Su "Il sorriso di chi ha vinto"
L’ultima Roma
Il nuovo romanzo di Paolo Restuccia è quasi un sequel del precedente con ancora il personaggio di GReta Scacchi protagonista. Un noir ambiguo, ambientato in una Roma spietata e sprezzante
Tra gli argomenti invocati a volte dai lettori nel lodare e consigliare i libri c’è la lettura insaziabile, divorante, veloce: come pregio, come marchio di valore per antonomasia, come qualità di scrittura – tutto questo non solo non difetta a Il sorriso di chi ha vinto, nuovo romanzo pubblicato da Paolo Restuccia con Arkadia nella collana Sidekar (in libreria dal 17 novembre e costa 17€ – un numero che non impensierisce né l’autore né gli editori), ma è forse la sua caratteristica più incisiva, per una storia torbida e ad effetto quanto basta per incasellarlo egregiamente nel thriller e ancor più nel noir.
Non significa affatto che il romanzo sia (come usa dire) scorrevole, quindi che il tessuto del testo scorra banale – significa viceversa che, per costruzione e intreccio, innestati su un impianto compositivo, anche sonoro, diretto e avvolgente, il libro avvince il lettore e lo costringe a fare i conti con vicende personaggi ambienti o milieu evocativi di fatti e momenti (storicizzati come ancora attuali) che riguardano ognuno di noi, in un confronto serrato, dopotutto ostico e ineludibile, a cui è perlomeno difficile sottrarsi.
Ciò che colpisce, del libro e dell’abilità dell’autore, è presto detto.
Il romanzo ripropone alcuni personaggi del precedente Il colore del tuo sangue (Arkadia 2022). Torna innanzitutto Greta Scacchi, film-maker giovanissima e indipendente, non solo sul lavoro, bisessuale, la cui caratteristica è guardare la realtà sempre attraverso l’obiettivo della sua GoPro, telecamerina portatile, professionale sì ma estremamente maneggevole: inquadrando la realtà con l’occhio digitale Greta riesce a vederla, riesce a cogliere dettagli e prospettive che a occhio nudo si perdono nel caos. Greta Scacchi porta il nome dell’attrice impostole da sua madre che ha una somiglianza pazzesca con la star degli schermi: la stessa somiglianza non si è replicata nella figlia videodetective, la genetica in lei ha dirottato altrove. Ritorna Tommaso Del Re, poliziotto sospeso che ora è consulente per un canale-tv di cronaca criminale: è ossatura investigativa nel libro la loro ambigua collaborazione, in ciascuno dei due dettata da esigenze di verità dissimili. Torna Irene Russo, make-up artist, partner a singhiozzo di Greta Scacchi. Si palesa all’orizzonte un poliziotto che porta per cognome il nome di un noto liquore. Emergono figuri e figure che nutrono la vicenda nera, nerissima, di questo secondo capitolo, cui immaginiamo segua un terzo e forse altri ancora.
C’è nel romanzo (parlavo più sopra di impianto compositivo anche sonoro) qualcosa di orecchiabile.
La vicenda narrata, il caso che avvince a sé l’investigazione di Greta Scacchi e dell’amico ex-poliziotto e noi a loro, mostra subito inquietanti somiglianze con la scomparsa (avvenuta oramai quaranta anni fa) di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori – in un certo senso riproduce anche, la riproposizione dei due cold cases, una sorta di gerarchia di importanza che i due casi hanno avuto fin da subito e hanno tuttora nell’attenzione degli investigatori, dei media e del pubblico: più centrale il caso della Orlandi; solo in un secondo momento, e a ruota, rivalutato il caso della Gregori, all’inizio mal individuato. Le due acrobate scomparse nel romanzo di Restuccia sono l’una entusiasta di calarsi in un oblio nero, l’altra più recalcitrante. La loro sorte è al centro del libro. Il romanzo insegue un sogno di riscatto e di risarcimento, un tentativo umanissimo all’insegna del: tutto è bene ciò che finisce. Sì, ma come?
L’orecchiabilità però non finisce qui: spesso, nel tessuto della scrittura, oppure in certe scelte quali altrettante soluzioni di nominazione di personaggi, sembra di riconoscere parole che provengono da versi di canzoni o rimandano a ritornelli di canzoni, in una generale sonorità pop dunque popolare che serve (in ogni caso concorre) a situare il romanzo in un tessuto espressivo medio e in una fascia media di destinazione editoriale. Non lo si intenda come diminutio, ma per segnalare che il romanzo restituisce (come usa dire) con esattezza un certo contenitore socioculturale e anche artistico medio cioè condiviso e nutriente per le masse, che è il campo di indagine del libro.
