Diario di una spettatrice
La storia è donna
Quattro buone ragioni per vedere il film del momento: "C'è ancora domani" di Paola Cortellesi. Dalla trama di forte spirito civile alla grande prova di tutti gli interpreti
È il film di cui tutti parlano, è il film che sta sbancando il botteghino, dopo anni di disattenzione e di covid, la gente si mette in coda fuori dai cinema per vederlo. E mica era scontato, perché non è Scorsese, non è Nolan, è Paola Cortellesi, un’attrice “comica” che per la prima volta fa anche la regista. E allora, per non aggiungermi al bla bla che si può leggere ovunque, vado dritta al punto elencando quattro validi motivi che, secondo me, consigliano la visione del film C’è ancora domani.
1. La prima ragione riguarda il contenuto, come diceva Renzo Arbore all’Altra Domenica “il messaggio”. Questa pellicola è un inno alle donne che hanno fatto la Repubblica, 13 milioni di donne che votarono in Italia per la prima volta e di cui siamo tutti/e figli/e e nipoti. Sono convinta che il successo inatteso del film sia dovuto anche a un passaparola che riguarda in qualche modo l’emozione che non ti aspetti e che arriva alla fine del film provocata proprio da questo messaggio. Massì, lo dico, vedere la Cortellesi fa venire voglia di votare di nuovo per la Repubblica, con tutto quello che questo voto potrebbe significare adesso.
2. Entro nel merito del prodotto cinematografico, delle scelte fatte dalla regista. Vedendo le prime scene, il set, la recitazione, ho pensato: oddio, è tutto finto, a partire dal bianco/nero finto neorealista, mica ci possiamo credere, quella Roma del 1946 è finta, il cortile dove si affacciano le finestrelle del seminterrato dove abita quella famiglia di disgraziati è teatro, è il basso di Napoli milionaria. Sì, è tutto platealmente fiction, dal parrucchino di Valerio Mastrandrea al poliziotto americano di colore che non parla una parola d’italiano, ma si vede che si fa capire bene quando vuole (per citare Vasco) e allora arriva il coup de théâtre. Ed è soprattutto finzione dichiarata il rapporto tra Delia (Cortellesi) e Ivano (Mastrandrea), lo rivela la scena in cui lui la aggredisce (perché fin dall’inizio è chiaro che nel loro matrimonio lei subisce la violenza del marito) ma mica senti le urla, c’è la canzone «Nessuno ti giuro nessuno nemmeno il destino ci può separare» e i due ballano un boogie, e i segni delle violenze appaiono e subito scompaiono. Fiction appunto. Insomma, la regista ci sta raccontando una storia drammatica, c’è la violenza, c’è il marito padrone e la donna moglie e madre che subisce, c’è l’Italia del 1946 con la miseria e i sogni semplici e irrealizzabili di quelle persone, ci sono le donne che cercano l’amore e magari non l’avranno, ma toglie da questa narrazione il dramma, lo racconta nella leggerezza di una finzione esplicita, e mica il messaggio è per questo meno forte. Ho pensato che questo film, girato con altri mezzi in America, sarebbe stato un magnifico musical.
3. La terza buona ragione per vedere questo film riguarda proprio le scelte musicali, un mix tutt’altro che scontato di canzoni d’epoca e canzoni contemporanee. E ci sono soprattutto le musiche originali di Lele Marchitelli, il compositore che ha lavorato per Paolo Sorrentino nel film La grande bellezza e nella serie The Young Pope. Come non accorgersi che la sequenza iniziale in cui Delia cammina al rallentatore sfiorando tutti i generi del popolo romano è identica alla sigla di The Young Pope?
4. Last but not least c’è la bravura di tutto il cast a cominciare da lei, la protagonista adesso anche regista, mai più semplicemente un’attrice “comica” come tante.