Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Il futuro di Ken Loach

Ruota tutto intorno a un pub nel quale si incontrano inglesi e migranti siriani, “The Old Oak”, nuovo film di Ken Loach. Un paradigma per immagini sulla speranza di un futuro migliore

“When you eat together you stick together”. “Quando si mangia insieme si rimane uniti”. In questa frase è contenuto il messaggio, semplice e fortissimo, del nuovo film di Ken Loach, The Old Oak, in concorso a Cannes e ora nelle sale italiane. È l’ennesimo atto di fede del regista inglese in un’umanità capace di trovare, nonostante tutto, le vie della convivenza, “quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento si poserà”, per dirla con Francesco Guccini. Per dirla con Loach, “un giorno dovremo essere così organizzati e determinati da fare in modo che la solidarietà possa porre fine alla sofferenza e alla necessità di ricorrere alle lotte. Abbiamo già aspettato troppo a lungo”. Affermare ancora questa speranza, crederci ostinatamente a 87 anni non è scontato.

Loach ci racconta una storia paradigmatica che conosciamo tutti: un pullman di profughi siriani arriva in una cittadina del nord dell’Inghilterra nel 2016 e subito si scatenano le tensioni e le incomprensioni, i “non sono razzista, ma…”, “questo paese è diventato una discarica, cosa vengono a cercare qui?” Perché, come dice lucidamente TJ Ballantyne, proprietario dell’unico pub del paese “The Old Oak”, la vecchia quercia: “Cerchiamo tutti un capro espiatorio. Quando la vita non va, cerchiamo chi è più in basso di noi per calpestarlo”.

Loach presenta senza retorica le ragioni di tutti: quelle della gente del posto incattivita dalla chiusura della miniera e dalla fine delle speranze di una vita migliore, quelle dei profughi che hanno perso tutto in fuga dalla guerra. E sarà proprio in quel pub che cade a pezzi, tra una pinta e l’altra di birra, dove montano le parole dell’incomprensione e dello scontro tra povertà, che verrà trovata la risposta giusta per conciliare le ragioni di tutti. Semplicemente mangiare insieme, cucinare insieme, perché “a volte nella vita non c’è bisogno di parole, solo di cibo”, come dice la ragazza siriana Yara con la passione della fotografia a TJ Ballantyne. È nel preparare il cibo, nel mangiare il cibo, nel donare il cibo, che si mescolano le ricette e le culture, le lingue e i pensieri, i thank you e i shukran. “Strenght, unity, resistance”, forza, unità, resistenza, sono le tre parole scritte in inglese e in arabo nel vessillo con la quercia ricamato dai siriani e portato in corteo da tutta la città.

Ma Loach ci offre anche un altro punto di vista che va oltre questa storia: è la forza delle immagini, la forza del cinema. Yara, la ragazza con la macchina fotografica regalatale dal padre e che avrebbe voluto diventare fotografa, dice a TJ: “Nella mia vita ho visto ciò che non avrei voluto vedere. Ma quando guardo attraverso questa macchina fotografica, scelgo di vedere la speranza e la forza”. Ecco il messaggio non solo di The Old Oak, ma di tutta la cinematografia di Loach, credere che i film possano ancora raccontare storie che intravedono nelle macerie la speranza e la forza.

Dopo due Palme d’oro, un Leone d’oro alla carriera, 27 lungometraggi, oltre a serie tv, documentari e corti, Ken Loach ha annunciato che The Old Oak sarà il suo ultimo film. Ma del cinema di Loach noi tutti ne abbiamo ancora bisogno.

Facebooktwitterlinkedin