L'intellettuale scomparso
Lamento per Francesco
In memoria di Francesco Coniglio, editore, esperto di musica rock e di fumetti. Ritratto di un uomo speciale che seguiva le sue vocazioni e che ha fatto conoscere al nostro Paese l'importanza delle culture autenticamente "popolari"
Detto queste righe all’iPad. Ho appena saputo che Francesco Coniglio se n’è andato. Le detto perché non ho la forza di scriverle e sono straziato dal dolore che questa notizia provoca in me. Francesco è stato tra le poche persone fondamentali della mia vita di scrittore (che è anche una vita a sé) e questa consapevolezza pesa ancor di più sul mio animo se penso che i medesimi sentimenti scuri saranno avvertiti da molti e molti amici che, al pari mio, la sua assenza non riescono a sopportarla. Non ho alcun desiderio di pubblicare su Francesco delle note biografiche che attestino la sua immensa importanza nei campi della musica, del fumetto, dell’editoria e delle arti popolari. Allo stesso tempo il mio animo, per quel che è il suo stato, si rifiuta di concepire pensieri consolanti, come quello che si è soliti pronunciare quando ci lascia qualcuno che, nel corso della vita, ho sempre definito come un sublime Indefinibile. Né riesco a fare mio un commento come “ha smesso di soffrire“.
Francesco non doveva soffrire e non doveva morire, come si vorrebbe da chi è stato, senza deflettere un solo secondo dai suoi principi inderogabili, un uomo libero. Un uomo libero da tutto e da tutti, uno che si era situato al di sopra del sistema culturale, per come esso è organizzato e subito in questo paese. Francesco Coniglio era estraneo a qualsiasi relazione che mettesse al minimo rischio le sue passioni, sue emozioni e la sua libertà. Egli nemmeno era in grado di concepire la possibilità che cinque minuti della sua vita finissero per mescolarsi con ciò che profondamente e pacificamente disprezzava: lo show.
Mi coglie addirittura l’imbarazzo soltanto nell’immaginare una persona tanto decisa e forte all’atto di contaminarsi con le politiche culturali, o di partecipare a quei siparietti penosi e sconclusionati in cui certi intellettuali vengano costretti a compromettersi accanto piccoli e transitori personaggi della attualità italiana. In decenni non ho mai ascoltato dalla sua voce un commento sulla politica, sul basso costume, sullo spettacolo da circo. Né mai insieme ci è accaduto di accennare a episodi sgraziati e volgari che la televisione o la rete avevano riportato quali eventi di costume. In cuor suo perdonava quel conoscente o quell’amico a cui voleva bene, che proprio non riusciva a sottrarsi dalla corte dei miracoli a cui partecipava senza che un minimo pudore lo aiutasse a chiamarsene fuori.
La bellezza compiuta di Francesco Coniglio stava anche nell’esimersi da ogni polemica che, in un modo nell’altro, lo avrebbe trasferito in un mondo non suo. Già, perché egli sapeva di rappresentare una eccezione permanente, a cui molte persone serie facevano riferimento. Attorno a lui si era ritrovata una congrega di soggetti smarriti che qualsiasi imbecille avrà definito in cuor suo “anime belle“.
Al ritorno dalla Norvegia Francesco subito mi propose di scrivere per lui. Dopo quattro anni di lontananza dall’Italia, ero abbastanza smarrito e non sapevo da che parte ricominciare. Francesco fu il primo a riaccogliermi, non solo con un abbraccio ma anche con l’invito a pubblicare per lui qualsiasi cosa volessi. Riprendo tra le mani il libriccino dell’ottobre 2005 intitolato Critica della ragion pubica, e mi colpisce molto l’esergo di Louis Aragon, perché forse Francesco l’aveva dedicato tante volte alla sua vita stessa, ai suoi affetti e alla sua persona.
Ti dirò un gran segreto
Chiudi le porte
È più facile morire che amare
Per questo cerco di vivere
Amore mio
Francesco è stato pensato e amato dalle sue Donne con una dedizione e una sincerità bellissime… Penso a Laura, che lo ha seguito sempre, paziente e assidua, per aiutarlo a superare in questi ultimi anni le compulsioni che alla fine l’avevano sempre vinta su di lui. Laura è stata accanto a Francesco dal primo giorno del suo crollo sino a questo maledetto oggi, andando e venendo dall’ospedale come fosse un penultimo viaggio, ripetuto e voluto con tutte le sue forze. Penso a Susanna, che piange un uomo che certamente le ha regalato tanto e al quale molto ha dato.
È terribile perdere una persona che si è amata davvero.
Penso al fratello e alla sorella. Tra Diego e Francesco vi era una sorta di nascosta simbiosi, l’uno che giocava a sottolineare le piccole o grandi manie dell’altro. E viceversa, sempre dedicando un sorriso al fratello. Ciascuno a proteggere l’altro senza avvertirlo.
