In vista del Premio Onofri
La lezione di Onofri
Sandro Onofri, romanziere e autore di grandi reportage, era anche un insegnante speciale: quasi un fratello maggiore degli studenti. Nel suo sguardo sul mondo c'era la voglia di capire, non quella di giudicare
Lunedì prossimo, 16 ottobre, alle ore 17.30, presso la Bibioteca Sandro Onofri di Roma in Via Umberto Lilloni 39, nel quartiere Acilia, si terrà un incontro per parlare di Sandro Onofri, dei suoi romanzi (in occasione della ristampa di Luce del Nord da parte di Elliot) e dei suoi reportage (in occasione dell’uscita della raccolta L’Italia ieri mattina da parte di Succedeoggi Libri). Lunedì 30 ottobre, alle ore 17, presso la Casa delle Letterature, si terrà la cerimonia di assegnazione del Premio Sandro Onofri per il reportage letterario. Pubblichiamo un ritratto di Sandro Onofri insegnante di Daniela Matronola, che fa parte della giuria del Premio.
Ultimamente mi sono appassionata alle assemblee sindacali “del comparto scuola”, come usa dire, anche quando i sindacalisti, tra un solenne sonno e l’altro, improvvisamente sollevano un sopracciglio, schiudono una palpebra, e indicono scioperi manifestazioni potenziali sfracelli, e nulla cambia. Sfoglio anche, proprio in questi giorni, Registro di Classe di Sandro Onofri, in relazione alle cerimonie che saluteranno entro breve la rinascita del Premio per il Reportage Narrativo a lui intitolato: creato nel 2000, l’anno dopo la prematura morte dello scrittore a 44 anni, il premio è durato fino all’edizione del 2013 e ha annoverato tra i vincitori autori e opere di grande valore, tutti accomunati anche da un’idea di letteratura a piedi ispirata dal grande giornalista polacco Ryszard Kapuściński. E proprio a Roma in un incontro con Kapuściński, moderato da Goffredo Fofi nel febbraio del 1994, era presente, tra gli altri scrittori, Sandro Onofri, allievo e amico nel decennio passato di Vincenzo Cerami, con cui ha condiviso un comune sguardo caritatevole verso i poveri diavoli, però con maggior pietà e minor asprezza o cinismo.
Ora proprio succedeoggi.it, grazie a Nicola Fano, rilancia il Premio Sandro Onofri per il Reportage Narrativo con questa prima riedizione 2023.
Nelle pagine centrali di Registro di Classe, diario di scuola tenuto da Sandro Onofri, scrittore e docente di Lettere in un istituto tecnico di periferia, ritrovo il magistrale ritratto dei sindacalisti assegnati appunto al comparto scuola, sempre in due come i carabinieri di Pinocchio: l’esperto (maschio) parolaio e sdegnoso, la molto più esperta (donna) declassata a consulente se non segretaria, per forza di circostanze relegata alla funzione di rassegnata pacificatrice, moderatrice fra il collega retore e i sornioni docenti in assemblea.
Ritrovo anche un leit motiv che non è mai tramontato: era vero allora come è vero, ho constatato, ora – le RSU e le RUA (sigle delle rappresentanze sindacali di chi lavora nell’istruzione) convocano le riunioni nelle diverse scuole inviando esperti su nodi professionali, salariali, pensionistici e via così, i quali non esitano a rimproverare i lavoratori nell’istruzione per essere stati lì a farsi catechizzare e al momento del “dibbattito” se ne escono con piccole questioni locali, puerili, senza saper volare “alto, alto, alto”, scrive Onofri, come il retore navigato – il quale per la verità si è disperso mille volte in mille rivoli secondari mostrando, a dirla tutta, di non avere affatto questa visione in grande di cui pure, con fare pensoso e offeso, si vanta.
E qui si presenta la grandezza di Sandro Onofri: scrittore, autore di romanzi e reportage narrativi, in cui era maestro e che ha scritto in grande quantità collaborando con l’Unità e con il Diario della Settimana che per qualche anno è stato la rivista affiancata al quotidiano che fu di Gramsci, dunque autore-cronista ma anche docente di Lettere, professore di scuola superiore perlopiù in istituti di quartieri periferici, dove davvero la scuola svolge fin dove può la sua funzione risarcitoria.
Sandro Onofri, da figlio di artigiano, rilegatore di libri dunque confezionatore dell’oggetto-libro, aveva con i suoi studenti una corrispondenza affettuosa formativa e umana allo stesso tempo. E la sua grandezza, come Registro di Classe mostra egregiamente, sta in una capacità direi di farsi guida fraterna, di essere mentore percepito come fratello maggiore, di agire maieuticamente sui suoi studenti soprattutto per stanarli e sostenerli in un colloquio che li stimola alla confidenza, a lasciar cadere ogni reticenza, a tenere in piedi il più possibile col professore quella conversazione che è la scuola attiva, ed è il sale del cosiddetto dialogo educativo, pieno di contenuti, certo, e di letture condivise, e naturalmente programmi e voti, ma anche tessuto connettivo, una squisita corrente umana in cui gli studenti si rendono conto di essere considerati come persone.
Si potrebbero naturalmente, e la tentazione è forte, citare molti siparietti che in questa cronaca di un anno di scuola danno gusto al racconto ma forse è meglio non disperdersi appunto in rivoli locali o puerili e fare il punto attraverso questo libro – che è stato ripubblicato da minimum fax nel 2019 con due scritti di Vanessa Roghi, storica che di scuola molto si occupa, ma uscì la prima volta nel 2000 grazie al ritrovamento di questi materiali nel computer di Sandro Onofri, da parte di sua moglie Marina (lo scrittore era morto solo l’anno prima).