Un elemento che lega esemplarmente l’origine reale della vicenda e questa sua riformulazione corrente, in cui ogni oscurità è chiarita e ogni irresolubilità è resa solubile, è il corpo: i corpi come oggetti, estetici ed estetizzati, e la loro artificializzazione contro natura attraverso una cosmesi cieca e violenta. La violazione dei corpi. Come commercio ordinario. Come prassi diffusa.
Ciò che inquieta è il genere di vicenda raccontata stavolta. Molto più nera. Molto più torbida. Molto più spiazzante. Molto più occulta. Vengono fuori: una Roma spietata e sprezzante in barba alla sua oggettiva bellezza che tuttavia è malevola di fatto perché si rivela ingannatrice; un clero corrotto o nei casi migliori ingenuamente irretito ad un livello esoterico; un mondo di corruzione e malaffare che durante la narrazione non poche volte evoca film come Suburra, col vizio e una ferinità dilaganti che escludono ogni ravvedimento, cioè escludono proprio che oltre al malvagio possa esserci altro.
Siamo in una Roma che si offre allo sguardo di noi oggi nella sua entità di maceria eccellente, di sublime reperto stratificato e pieno di zone buie in cui si annida inevitabilmente ogni sorta di male, col vantaggio inequivocabile che offre di angoli nascosti che tornano comodi per dissimulare la vita cimiteriale di alcuni individui (non pochi – si insinua: predominanti). A questo si aggiunga il dato implicito della doppiezza, e dell’occultamento attraverso l’aperta esposizione, in molti casi.
L’elemento del doppio, dopotutto, è nella stessa costruzione del libro: due filoni principali corrono affiancati a lungo, mediati ogni tanto, con cadenza più regolare di quanto sembri, dai sogni di Greta che sono il riaffioramento di ricordi lontani e di esperienze perdute. Sempre, nel salto da un filone all’altro o nel tuffo dentro un sogno, il laccio è offerto da un dettaglio, da un passaggio descrittivo, da un’inferenza tematica. In chiusura la convergenza delle due rette parallele configura il coronamento perlomeno letterario di una ipotesi. Gli estremi del mondo di sotto e del mondo di sopra si toccano.
L’intrico della vicenda si infittisce in modo tale, e il coraggio disarmato della protagonista di guardare in faccia i fatti e affrontarli a viso aperto, sorretta da un senso di giustizia che non ha però (lodevolmente) nulla di volontariamente eroico o di proclamatorio, ma è sentito in modo asciutto e laico (in un mondo infestato di religiosità ambigua, dilagante, ottusamente fideistica, o esoterica se non demoniaca), è un coraggio che si fa talmente temerario, senza protezione, senza schermi, però arguto, che lo scioglimento (ci mettiamo dalla parte dell’autore) non poteva che essere amletico.
Il romanzo porta a casa il suo risultato di storia nera e avvincente che insegue un riequilibrio. È peraltro feroce e privo di cautele nello spiattellare la malvagità nella sua efferatezza realistica, non mente su nulla, non edulcora nulla, e mostra inevitabilmente un mondo dominato dal potere che è proverbialmente maschile in cui le donne sono usate o androgizzate. È un romanzo, mentre sta nel suo recinto di genere, non mente sul marcio che ci infesta senza reticenze. È un libro che in ogni caso non dimentica di far quadrare la costruzione, di chiudere tutte le strade aperte, di assicurare un bilancio finale che perlomeno nell’invenzione romanzesca risani e ripari. Torna utile a questo scopo anche il disclaimer in coda al libro con cui l’autore lo licenzia, tenendoci a svelare qualcosa che il lettore da sé ha capito subito: il riferimento alle scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori che il libro vuole a tutti i costi riportare a casa, in quel desiderio di riparazione di esistenze spezzate, di vite interrotte (di cui già si diceva), che in un passaggio è apertamente enunciato. C’è dunque anche il noto gioco tra il dentro e il fuori, tra vita e scrittura, tra realtà e sogno o incubo, che è il tessuto osmotico, il tracciato su cui tutti viaggiamo precariamente, in bilico.
È vero, un autore ha sempre difficoltà a separarsi da una propria opera. Cerca quindi di trattenerla più che può, proprio come tutti noi non vorremmo mai separarci dalle persone care, e vorremmo tenerle per sempre con noi in un cerchio magico inossidabile che nulla possa spezzare. Nel desiderio tutto umano di riuscire a conseguire questo miracolo che è una chimera, questo libro è molto onesto.
La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini