Ida Meneghello
Il cinema de laMeneghello

Dalí senza cinema

Delude “Dalíland”, il film della regista canadese Mary Harron sugli ultimi anni di vita di Salvador Dalí. Sceneggiatura piatta, riprese prevedibili; si salva solo Ben Kingsley trasformato nel sosia dell'artista...

Lo confesso, dopo un poker di film bellissimi ma emotivamente impegnativi – As bestas, Plan 75, L’amore secondo Dalva e Rapito – avevo bisogno di una pellicola all’insegna della leggerezza. Sono stata accontentata, perché indubbiamente leggero è Dalíland, il biopic sugli ultimi anni di Salvador Dalí della regista canadese Mary Harron (firmò American Psycho cui seguirono altri film dimenticabili come Charlie says), protagonista Ben Kingsley trasformato per l’occasione nella copia conforme dell’artista spagnolo. Di spunti per fare un’operazione pirotecnica ce n’erano fin troppi: la New York eccessiva degli anni Settanta dove il grande pittore surrealista di Figueres sbarca in cerca della consacrazione a livello mondiale, la corte che si ammucchia nella sua suite al Ritz con costi da capogiro, ostriche, champagne e modelle di non difficili costumi, l’ultima musa Amanda Lear e il trucco cadaverico di Alice Cooper, la famelica moglie Gala, eternamente a caccia di giovani prede, che si innamora del protagonista di Jesus Christ Superstar Jeff Fenholt mentre lui la usa per farsi finanziare un disco. Insomma tutto il genio e la sregolatezza che contraddistinsero Dalí e i suoi celebri baffi, compreso il traffico di opere false con le firme autentiche dell’artista, orchestrato dal suo agente d’accordo con Gala.

Peccato che di pirotecnico, a parte i costumi e l’aderenza totale di Kingsley al personaggio, non ci sia niente. La sceneggiatura è piattamente prevedibile, l’attore scelto per impersonare il giovane James, l’assistente dell’artista che ne scopre tutte le fragilità, Christopher Briney, è monocorde a dir poco, il racconto procede scontato e senza guizzi mentre lo spettatore comincia a guardare l’orologio, il suo orologio, non quello celeberrimo di Dalí che si scioglie, “La persistenza della memoria”, l’opera surrealista per antonomasia che la regista sceglie di non mostrare mai, chissà perché. Tutti sanno che Dalí ebbe un rapporto fortissimo col cinema, fu cineasta lui stesso con il celebre corto Un chien andalou, regia di Luis Buñuel, scritto e interpretato da entrambi, e fu Dalì a dipingere le scene oniriche del celeberrimo Io ti salverò di Alfred Hitchcock. Ma di tutto questo in Dalìland non c’è il minimo cenno, la regista non scava per raccontare cosa succede nel profondo dell’anima di un genio al tramonto, l’abisso della vecchiaia è banalizzato su una sedia a rotelle. Il maestro del surrealismo avrebbe davvero meritato qualcosa di più.

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