
Conta solo la parola di chi racconta e ascolta.
Certo, è vero che abbandonai i compagni al bivacco
Lasciandoli mentre si spegnevano i fuochi per la notte.
E che ingiunsi di tacere, e di dormire, attendermi.
Che non sarei tornato all’alba, ma a mezzogiorno.
E da lì saremmo partiti, da quell’istante
Per riprendere in quel momento il nostro viaggio.
Non dicono, il dire e il detto non consentono,
che quegli uomini non erano solo al mio servizio,
assoldati e pagati per seguire i miei ordini.
E che per loro fu giusto che io me ne andassi.
Ma fu anche strano, e li posso comprendere.
Non dicono che non mi seguivano solo per la lauta paga,
ma perché avevano intuito il sogno del mio viaggio.
Sì, lo scopo erano le sete, i damaschi, e l’ambra e i lapislazzuli.
Ma mi avevano seguiti come presi dall’incanto
di qualche cosa che io cercavo senza saperlo:
compresero che non potevo dirlo.
Per questo furono miei discepoli, compresero il non detto
per condividere con me il sogno dell’indicibile.
Io cavalcai verso la montagna dei prodigi,
che nel viaggio di andata avevo liberato
dai sortilegi malefici del Vecchio.
Tornai in un monte pacificato
Anche grazie a me e quelli che mi aiutarono.
Non gli uomini, intendo.
Tornai per rivedere, giunto alla cima del monte,
non alto, ma altissimo per chi vi giunge a cavallo
quello che avevo visto e incontrato la prima volta.
Non era una montagna quella in cui stavo guardando
Dall’alto il mondo di cui ero carne e sangue:
era una nuvola.
E lì apparve il volto di una principessa
Una giovane persiana dagli occhi d’incanto –
Poi con le nebbie svanirono le nuvole
E mi ritrovai sulla terra solida,
io e il cavallo.
E gli uomini che mi aspettavano, senza domande.
Ora a te, soltanto a te posso fare il racconto:
e dico posso, il dire inganna sempre:
non solo posso, lo devo e lo voglio.
Tu eri quella che mi apparse sulla nuvola,
io sono tornato per ritrovarti.
E compresi l’enigma, che sto risolvendo,
io sto parlando a quella che avevo visto e perso,
per lei tornai tra le nubi cercandola.
Io sto parlando a te, che mi sei apparsa
Oggi, per caso, nel mercato pieno di folla.
Io ti ho ritrovata,
te lo racconto.

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