I deliri del bibliofilo
L’antico amore di Brodskij per Venezia
Sulla città lagunare, il poeta russo fantasticava già da ragazzo. Gli dedicò “Fondamenta degli Incurabili”. Vi si legge: «non verrei mai qui d’estate, neanche sotto la minaccia di una pistola… mi danno ai nervi le mandrie in pantaloncini, la loro mobilità stride con la stasi del marmo»
Il titolo Fondamenta degli Incurabili deriva dall’Ospedale degli Incurabili il cui edificio sorge alle Zattere, anche se si è trasformato in sede dell’Accademia delle Belle Arti, dopo essere stato per lunghi anni caserma e poi riformatorio. Fondato da San Gaetano di Thiene nel 1522 con il fine di accogliere malati contagiosi e affetti da sifilide, aveva avuto tra gli infermieri volontari San Francesco Saverio e Sant’Ignazio di Loyola. Nel secolo successivo divenne una delle scuole musicali per pute di cui Vivaldi sarebbe stato nel Settecento l’indiscusso artefice, insegnando soprattutto nella Chiesa della Pietà. Presso la schola cantorum degli Incurabili operarono maestri sopraffini come Nicolò Porpora e Baldassarre Galuppi che fu l’ultimo direttore musicale. L’attigua chiesa che sorgeva in mezzo al cortile non esiste più, in quanto è stata demolita tra aprile e maggio del 1831.
L’edizione originale di Fondamenta degli Incurabili uscì nel 1989, nella traduzione di Gilberto Forti, commissionata a Iosif Brodskij dal Consorzio Venezia Nuova che la distribuì in omaggio quale strenna natalizia. Figurava come titolo inaugurale della collana fuori commercio dello stesso consorzio che comprende ventitré titoli, tutti di ambientazione veneziana. Tra questi si annoverano testi di André Chastel e Giuseppe Sinopoli, Harold Brodkey e Acheng, Predrag Matvejevic e Paolo Barbaro, Vittorio Gregotti e Sergio Bettini. Uno dei più importanti, Il levriero di Tiepolo di Derek Walcott, che fu caro amico di Brodskij, uscì nel 2004; l’ultimo titolo, pubblicato nel 2011, era Storie di cinema a Venezia di Irene Bignardi.
Il Consorzio Venezia Nuova, impegnato nell’opera di salvaguardia della città lagunare e nella costruzione pluridecennale del Mose, intendeva così conciliare cultura umanistica e scientifica, sotto l’egida del prezioso patrimonio ereditato dalla patria del Manuzio, affidando ad autori di fama internazionale una serie di strenne che affrontavano il tema veneziano da prospettive variegate: dalla letteratura all’arte figurativa, dall’architettura al cinema, dalla memorialistica al saggio di taglio erudito. Il libro di Brodskij, in-8°, comprendente 88 pagine, presenta una copertina verde scuro con il nome di autore ed editore stampati in nero mentre il titolo e il logo del consorzio, riproducente un ferro da gondola stilizzato, figurano in rosso.
Il libretto venne ristampato nel 1991 da Adelphi nella collana «Piccola Biblioteca», con alcuni rimaneggiamenti e l’aggiunta di un paio di capitoletti. Se non era afflitto da problemi di salute Brodskij si recava a Venezia ogni anno, durante le vacanze natalizie. Scaricava le sue valigie davanti alla hall di qualche albergo o all’entrata del palazzo di proprietà di un amico. Le valigie erano piene di libri e contenevano le due macchine per scrivere: quella con i caratteri cirillici per la poesia e quella con i caratteri latini per la prosa. Venezia gli ricordava la sua Pietroburgo, chiamata familiarmente Piter dagli abitanti, dove non aveva più l’opportunità di ritornare, essendo stato espulso dalle autorità sovietiche dopo un processo intentato per “parassitismo sociale”.