E poi penso a noi amici, a noi che dopo averlo conosciuto non abbiamo mai immaginato di perderlo. Ecco, Francesco era una persona imperdibile. Non ricordo una sola occasione in cui abbia rinunciato a un invito, a una cena, a un dialogo, a una proposta, a un progetto. Non ho mai rinunciato a nulla che portasse il suo titolo o la sua firma. E Francesco a sua volta, quando gli proponevo di vederci e di trascorrere qualche ora insieme, rispondeva di sì, ed era un bel sì convinto. Ci siamo continuamente tenuti aggiornati, abbiamo sempre parlato delle persone a noi comuni senza nemmeno quel pizzico di quell’amabile malizia che si sparge sul capo degli errori e dei difetti altrui. La sua risata, che partiva silenziosa e a poco a poco carburava come una macchina accesa a freddo, era tra i miei vanti più puri. Riguardo al cibo e a ciò che esso ha rappresentato tra i piaceri della sua vita, valgono da coincidenze la pubblicazione di Mangiare, poema tragico di Carlo Bordini, e la scrittura teatrale di Mi fa fame, monologo senza uscita di Giancarlo Cauteruccio. Ed è anche divertente il fatto che Giancarlo mi chiedesse con regolarità notizie sullo stato di salute di Francesco, il quale a sua volta mi domandava, con un pizzico di invidia, dei progressi di Giancarlo. Ho seguito per anni i tentativi volenterosi e perdenti di Francesco per uscire dalla sua testarda, in fondo dolce, ossessione… Gli ho consigliato tante vie di fuga e lui le ha intraprese con la convinzione di farcela. Ai suoi miglioramenti reagivo con una felicità profonda, come se quell’amico insuperabile non mi avrebbe lasciato mai solo. Una volta presi la macchina e andai a trovarlo in Trentino, dove lui si era ricoverato per risolvere una fase critica. E la stava risolvendo. Non dimenticherò mai quella sera trascorsa assieme in un piccolo ristorante di paese, a cenare in modo frugale e a concederci una piccola trasgressione culinaria, come fosse un segreto che rimanesse tra di noi. Ho continuamente sperato, al pari di tanti altri amici affettuosi, che Francesco infine avrebbe vinto. Poi mi sono domandato: ma vincere su che cosa? Sarebbe mai uscito Francesco della sua personale sibaritide? Ne sarebbe stato veramente appagato? Tutti sapevamo, in fondo, che la resistenza del suo organismo rappresentava di per sé un miracolo e un dono. Tutti sapevamo che alla fine il corpo si sarebbe arreso, anche se volevamo credere all’infinità dei prodigi e delle speranze umani. Mi ha scritto appena Ivelise Perniola. Aveva da poco incontrato Francesco nello studio di Irene Lemontzi, medico che per ultima lo aveva preso in cura (anche perché Ive, Francesco e io, tutti e tre avevamo piccole fatiche respiratorie). “Capisco benissimo la sensazione che provi e che io provo già da tanto tempo. Il mio maestro è morto nel 2004, Lino Micciché, e poi mio padre; per il resto penso che dopo di loro, quello che faccio non importa nessuno. Quindi mi dispiace veramente tanto.“ Un secondo dopo essersi congedato da Irene, Francesco era contento come un bambino a cui era stato detto cosa fare per respirare, per dormire e per vivere meglio. Dopo di che, l’ingorgo ha avuto luogo, perché molto del nostro destino rimane imprevedibile.
Negli ultimi mesi con Francesco ci siamo incontrati per due occasioni importanti: la prima si intitolava Coniglio è tornato, e celebrava la rinascita della sua casa editrice; la seconda, a Poggio Bustone, l’avevo organizzata per gli 80 anni di Lucio Battisti.
Quanto alla prima, vi giunsi senza sapere bene cosa dire, perché parlare di Francesco non era mai semplice. Era una figura enciclopedica, Francesco, era un’antologia. Per fortuna mi venne in mente una cosa che di lui pensavo da sempre senza accorgermene: che ne ammiravo infinitamente la capacità naturale di rispondere alle sue vocazioni. Perché non è neanche comune averne una, di vocazione; invece Francesco possedeva quella che racchiudeva ed esaltava le sue passioni vere e le sue emozioni. Se era diventato il massimo esperto di fumetto in Italia, se era riconosciuto come un musicologo importantissimo, se era stimato come un editore di straordinaria potenza evocativa, di fantasia e di genio, tutto questo era avvenuto perché Francesco Coniglio aveva risposto alla Vocazione della Memoria, di una Memoria che al momento di esprimersi diventasse la presenza inattuale delle personalità, delle opere e delle arti di quanti avevano illustrato il ‘900 italiano ed europeo. Ora desidero che Francesco Coniglio entri stabilmente in questo Pantheon memorabile, che vi acceda per primo e che tutti coloro che egli ha ricordato in vita e in morte lo salutino e lo seguano con riconoscenza e con amore. Per il resto, ora a me va solo di piangere. Per il resto, non ho altro da domandarmi. Tra poco sveglierò la mia piccola figlia, che si accorgerà della mia tristezza. Allora mi domanderà se Francesco c’è ancora, io le dirò di no e lei mi abbraccerai in silenzio.