I deliri del bibliofilo
Sinisgalli al’Insegna del Pesce d’oro
Con “18 poesie”, esordio poetico dell’ingegnere lucano, iniziò nel 1936 la straordinaria avventura editoriale di Giovanni Scheiwiller e dei suoi volumetti di formato minuscolo (cm 9,5 x 7,5). Un'idea che prosperò, moltiplicandosi con autori del calibro di Ezra Pound
«Scheiwiller collaborò al movimento della Nuova Economia senza saperlo e col suo coraggio si oppose alla cupidità mondana. Decise di pubblicare letteratura, prima che il pubblico domandasse la letteratura di domani, o una letteratura che s’indirizzava a pochi lettori d’un gusto e d’una intelligenza superiori. Egli concepì un sistema, che recava una perdita piccola, ma assoluta all’editore». Così nel 1937 Ezra Pound salutò il lungo apprendistato editoriale di Giovanni Scheiwiller (nella foto in basso) che l’anno precedente aveva dato vita alla straordinaria avventura conosciuta sotto il nome di «All’Insegna del Pesce d’Oro», stampando il primo volumetto, intitolato 18 poesie, che rappresentava l’esordio poetico di un ingegnere lucano pressoché sconosciuto, vivente da oltre un anno alla periferia di Milano: Leonardo Sinisgalli. È diventato un libretto difficilissimo da trovare sul versante antiquario, che fa il paio con Campi Elisi, edito nella medesima collana un paio d’anni dopo, e che si contraddistingue per il colore giallo del piatto, con rilegatura alla francese (brossura muta e sovracoperta).
La plaquette 18 poesie, dalla copertina rossa, fu stampata «il 15 ottobre 1936 dalle Industrie Grafiche Pietro Vera di Milano in 200 esemplari numerati su carta uso mano e 27 esemplari su carta “Japon” numerati da I a XXVII per gli Amici del Libro», come si ricava dal colophon. Il formato minuscolo (cm 9,5 x 7,5), che diventerà uno dei tratti distintivi della collana, derivava dal fatto che la carta era razionata e si doveva fare economia. Le pagine non erano numerate. Curiosa è la dedica dell’autore in una copia indirizzata al suo editore qualche giorno dopo la stampa: «Al caro Scheiwiller, nostro angelo misericordioso, con tanta gratitudine e affetto il buon ladrone Leonardo Sinisgalli, Milano 21 ottobre 1936».
Le 18 poesie, nonostante la loro esiguità, conobbero una fortuna critica davvero considerevole, tanto da interessare poeti e critici del calibro di Ungaretti e De Robertis. Ma, a ben vedere, la raccoltina del ’36 era stata preceduta da un volumetto di liriche pressoché introvabile ai nostri giorni, contrassegnato dal semplicissimo titolo Cuore, stampato a Roma a spese dell’autore nella primavera del 1927, presso la Tipografia dei Salesiani, e dal Quaderno di geometria, estratto della rivista «Campo Grafico» n. 9-10-11-12, edita a Milano nello stesso 1936. Quest’ultima pubblicazione contiene sei bellissime tavole di uno dei maestri dell’astrattismo italiano, Luigi Veronesi.
Raffaele Carrieri ha rievocato la nascita di questa curiosa sigla editoriale, ricavata dal nome di una trattoria toscana di Milano in cui Scheiwiller e gli amici poeti e pittori si ritrovavano spesso: «È al Pesce d’Oro che invitai per la prima volta Sinisgalli; viveva da 14 mesi alla periferia come su uno scoglio. Non aveva mai visto il Duomo, non era mai entrato in Galleria: Leonardo a Liegi. È al Pesce che conobbi Giò Ponti. D’estate, quando donne e bambini partivano in villeggiatura, veniva Scheiwiller, veniva Solmi e Lanza […]. L’idea di una collana intestata al Pesce d’Oro dev’essere venuta a Scheiwiller dopo una di quelle cene irrorate di Chianti […] l’idea prosperò; i pesci si moltiplicarono nella mente di Giovanni come quelli della tavola degli apostoli; alcuni erano indorati e fritti, altri rossi, verdolini, viola, del colore del limone e del mandarino. Ogni pesce aveva un nome e un titolo. L’idea prosperava in segreto».
