Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Il “primogenito” di Primo Levi

Breve storia editoriale di “Se questo è un uomo”. Rifiutato due volte da Einaudi (che poi accettò di pubblicarlo successivamente), vide la luce nel 1947 per i tipi della casa editrice De Silva di Torino diretta dal fondatore Franco Antonicelli

Una delle vicende editoriali più paradossali del nostro Novecento riguarda quello che Primo Levi aveva ironicamente battezzato come il suo «primogenito», ovverosia il libro d’esordio, intitolato Se questo è un uomo. Si tratta del celeberrimo romanzo che rievoca la detenzione nel lager di Auschwitz, avvenuta a causa delle origini ebraiche dello scrittore. Composto tra il dicembre 1945 e il gennaio 1947, il dattiloscritto fu originariamente proposto all’Einaudi che, in due differenti occasioni, declinò di pubblicarlo: il primo rifiuto avvenne nel 1947, in seguito alla lettura intrapresa da Natalia Ginzburg e Cesare Pavese, consulenti della casa editrice torinese; il secondo si ripeté nel 1952. Le ragioni storiche sono da attribuire a una sorta di saturazione da parte del mercato editoriale di titoli tesi a rievocare gli orrori della guerra, ad appena un paio d’anni dalla sua fine, anche se pochi erano i libri che trattavano specificamente il tema della Shoah. A riprova di ciò bisogna considerare che Einaudi rifiutò, nello stesso 1947, anche L’espèce humaine di Robert Antelme, testo caldeggiato da Vittorini che vedrà la luce solo nel 1954.

Chimico (fu tale professione a salvargli la vita), Levi scrisse il libro in una sorta di trance creativa, derivante dall’esigenza di testimoniare le proprie incredibili esperienze, come lui stesso ha dichiarato: «Io lo vedevo come un atto giudiziario questo libro. Mi sentivo testimone». E ancora: «Ho scritto anche in treno, nel tragitto fra Torino e Avigliana, dove lavoravo in fabbrica. Scrivevo di notte, nell’intervallo di pranzo di mezzogiorno; ho scritto quasi tutto il capitolo Il canto di Ulisse nella mezz’ora da mezzogiorno all’una. Ero continuamente in una specie di trance». Lo scrittore sostiene di aver sottoposto il dattiloscritto a qualche altro editore, senza specificare quale.

Levi si rivolse alla sorella Anna Maria per trovare una via di sbocco a tale impasse. Il problema passò quindi nelle mani di Alessandro Galante Garrone, storico e magistrato, impegnato nel Partito d’Azione, che coinvolse all’uopo Franco Antonicelli, direttore e fondatore della casa editrice De Silva di Torino: «Caro Franco, ti lascio quel manoscritto di Primo Levi di cui ti avevo parlato. Non credo d’essermi ingannato, nel giudicarlo superiore a quanto finora mi è accaduto di leggere in quel genere. Ma preferisco affidarmi al tuo sicuro giudizio. Mi pare che non sia soltanto un documento storico e umano di grande rilievo (per l’inesorabile quadro di quel mondo atroce che ci presenta, e per i problemi morali che involge), ma in molte e molte sue pagine, una cosa bella. Vedi, specialmente, per farti subito un’idea dell’opera, i capitoli Ottobre 1944, Esame di chimica, Kraus, e specialmente la terribile Storia di dieci giorni».

Il volume uscì infine nel 1947 in 2500 copie, quale terzo titolo della Biblioteca Leone Ginzburg. Alcuni capitoli erano stati anticipati, con il titolo Sul fondo, in «L’amico del popolo», settimanale comunista di Vercelli diretto dall’amico Silvio Ortona, e sul «Ponte» di Piero Calamandrei. Circa mille copie vennero distrutte durante l’alluvione di Firenze del 1966, in quanto si trovavano nei magazzini della Nuova Italia, casa editrice che aveva rilevato il marchio De Silva; all’incirca 1500 esemplari si vendettero (la copertina, nella foto sopra).

Se questo è un uomo è contrassegnato da una brossura con formato in 8°, contenente 200 pagine e una sovraccoperta a due colori che riporta un disegno di Goya. Il titolo, ricavato da un verso di Dante, avrebbe dovuto essere I sommersi e i salvati che diventerà invece quello della raccolta di saggi uscita nella collana einaudiana degli Struzzi nel 1986. Fu Renzo Zorzi, collaboratore di De Silva, a suggerire all’autore torinese di intitolarlo Se questo è un uomo, tratto dalla poesia che figura in esergo, incontrando l’approvazione di autore ed editore. Il libro venne recensito da Italo Calvino su «L’Unità» il 6 maggio 1948 con raro acume e sensibilità: «Levi non si limita a lasciare parlare i fatti, li commenta senza forzar mai la voce e pure senza accenti di studiata freddezza. Studia con una pacatezza accorata cosa resta di umano in chi è sottoposto a una prova che di umano non ha nulla». La quotazione di un buon esemplare munito di sovraccoperta, sempre più difficile da reperire sul mercato antiquario, ruota indicativamente intorno ai 2000 euro.

Il libro fu inoltre recensito da Cajumi insieme a Il sentiero dei nidi di ragno dello stesso Calvino. Precisa ancora l’autore: «Poi nel ’51 De Silva fu assorbita dalla Nuova Italia. Volevo che lo ristampassero. Mi dissero di no […]. Così nel ’55 tornai a bussare all’Einaudi. C’era una mostra sulla deportazione, aveva destato interesse. E Luciano Foà decise di pubblicare il libro». Il riferimento è alla versione stampata nel 1958 in forma accresciuta nella collana dei Saggi, con un’affascinante sovraccoperta realizzata da Bruno Munari (nella foto sopra) e una nota critica, non firmata, di Italo Calvino. Edito in 2000 esemplari, il libro venne ristampato a più riprese divenendo uno dei long seller di Einaudi, con traduzioni che si succedettero in ogni parte del mondo, trovando degna continuazione con La tregua, licenziato da Levi sempre per gli stessi tipi, nella collana I coralli nel 1963: in sovraccoperta campeggia un disegno in bianco e nero di Chagall.

Levi allestì con il titolo Se questo è un uomo anche una riduzione teatrale edita nel 1966 nella Collezione di Teatro, diretta da Paolo Grassi e Gerardo Guerrieri, dopo aver realizzato, un paio d’anni prima, una versione radiofonica. Nonostante il duplice rifiuto dell’editore torinese, l’autore rimase sempre fedele a Einaudi, destinando allo stesso, salvo qualche rara eccezione, tutta la produzione successiva, spesso imperniata su tematiche scientifiche o attinenti al mondo del lavoro. Per Storie naturali, pubblicato nel 1966 nella collana I coralli, adoperò lo pseudonimo Damiano Malabaila. Nella bibliografia spicca tuttavia un titolo rarissimo. Si tratta di una plaquette anonima di 26 pagine, priva di titolo ed edita in forma privata nel 1970, contenente 23 poesie e contrassegnata da un cartoncino in copertina. La tiratura comprende 300 esemplari. È un’anticipazione del volumetto L’osteria di Brema, stampato da Vanni Scheiwiller con il marchio All’Insegna del Pesce d’Oro nel 1975 che, a sua volta, confluirà nella raccolta organica Ad ora incerta, pubblicata da Garzanti nel 1984.

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