I deliri del bibliofilo
Vita da capra
“Casa d’altri” di Silvio D’Arzo, considerato uno dei capolavori del '900, fu rifiutato da editori come Einaudi, Bompiani, Vallecchi. Redatto nel 1947 e pubblicato più volte rielaborato su riviste, uscì postumo in volume nel 1953 per Sansoni
Definito da Eugenio Montale «un racconto perfetto», Casa d’altri ebbe una travagliata vicenda editoriale. Il suo autore, Ezio Comparoni, nato a Reggio Emilia nel 1920 da padre ignoto, adoperò vari pseudonimi per firmare i suoi scritti, il più celebre dei quali è Silvio D’Arzo. Lo scrittore lavorò assiduamente intorno a questo testo, allestendone diverse stesure, tese a descrivere, in maniera asciutta ed essenziale, le vicissitudini di Zelinda e del prete che dovrebbe dissuaderla dai suoi propositi di suicidio, manifestati dopo la scomparsa del figlio. Si crea così un singolare rapporto di attrazione e repulsione nei confronti di quella vecchia e della sua «vita da capra» da parte del sacerdote. Il racconto, la cui redazione originale risale all’estate 1947, fu rielaborato a più riprese negli anni successivi e apparve, in forma ridotta, con il titolo Io prete e la vecchia Zelinda nel n. 29-30 del luglio 1948 dell’“Illustrazione Italiana”; venne successivamente accolto, in versione integrale, nel n. X della rivista “Botteghe Oscure”, uscita nell’ottobre 1952, qualche mese dopo la morte dell’autore, avvenuta il 30 gennaio dello stesso anno a causa di una leucemia.
Considerato uno dei capolavori del nostro Novecento, fu rifiutato da alcuni degli editori più importanti dell’epoca (Einaudi, Bompiani, Vallecchi), con motivazioni a dir poco sconcertanti, come quella inviata dalla redazione einaudiana al narratore: «è un’esile novella, di gracile respiro, di vitalità molto tenue». Lo stesso Enrico Vallecchi, che aveva pubblicato nel 1942 il romanzo All’insegna del Buon Corsiero, non se la sentì di ricavarne un libro che sarebbe andato «incontro alla indifferenza del pubblico, ed all’insuccesso». Giudizi miopi e paradossali, tesi a svilire un’opera adamantina, senza sbavature, dove i personaggi si muovono in un ambiente arido, ostile, in un paesaggio rarefatto e sospeso, dominato da un cielo che pesa come una metafisica cappa d’inquietudine. E davvero l’esemplarità dei personaggi di Casa d’altri, a distanza di oltre mezzo secolo dalla stesura del racconto, si incide nella memoria con la stessa icastica asciuttezza di certe indimenticabili figure fenogliane che con il passare del tempo acquisiscono una pregnanza dai contorni sempre più tangibili e concreti.
Nonostante la sollecitudine dimostrata da Emilio Cecchi nel considerare il racconto con «un tono, una serietà, una delicata asperità, che vanno benissimo» e la pervicacia con la quale il medesimo autore lo propose per la pubblicazione, Casa d’altri uscì postumo in volume soltanto nel 1953, per i tipi di Sansoni, sesto titolo della collana “Biblioteca di Paragone”, inaugurata dalla raccolta di versi La capanna indiana di Attilio Bertolucci. Lo stesso Bertolucci, amico e corrispondente dello scrittore reggiano, nonché redattore di “Paragone”, ne aveva caldeggiato la pubblicazione nella collana che faceva capo alla rivista fiorentina, che annoverò D’Arzo tra i suoi collaboratori. Il titolo precedente della collana era La passeggiata prima di cena di Giorgio Bassani, con un’illustrazione in copertina di Mino Maccari.
In sovraccoperta, su uno sfondo di un blu intenso, campeggia una splendida linoleografia, sempre di Maccari, ispirata alla vecchia Zelinda e alla sua capra. Il libro, recante il sottotitolo Racconto lungo, si può considerare, per la sua elegante e sobria impostazione grafica, uno dei risultati editoriali più affascinanti e singolari del secondo dopoguerra italiano, nonostante non sia difficile reperirlo sul mercato del modernariato, con cifre che si aggirano tra i 100 e i 250 euro. In un catalogo della Libreria Antiquaria Pontremoli di Milano, dedicato alla biblioteca dello scrittore Sergio Pautasso, scomparso nel 2006, figura di spicco dell’editoria italiana, è stato messo in vendita un esemplare dell’edizione originale che conserva una prova di copertina, non firmata, di Maccari: si tratta, molto probabilmente, di un tentativo scartato che tuttavia non raggiunge, a parte qualche indubbia affinità, l’intensità e la pregnanza di una delle copertine più belle di tutto il Novecento.
Il volumetto, una brossura in-8° che consta di 92 pagine, accoglie in apertura un toccante Ricordo di Silvio D’Arzo di Giannino Degani, in cui si legge: «Non ho mai provato, insieme a qualsiasi altro l’impressione di un’intelligenza così profonda come la sua. Ma la parola “profonda” non è esatta, perché significherebbe soltanto che la sua era una intelligenza maggiore di quella degli altri. No, la sua era una intelligenza di un altro “ordine”». Nello studio Silvio D’Arzo. Casa d’altri. Tre redazioni, curato da Ivan Tassi per Diabasis nel 2010, si evidenzia come la versione del racconto accolta nell’antologia Nostro lunedì, curata da Rodolfo Macchioni Jodi per Vallecchi nel 1960, non fosse attendibile sul versante filologico. Questa versione infatti è un incrocio tra l’edizione di “Botteghe Oscure”, poi confluita nella lezione di Sansoni e le varianti arbitrariamente ricavate da due dattiloscritti, conservati nel Fondo Degani della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Il problema è che tale testo confluì nella successiva antologia Casa d’altri e altri racconti (Einaudi, 1980) e, con minime correzioni, nel volume eponimo del 1999, edito dalla stessa casa editrice torinese. La monumentale edizione delle Opere, a cura di Stefano Costanzi, Emanuela Orlandini e Alberto Sebastiani, pubblicata da Mup nel 2003, ripristina la versione originale, anticipata dallo stesso Costanzi per Aragno l’anno precedente, arricchita da un’attendibile cronistoria delle varianti conosciute.