Giovanni Scheiwiller, nato a Milano l’8 novembre 1889, non si era improvvisato editore, ma aveva una lunga consuetudine con il mondo dei libri sin da quando era fanciullo. Il padre, infatti, che portava il suo stesso nome, era un cittadino svizzero che si era trasferito a Milano per collaborare con il connazionale Ulrico Hoepli, affermatosi sia come editore di manuali di argomento tecnico-scientifico sia come libraio antiquario. Dopo aver girovagato per mezza Europa in quello che una volta era considerato, per la borghesia dell’epoca, un grand tour di carattere educativo, il giovane Scheiwiller approda nel 1915 da Brentano’s a New York, prima di ritornare a Milano. Scomparso il padre, Giovanni entra a sua volta a far parte dello staff della libreria Hoepli dove, dopo aver diretto la sezione francese, nel 1930 diviene procuratore generale e, nel 1941, direttore.
Ma Scheiwiller – che nel frattempo aveva sposato Artemia, figlia dello scultore Adolfo Wildt – aveva una particolare predisposizione per l’arte, coltivata durante i suoi viaggi all’estero, in particolare a Parigi. Comincia così a pubblicare, a proprie spese, alcuni volumetti monografici dedicati ad artisti contemporanei, con la seguente indicazione riportata in copertina: «Si vende presso la libreria Ulrico Hoepli, Milano». Nasce così nel 1925 la celebre collana «Arte moderna italiana» con una monografia su Arturo Tosi, arricchita da un testo del pittore Ugo Bernasconi, cui seguiranno varie opere, tra cui quelle dedicate a Felice Casorati, Achille Funi, Libero Andreotti, Ubaldo Oppi. Il lavoro viene svolto al sabato e alla domenica o nelle ore libere dopo le mansioni dell’ufficio, sempre che non fossero dedicate a memorabili escursioni in bicicletta.
Nel 1927 l’editore cura la prima monografia italiana su Amedeo Modigliani, dimostrando una lungimiranza e un’apertura di vedute poco comuni in un’epoca dominata dalle restrizioni dettate dalla politica culturale fascista. D’altronde, come ha rilevato Andrea Kerbaker in una ricostruzione cronologica intitolata Giovanni e Vanni Scheiwiller, negli «anni di consolidamento della dittatura, sarebbe lecito attendersi scontri più o meno vivaci con il regime. Non è così: il rapporto con il fascismo, tutto sommato, è inesistente; quando c’è, è tranquillo. D’altronde Scheiwiller, che per gusto e apertura internazionale è naturalmente antifascista, non coltiva alcun interesse politico particolare. Come nella migliore arte del periodo, la sua produzione parla per lui: dove le scelte, così distanti dalla tronfia retorica del regime, hanno lo stesso significato delle bottiglie nei quadri di Morandi o del tono sommesso delle poesie di Montale». Innumerevoli i libri stampati, tra cui quelli dell’amico Ezra Pound.
L’ultimo titolo vede la luce nel 1951: Poetesse del Novecento, a cura – non dichiarata – di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani. Ma qualcosa si è ormai irrimediabilmente incrinato nell’equilibrio di quell’uomo dall’aspetto ascetico e dimesso, dallo sguardo penetrante e indifeso dietro spesse lenti da miope. È maturato il tempo della successione, del passaggio di mano della casa editrice al figlio diciassettenne, come ricorda lo stesso Vanni: «È cominciato quasi per gioco, nel ’51, io liceale aspirante giocatore di tennis, mio padre […] stanco e sfiduciato della sua piccola casa editrice del sabato e della domenica (Passatempo 1925-1944 aveva intitolato un suo cataloghino) mi chiese a bruciapelo se volevo continuare io: “Sì, papà”. Il tennis perse un mediocre giocatore e l’editoria italiana si guadagnò il suo editore “inutile” di libri e microlibri […]. Mio padre mi regalò 50.000 lire e mi fece un prestito di 150.000, che gli resi puntualmente alla fine del ’52, cosa che non saprei più fare oggi».