Ceppo Poesia 2023 in tre parole /5
Urto Ascolto Custode
È Stefano Massari il secondo dei tre finalisti al Premio che verrà attributo il 7 maggio a Pistoia. «La parola della poesia – dichiara – mi ha dato l’irripetibile possibilità di imparare a credere in ciò che vivo – e che posso agire in un incessante dialogo dentro il quale testimoniare il mondo… »
È Stefano Massari l’autore di oggi che racchiude in tre parole-chiave il suo “centro di gravità” poetico. Con Macchine del diluvio (MC Edizioni ) è il secondo dei tre finalisti al Premio Internazionale Ceppo Poesia – presieduto e diretto da Paolo Fabrizio Iacuzzi – che il 7 maggio vengono votati dalla Giuria dei Giovani lettori. Come scrive Gabrio Vitali nella motivazione, il poeta vince «per la sua poesia enucleata e scolpita da una materia linguistica non ancora levigata dalla consuetudine, perché ancora non completamente estratta dal lungo silenzio che l’ha rigenerata». Info: www.iltempodelceppo.it. (L’assenza delle lettere maiuscole e lo stile della punteggiatura nel testo qui di seguito pubblicato, sono una scelta dell’autore. N.d.r.)
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Urto
scrivo tempo e mi accorgo di sentire dolore . scrivo anni e mi sembra di confluire in uno spazio . spazio che continua a crescere raccogliere e rielaborare tutto quello che vivo immagino e spero . tutto quel che ho difeso condiviso percorso perduto e ricominciato . so che sono fragile e che siamo fragili . so che la mia esperienza individuale è assolutamente trascurabile . eppure proprio in questa fragilità ogni giorno devo e voglio prendermi cura sia della mia unicità – che seppure irrisoria resta comunque eccezione – sia del molteplice e mutevole nel quale ero sono e sarò ininterrottamente immerso . questa tensione non è stata immediatamente decifrabile . tuttora non lo è . sono certo che le sono sempre appartenuto e che non mi ha mai abbandonato . so bene che non mi consegnerà mai approdi definitivi tantomeno certezze decisive . eppure continua ad alimentare i miei codici e i miei orizzonti . insiste nel volermi convincere che sono capace di vivere solo immerso nella sua continua corrente . nella sua simmetriainstabile e dubitante . certo è che continuo a muovermi in una tenace e inappagata interrogazione del mondo . in un’urgenza espressiva impaurita eppure indocile . in un incessante urto . ecco che scrivo urto e subito innesco un sentimento di tempo . un sentimento dello svolgersi di un tempo . tra coscienza individuale e realtà nella quale mi ostino ancora a tentare di maturare come uomo padre lavoratore cittadino . spero che qualche frammento del mio marginale fare mondo possa essere abbastanza degno di partecipare anche a un solo istante della grandezza indicibile e inarrestabile dell’esistente.
Ascolto
questo presente appare confuso ed eterno . come immerso in un transito pieno d’incognite e in preda a tensioni perennemente distruttive . apparentemente privo di modelli prospettive e punti di riferimento che possano illuminare orizzonti e destini che non siano quelli ossessivi e compulsivi dell’affermazione individuale della prevaricazione e della mercificazione di ogni elemento tangibile e intangibile dell’esistenza . mi chiedo sempre quale epoca umana sia mai stata armoniosa o giusta . quando questo nervo dell’uomo in costante conflitto con sé stesso e i propri ignoti abbia davvero conosciuto un tempo di equilibrio e compiutezza . mi attirano le utopie ma le considero stimoli – energie vitali – strumenti – orizzonti . non ho mai creduto a paradisi o terre promesse . ma ho sempre allevato in me un irriducibile sentimento dell’assoluto . nonostante le sconfitte e i disincanti . nel frattempo sono vivo qui e ora e voglio fare la mia parte . scelgo ogni giorno di farepoesia . arte millenaria e fragile . e proprio questa fragilità – questa vulnerabilità – non la avverto come una debolezza bensì come quel necessario elemento di controcanto sensibile che si ostina a contrapporsi e a criticare nel profondo gli automatismi e i pragmatismi che la nostra specie organizza nel suo sforzo di sopravvivere – in un sistema accecato da inverosimili certezze che lo spingono a prevaricare ogni altra forma del vivente . confesso che chiamare poesia quel che tento di fare continua a incutermi soggezione . segno è da sempre il termine che più mi contiene e forse mi libera . so bene che è una libertà che non mi esime dal praticare con rigore ogni forma espressiva che esploro . anzi mi riconsegna una responsabilità della parola ancora più intransigente . cerco meticolosamente e umilmente di prendere parte alle inesauribili nervature di un’infinita opera-mondo – fin dentro i suoi cunicoli più oscuri e spaventosi . scrivo segni per conoscere il mondo e per diventaretestimoniare e condividere ciò che conosco . scrivo per mappare la continua interazione tra esperienza interiore ed esperienza del reale . scrivo per raccogliere e modellare tracce impronte indizi che chissà quando e chissà dove forse coaguleranno in un segno un un’azione un’opera da consegnare all’altro da me .
credo profondamente alla pratica della parola poetica in entrambe le sue forme decisive: scrittura e lettura – che sempre mi riconducono e mi riaddestrano alla responsabilità umana artistica e civile dell’ascolto . un ascolto incondizionato sincero totale che considero il gesto umano e poetico più prezioso . è quando ascolto l’altro da me che sto autenticamente scrivendo . in ogni gesto – anche minimo e quotidiano – in ogni azione o pensiero ascolto l’altro da me e scrivo . non è facile . eppure occorre continuare .
Custode
la parola della poesia mi insegna ancora molte cose . confesso però di essere in grado di decifrarne solo alcune . ad esempio l’accoglienzacome comportamento e non solo come principio o precetto . una forma nervosa dialettica e non assolutoria di compassione . continua certamente a insegnarmi l’altro da me e soprattutto a non smettere mai di desiderare l’autenticità . l’autenticità come educazione ed esperienza sentimentale e sociale e non come concetto o travestimento etico .
scrivo sempre e solo a partire da me e scrivo solo quello che sento . non quello che decido di sentire o quello che è doveroso e giusto sentire . diversamente non posso e non voglio scrivere . e neanche vivere .
ho cominciato a scrivere per l’angoscia e il dolore che mi causava il desiderio di pregare . pregare l’umano il destino e le sue oscurità . pertanto scrivo per non disimparare a sperare – verbo incandescente che nella mia accezione personale sta per agire costruire unire lottare . scrivo e prego non per obbedire o disobbedire ma per dare e chiedere ascolto . per parlare con la vita e con la morte – con la paura e con l’odio – con il corpo e l’enigma dell’amore – con l’assoluto e l’utopia – con il mistero e il bisogno di armonia – con il desiderio la paura il dolore e l’emozione del caos. scrivo per imparare a custodire i segni spaventosi del tutto . raccolti o ricevuti . scrivo custodire non per conservare o ricordare quello che sento bensì per disseminarlo trasformarlo parteciparlo restituirlo . la parola della poesia mi ha dato questa irripetibile possibilità di imparare a credere in ciò che vivo – e che posso agire in un incessante dialogo dentro il quale testimoniare il mondo – per provare a rinominarlo e riconsegnarlo a chi verrà dopo di me sperando che sia migliore di me . migliore di noi .