A Pietroburgo aveva avuto, quand’era ragazzo, la possibilità di avere a disposizione qualche immagine di Venezia ed era rimasto affascinato dalla lettura dei romanzi, qui ambientati, di Henri de Régnier, la cui figura, secondo Morand, ricordava un «pioppo spogliato dall’autunno». Si era ritrovato a fantasticare intorno alla città lagunare e si era ripromesso, se mai ne avesse avuto occasione, di visitarla. «E giurai a me stesso che se mai fossi riuscito a tirarmi fuori dal mio impero, per prima cosa sarei venuto a Venezia, avrei affittato una camera al pianterreno di un palazzo, in modo che le onde sollevate dagli scafi di passaggio venissero a sbattere contro la mia finestra, avrei scritto un paio di elegie spegnendo le sigarette sui mattoni umidi del pavimento, avrei tossito e bevuto; e quando mi fossi trovato a corto di soldi, invece di prendere un treno mi sarei comprato una piccola Browning di seconda mano e, non potendo morire a Venezia per cause naturali, mi sarei fatto saltare le cervella» scrive in Fondamenta degli Incurabili.
La prospettiva di stabilirsi a Venezia durante l’estate era rigorosamente bandita, a causa del turismo di massa, degli afrori, dell’insopportabile promiscuità: «Comunque sia, non verrei mai qui d’estate, neanche sotto la minaccia di una pistola. Sopporto poco il caldo, e ancor meno le violente emissioni di idrocarburi e ascelle. E poi mi danno ai nervi le mandrie in pantaloncini, specialmente quelle che nitriscono in tedesco: per l’inferiorità della loro anatomia rispetto a quella delle colonne, delle lesene, delle statue; perché la loro mobilità e tutto ciò che essa esprime stride troppo con la stasi del marmo». Oltre a Fondamenta degli Incurabili si ritrovano descrizioni di Venezia in diverse poesie di Brodskij. Uno dei suoi luoghi prediletti era San Pietro di Castello dove ambientò i versi di San Pietro. Qui sorge, sull’isola anticamente chiamata Olivolo, la Basilica di San Pietro Apostolo che fu prima sede del Vescovado e sede del Patriarcato di Venezia fino al 1807, quando il titolo passò a San Marco che fino ad allora fungeva da Cappella particolare del Doge. All’interno della Basilica si trova la cathedra Petri, antico trono in pietra che, secondo la leggenda, fu adoperato da San Pietro durante la permanenza in Antiochia. Un’altra leggenda vuole che all’interno del trono sia nascosto nientemeno che il Sacro Graal.
Il campo dirimpetto alla Basilica è uno dei più incantevoli della città, essendo privo di masegni, la copertura in trachite dei Colli Euganei che caratterizza la pavimentazione di quasi tutta Venezia. Generalmente il numero di foresti è piuttosto limitato, a causa del fatto che San Pietro di Castello si trova al di fuori dei circuiti turistici ufficiali ed è un po’ scomodo da raggiungere. Nella San Pietro di Brodskij, suddivisa in tre parti come un trittico di Bartolomeo Vivarini o del Bellini, si legge: «l’aria incolore / si condensa un istante in piccione, in gabbiano, / ma si dissolve subito. Fuori dall’acqua, / barche, barconi, chiatte, gondole somigliano / a scarpe scompagnate, gettate sulla sabbia, / che scricchia sotto la suola. Ricorda: / in sostanza, ogni movimento è / spostamento del peso del corpo in altro luogo. / Ricorda che il passato non può iscriversi / senza residui nel ricordo, e che il futuro gli è necessario. Ricordati bene: / l’acqua, soltanto l’acqua, sempre e ovunque / resta fedele a sé stessa, insensibile / ad ogni metamorfosi, liscia, distesa / là dove non è più terraferma». Brodskij riposa a Venezia, nel cimitero di San Michele in Isola, in una tomba bianca, sempre fiorita.