I deliri del bibliofilo
Storia editoriale dell’Ubu Roi
Anche se per alcuni «Jarry non è il padre di “Ubu Roi”, opera collettiva scritta dagli studenti del liceo di Rennes che volevano prendere in giro il loro professore di fisica», resta il fatto che grazie a lui, “profeta” del surrealismo, la commedia ha fatto il giro del mondo diventando celeberrima
Lo scorso 8 settembre si è festeggiato, da parte degli adepti del Collegio di ’Patafisica (scritto proprio così, con l’apostrofo prima di una consonante), il 150° anniversario della nascita di Alfred Jarry. Cogliamo a pretesto l’occasione per parlare della prima edizione dell’Ubu Roi, stampata nel 1896 presso il Mercure de France. Si tratta di una brochurein-16°, di 172 pagine, con la copertina riproducente una xilografia di Jarry che raffigura il protagonista del dramma farsesco, con testone allungato a forma di pera sul quale spiccano due baffoni pronunciati, alla tartara, e un enorme ventre spiraliforme chiamato gidouille. All’interno del volume figurano due illustrazioni di mano dello stesso autore. La pièce è dedicata a Marcel Schwob, autore delle Vies imaginaires. Per la verità il sottotitolo è quanto mai eloquente riguardo alla presunta rielaborazione che Jarry farà della versione rappresentata nel 1888 dai piccoli goliardi di Rennes: «Dramma in cinque Atti in prosa restituito nella sua integrità quale è stato rappresentato dalle marionette del Teatro delle Phynanze nel 1888».
Il personaggio di Ubu ebbe così vasta eco che lo scrittore intraprese un ciclo di opere dedicate a quella sorta di burattino ridicolo e, al tempo stesso, sfrontato: Ubu cornuto, Ubu incatenato, Ubu sulla collina, oltre ai due splendidi almanacchi ispirati alla sua figura. Jarry si immedesimerà a tal punto con Ubu che comincerà ad assumere i suoi stessi atteggiamenti, a parlare il suo stesso linguaggio cifrato e sboccato, arcaico e gergale, teso a deformare alcuni vocaboli mirati con una sillabazione artefatta. È interessante al proposito riportare una testimonianza di André Gide tratta dai Feuillets d’automne: «Questo coboldo, dalla faccia intonacata, conciato come un pagliaccio da circo, creato da lui stesso, decisamente artificioso e al di fuori del quale non si manifestava in lui più niente di umano, esercitava a quei tempi sul “Mercure” una specie di fascino singolare. Tutti o quasi tutti, intorno a lui, si sforzavano, con più o meno successo, d’imitare e di adottare il suo estro, e soprattutto la sua elocuzione bizzarra, implacabile, senza inflessioni né sfumature, con uguale accentuazione di tutte le sillabe, comprese quelle mute. Se uno schiaccianoci avesse potuto parlare, non avrebbe parlato che così».
Nel 1897 esce, sempre per i tipi del Mercure de France, l’edizione autografa riproducente il fac-simile del manoscritto e le musiche di scena di Claude Terrasse realizzate per pianoforte, cui seguirà l’anno successivo la pubblicazione degli spartiti del musicista: Ouverture d’Ubu Roi, La chanson du décervelage e Marche des Polonais. Le copertine riproducono le litografie di Jarry ispirate a Ubu. Nel 1900 il dramma fu ristampato nelle Éditions de la Revue Blanche, seguito dai cinque atti di Ubu enchaîné.
La prima rappresentazione dell’Ubu Roi, tenuta al Théâtre de l’Œuvre con la regia di Lugné-Poe, ebbe un’accoglienza contrastante: fischi e applausi, urla e invettive, lanci di fiori e scazzottate. Molti spettatori lasciarono indignati la sala. Il critico Henry Bauer che, in un articolo precedente, aveva elogiato l’opera, coltivava in un angolo propositi di annientamento. Il 17 dicembre dello stesso anno un giovane tenente d’artiglieria a Douai, Charles Morin, scrive allo stesso Bauer una lettera in cui dichiara di essere il vero autore della commedia, ma la missiva non viene neanche presa in considerazione. Charles Chassé nel suo volumetto intitolato Les sources d’Ubu Roi. Sous le masque d’Alfred Jarry (Floury, 1921) sosteneva che bisognerebbe attribuire ai fratelli Charles e Henri Morin l’effettiva paternità di Ubu, in quanto Jarry si sarebbe limitato a cambiare i nomi dei personaggi e qualche particolare lessicale ininfluente ai fini dell’opera.
La paternità della commedia è stata molto dibattuta in sede critica. Purtroppo la stesura allestita dai fratelli Morin con la collaborazione degli altri studenti del liceo di Rennes è andata perduta. Riportiamo ciò che ha scritto Dan Franck, sintetizzando un po’ schematicamente la questione: «Ma il dramma di Jarry sta nel fatto che la sua reputazione si fonda su un’impostura: Jarry non è il padre di Ubu. Non lo è mai stato. La commedia che lo ha reso tanto famoso non è sua. Jarry è un autore, un grande autore, come testimoniano i suoi libri: ma Ubu Roi è un’opera collettiva alla quale lui non ha quasi partecipato. È stata scritta dagli studenti del liceo di Rennes che volevano prendere in giro il loro professore di fisica, il père Hébert, un uomo del tutto privo di autorità. Quando Jarry arriva al liceo, a sedici anni, la tragedia esiste già, si intitola Les Polonais e ne sono autori i fratelli Morin. Jarry è l’autore del nuovo titolo e del nome del personaggio, che viene senza dubbio da una contrazione di Hébert-Hébée o Eb, per gli studenti. Hébée, Ubu. È Jarry, senza dubbio, che ha aggiunto le scene antimilitariste. Ma né la Candela Verde né Cornegidouille sono opera sua. Ancora meno il famoso “Merdre!” con cui si apre la prima scena. Charles Morin ha raccontato: “Eravamo ragazzini, e naturalmente i nostri genitori non volevano che usassimo quella parola; allora abbiamo pensato di aggiungere una r: ecco tutto!”. Resta il fatto che se Ubu ha fatto il giro del mondo lo deve a Jarry. È lui infatti che lo ha messo in scena. Prima al liceo di Rennes, dove recitavano gli studenti. Poi in veri teatri. Anche con le marionette».
Jarry rappresenterà infatti la sua pièce al Théâtre des Pantins con delle marionette costruite e dipinte dall’amico Pierre Bonnard e una scenografia di Toulouse-Lautrec. L’autore era forse memore degli spettacolini allestiti con i compagni a casa sua o nei granai, oltre a quello andato in scena in un vero teatro di marionette nel dicembre del 1888 con il titolo Les Polonais. In una di quelle occasioni la sorella Charlotte scolpì in creta una splendida marionetta che rappresentava il Père Ubu. Manco a dirlo chi presta la voce di Ubu non può che essere il suo alter ego Jarry, sempre più immedesimato nella figura di quel personaggio grottesco e irriverente che, come tutta l’opera jarryana, sembra preludere al surrealismo partendo da posizioni tipicamente simboliste. Non è un caso che Antonin Artaud, con la collaborazione di Roger Vitrac e Robert Aron, fondasse nel 1926 il Théâtre Alfred Jarry che si proponeva di rinnovare la scena teatrale sulla falsariga dell’opera iconoclasta del suo degno predecessore.