Every beat of my life
Viaggi verso l’Origine con Omar Galliani
La rubrica di Roberto Mussapi torna con una sua poesia dedicata all’amico artista, alla vigilia della chiusura della mostra che gli è stata dedicata a Palazzo Reale di Milano. Una “condivisione di sguardi”, nella ricerca e negli approdi…
Ritorno alla mia rubrica, dopo la pausa estiva, e lo faccio in un’occasione precisa: domani, domenica 24 settembre, si chiude la mostra di Omar Galliani, Diacronica – Il tempo sospeso, che ha messo in scena al Palazzo Reale di Milano un’antologica di un artista, pittore, supremo disegnatore, le visioni di un autore che molti sanno assolutamente importante e io sento anche affine (la mostra è stata curata da Flavio Caroli e Vera Agosti, promossa dal Comune di Milano-Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dall’Archivio Omar Galliani, ndr). Intendo “Affinità elettive”.
Chi ha avuto la fortuna e l’onore di visitare l’esposizione curata benissimo nel lavoro sulla luce (cosa non comune), ha visto il cosmo di Galliani che ha dimensioni assolute: il profondo, il mondo sotto la superficie, il cielo, il mondo in alto, e il viaggio nello spazio, che in Galliani è un percorso verso Oriente, l’Origine: non lontana, ma necessaria perché presente. Invisibile se un artista non svela, con i prodigi della matita. Per Galliani il mondo di sotto è visionariamente geologico, la misteriosa realtà tellurica. Che io poeta vivo, similmente, ma non solo in modo geologico, anche scavo paleoantropologico:Stones and bones, per dirla come i paleoantropologi, massime Yves Coppens, pietre e ossa, opere fatte all’uomo e sue ossa, il misterioso e magico connubio tra la nostra presenza e quella delle creature perduranti da noi scolpite e fatte pietra scritta.
Galliani oltre al mondo di sotto si ispira a quello in alto, il cielo, di cui è disegnatore e pittore astronomo e astrologo. Per me il cielo è meno leggibile rispetto a quello dell’amico artista: è più fanciullescamente magico. Lui decifra il cosmo, di notte, io guardo la luna e seguo la sua luce. Il resto, le stelle, mi accompagnano e indicano strade sconosciute e meravigliose. Ma è la luna, per me, a illuminare la mia coscienza poetica. E le stelle sono la strada ancora ispirante e ignota.
Più volte Omar mi ha invitato a condividere un suo viaggio, sempre verso Oriente. Chiedendomi poesia che accompagnasse alcuni dei suoi cicli pittorici. È stato entusiasmante: non vedevo, come è abbastanza ovvio, ciò che stava facendo, lo immaginavo. Non sapeva, come è abbastanza ovvio, i versi che stavo creando. Poi tutto combaciava. A voi una delle poesie per i viaggi di Omar Galliani.
Dal diario del mercante bengalese
A Omar Galliani
Vi furono viaggi in cui mi persi.
Non dico la strada, la pista nel deserto,
il punto tra le frasche dove guadare il fiume,
la zona di terra dura sotto le sabbie mobili:
quelli furono incidenti di percorso,
pericoli tremendi ma inebrianti,
inclusi dall’inizio nel senso del viaggio.
No, parlo di quando mi persi percorrendo la pista
o la rotta tracciata sulla mappa,
di colpo immobile per un narcotico esterno
mentre la barca o il cavallo proseguivano.
Una nube d’inesistenza si diffondeva lentamente
inesorabilmente crescendo, fino a smarrirmi.
Vi furono viaggi in cui mi persi,
dimenticando il mio nome, la meta del viaggio
e da dove ero partito, e per che cosa.
Ma ho trovato l’antidoto a quegli assalti del nulla.
In un palazzo fastoso d’Occidente, un dipinto
e gli occhi di una donna mai visti così belli,
che si stavano come sciogliendo per il tempo,
velati dal passare dei secoli come lacrime.
Io piansi, di fiotto, per paura di perderli, perderli per sempre.
Quando tornai, cinque anni dopo, entrai affannato nel palazzo.
Corsi verso il salone del dipinto,
gli occhi della donna mi sorridevano,
non erano azzurri ma di un grigio trasparente,
non come quando li avevo veduti la prima volta,
ma più intensamente ancora, ne sono certo,
intensamente come all’origine,
quando le loro ciglia mi stavano aspettando.
Pregai i miei dei per la mano che aveva dipinto
e forse modificato la mia prima visione,
in obbedienza come l’autore alla visione d’origine.
Non c’era lotta tra i due, il maestro e il vivente,
ma la condivisione di quello sguardo.
Ora non posso più perdermi in viaggio.
Ho conosciuto la lenta erosione che imprime il tempo
e l’improvvisa rinascita al servizio del tempo.
Non una rivelazione, ma il sospetto
che esista solo una resurrezione incessante.
Roberto Mussapi
Da La piuma del Simorgh, Mondadori, 2017.
Nell’immagine: Omar Galliani, De rerum natura, 2020 © Omar Galliani