I deliri del bibliofilo
Il fascista imperfetto
Il rapporto di Leo Longanesi col regime di Mussolini fu caratterizzato da una reciproca attrazione-repulsione. Dall’autoironica adesione nella sua opera d’esordio, oggi vera rarità antiquaria, all’abiura dopo l’8 settembre che lo spinse sulla sponda opposta
Non tutti sanno che uno degli slogan più fortunati del fascismo, «Mussolini ha sempre ragione», fu coniato da Leo Longanesi, singolare figura di scrittore, illustratore ed editore, celebre per le sue battute al fulmicotone che non risparmiavano neppure sé stesso che si definiva, a causa della bassa statura, «un carciofino sott’odio». Lo slogan apparve nel n. 3 del 16 febbraio 1926 della rivista “L’Italiano”, ideata e diretta dallo stesso Longanesi, e venne infine accolto, in forma leggermente ampliata, ovverossia con la mera aggiunta del patronimico («Benito Mussolini ha sempre ragione») nel suo libro d’esordio, Vade-mecum del perfetto fascista seguito da Dieci assiomi per il milite ovvero Avvisi ideali. Il volumetto, pubblicato dall’editore fiorentino Attilio Vallecchi nel 1926, presenta in copertina un fregio xilografico in bianco e nero dello stesso Longanesi che esprime in maniera fin troppo scoperta le sue simpatie politiche, in quanto riproduce un coltellaccio da ardito, con relativo rosario che pende dall’impugnatura, contrapposto a un bicchiere di vino, sotto il titolo che campeggia in stampatello con inchiostro rosso.
È l’unico libro, nonostante l’indubbia ascendenza longanesiana, in cui l’autore di Bagnacavallo non sia anche editore di sé stesso. Si pensi alla parentesi della casa editrice “L’Italiano”, nata da una costola della rivista eponima, inaugurata nel 1927 da Pane bigio di Telesio Interlandi, che in seguito scriverà il libello antisemita Contra judaeos(Tumminelli, 1938) e sarà direttore del famigerato periodico “La difesa della razza”, e proseguita con titoli di Riccardo Bacchelli, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Raimondi, Antonio Baldini, spesso con illustrazioni di un artista d’eccezione come Giorgio Morandi e un’impostazione grafica spigliata ed elegante che prevedeva il recupero dei caratteri tipografici Bodoni e Aldini. Longanesi sfrutterà in seguito tale esperienza con la fondazione della casa editrice che porta il suo nome, corredando le novità librarie con l’inserimento dei ricercatissimi “santini”, anticipazioni editoriali in cui figurava il contenuto del testo abbinato a un suo disegno.
Il libro in brossura, con formato in-16°, comprendente 64 pagine, di cui sei contenenti annunci editoriali vallecchiani, è piuttosto difficile da trovare sul mercato antiquario, con quotazioni che superano i 1000 euro. Per molti anni si dubitò dell’esistenza del volume, come ricorda Giampiero Mughini: «Nel catalogo Vallecchi del 1935 era indicato a pagina 182, nel catalogo del 1952, alla lista “autori”, non c’era proprio. Era divenuto un libro fantasma. E siccome in certe bibliografie quel libro compariva e in altre no, c’è stato un periodo in cui persino gli studiosi e gli appassionati di Longanesi dubitavano che quel libro esistesse veramente». Aggiunge Mughini: «È un libro spassosissimo, un Longanesi a cento carati […]. È come se Longanesi sfottesse sé stesso nella sua veste di aedo del mussolinismo. Le spara talmente grosse che lui stesso ha l’aria di non crederci fino in fondo, o comunque di essere pronto a farci una risata sopra».
Il libro, messo in vendita al prezzo di lire 2,50, divenne difficile da reperire in seguito all’iniziativa di Vallecchi che, dopo la débâcle di Mussolini, distrusse sistematicamente la tiratura restante (soltanto pochi esemplari erano andati venduti), a causa dello smaccato panegirico del fascismo operato da Longanesi, nonché della compromissione dello stesso editore con la linea culturale adottata dal regime. D’altro canto le poche copie circolanti sul versante antiquario contengono quasi sempre una dedica autografa dell’autore, a volte accompagnata da una caricatura nell’ultima pagina bianca, segno che i rari esemplari a tutt’oggi superstiti erano stati originariamente inviati in omaggio a una ristretta cerchia di amici e addetti ai lavori.
Il volumetto, dedicato a un lungo elenco di «perfetti fascisti» tra cui Italo Balbo, Gherardo Casini, Mino Maccari, Curzio Suckert (vero nome di Curzio Malaparte), contiene una serie di precetti sul comportamento da seguire, una sorta di decalogo del perfetto fascista dallo stile lapidario e aforistico, venati dall’immancabile miscela di veleno e ironia: «Quando un filosofo ti dice: “Io ho scoperto la verità”, rispondigli: “Io non ne ho colpa!”». E ancora: «La democrazia è una scusa per fondare giornali». Nella loro biografia, Montanelli e Staglieno ricordano che quella di Longanesi «era una battaglia rivolta soprattutto al “costume”, nella convinzione che si doveva prima cambiare quello per modificare davvero, nel profondo, l’Italia». Ma, in effetti, il comportamento di Longanesi, al di là dell’indubbia effervescenza delle sue boutades, non brilla certo per rigore e coerenza. Schiaffeggia pubblicamente Toscanini che si rifiuta a un concerto bolognese del 1931 di dirigere Giovinezza inventando al contempo irridenti battute contro il duce. Arriverà il 25 luglio del 1943, giorno in cui il Gran Consiglio del Fascismo sfiducia Mussolini, a inneggiare senza pudore alla libertà dalle pagine del “Messaggero” in compagnia di Pannunzio, Flaiano e Debenedetti. Non è un caso che Comisso, che pur gli era amico, lo definisse «piccolo nano di corte», memore forse che i «due nani di Strapaese», Longanesi e Maccari, redassero nel 1928 L’Almanacco di Strapaese.
Il rapporto di Longanesi con il fascismo fu d’altronde sempre controverso, cadenzato da una sorta di reciproca attrazione e repulsione che lo spinse infine, dopo l’8 settembre, a passare sulla sponda opposta, come ricorda Felice Chilanti: «Lo sconosciuto che […] seguitava, metodico, a porgere bombe a cento mani protese, era […] lo stesso che aveva coniato il motto trascritto sui muri di tutti i quartieri e villaggi italiani: “Mussolini ha sempre ragione”».