Si fa il punto tra la scuola non ancora digitalizzata, ma già sul punto di esserlo, alla fine del Novecento e la scuola ormai sbarcata nel ventunesimo secolo, significa fare i conti con l’estro scoperto e non più protetto, oramai scassinato (Onofri temeva molto questa detronizzazione dello studente interiore) e con strumenti tentatori, sostitutivi dell’intelligenza umana con la sua omologa artificiale, come ChatGPT. Una scuola in cui gli studenti hanno da un pezzo dismesso il walkman che forniva la colonna sonora alle loro perlustrazioni e ora se ne stanno assorti, indisturbati e imperturbabili, coi timpani turati dagli airpods.
L’atto compositivo, il gesto della scrittura, antiche espressioni di libertà, di esercizio della varietà e della intermittente continuità che permette di tenere il filo, anche quando siano esercitati solo nei temi negli appunti nelle annotazioni frutto del lavoro a scuola, da parte degli studenti dico, sono sassolini vitali nel loro percorso come individui, e avere come angelo custode e cavaliere tutelare un professore che ti valuta ma non ti giudica, e quando lo fa mette dentro la valutazione (il voto) tutta una serie di fattori per i quali il prodotto altro che se cambia, concede almeno il lusso della considerazione e della comprensione.
È una questione di vera fraternità umana e di attenzione, di onestà e di fiducia: oggi la definiamo ascolto, anzi disponibilità all’ascolto – la sensazione però è che un velo di ipocrisia intanto abbia avuto la meglio.
La sfida all’ipocrisia in nome della purezza Sandro Onofri la indaga in Luce del Nord, suo primo romanzo uscito da Theoria nel 1991, poi è lo spirito che lo anima nel magnifico reportage narrativo, Vite di Riserva, esempio magistrale di non-fiction, uscito prima da Theoria nel 1993, e poi nel 2006 da Fandango corredato dai Ricordi di viaggio, le foto di sua moglie Marina Guida: reportage che è ricognizione a occhio nudo e piena di partecipazione nell’agonia dei Nativi americani tra le riserve concesse loro dai visi pallidi, i nuovi americani – quei Nativi che in Canada sono cerimoniosamente chiamati Nations, o, peggio, Aboriginals, ma nulla diminuisce la loro marginalizzazione.
L’attenzione sinceramente umana e lo sguardo puro che Sandro Onofri dedica alla scuola come alla società denotano profonda compenetrazione e modellano la scrittura: ogni suo libro ne è un esempio.
Specie uno può costituire campione esemplare di come guardare con occhio attento muova non solo a una resa spassionata e autentica della realtà sotto osservazione ma smuova anche una serie di lacci connessioni corrispondenze producendo uno stile di reportage che corre sempre lungo il filo, certo, della testimonianza, ma anche della tessitura letteraria, senza tradire di una virgola la fiera intenzione di non estetizzare il vero, di cogliere nel caos del reale l’autentico, di comprendere a fondo l’esistente, e senza dare cittadinanza a ciò che è vile ma salvaguardando riscatto e risarcimento mentre ci si tiene sul filo, appunto, del reportage letterario.
Le magnifiche sorti (Baldini e Castoldi 1997) è il compendio forse più attendibile e compiuto di quest’idea di letteratura covata da Sandro Onofri – la letteratura non come finzione ma come versione veritiera di eventi proprio nella sua capacità di rischiarare il senso dei fatti reali alla luce del patrimonio letterario prodotto dall’umanità nel tempo per sollevarsi dalla sua sola, fiera natura fisica. Un libro tra cronaca e documento, tessuto quasi con metodo storiografico tra documenti e testimonianze, in cui, fuori cattedra, Sandro Onofri fornisce forse il suo più alto magistero. Come? Intessendo questo sorta di metaviaggio, chissà, magari con la mente rivolta a Furore di John Steinbeck.
Lì il grande scrittore americano ci racconta la leggenda di Tom Joad e della sua carovana, e intanto ci rende testimonianza della miseria e della biblica disperazione dei poveri che dal desolato e ostile Oklahoma si avviano verso Ovest, frontiera di speranza, in una dimensione di lotta titanica e di sfida lanciata al destino in cui l’uomo è Golia e Davide nello stesso momento. È un inseguimento di simboli e archetipi rintracciati dentro la materia polverosa e ventosa della lotta quotidiana con la spasmodica volontà di sollevare la testa.
Dove Steinbeck si erge statuario tra mito ed epos, Sandro Onofri, nel meno aspro Le magnifiche sorti, indulge in un pizzico in più di distacco ironico, di smagata resa, probabilmente più vicino, nello spirito, al Mario Soldati di Viaggio in Italia. Rintraccia, in realtà, Sandro Onofri, una più nitida corrispondenza epica con Furore di Steinbeck proprio in Vite di Riserva –
“E gli occhi dei poveri riflettono, con la tristezza della sconfitta, un crescente furore. Nei cuori degli umili maturano i frutti del furore e s’avvicina l’epoca della vendemmia”, John Steinbeck, Furore, 1939;
“Il mio viaggio tra gli indiani d’America è un viaggio tra i rantoli di una cultura che muore. Ho visto come muore l’antico. Ma ho anche visto che l’agonia non è un lamentoso piagnisteo, mai. È al contrario un ringhio che non cede, una forza nonostante tutto. Le esistenze narrate in questo libro sono vite di riserva, ma sono anche riserve di vita, un monito, un urlo rabbioso, e rabbiosamente felice”, Sandro Onofri, Vite di Riserva, 1993.