Alla Basilica di Sant’Agostino di Roma
Il Sansovino biologico
Presentato il restauro della "Madonna del Parto" di Sansovino. La scultura tanto amata dai romani (e cantata da un celebre sonetto di Belli) è stata protagonista di un “biorestauro“: un esercito di batteri ha ripulito l'opera dalla sporcizia secolare
“Li selezioniamo, li facciamo crescere, li rendiamo affamati, poi, inseriti in un gel, li spalmiamo sulla superficie da pulire. Loro mangiano la scoria e poi muoiono sazi, perché è molto breve il loro ciclo vitale”. Parla Anna Borzomati, e si emoziona nel raccontare come ha restaurato, con il team della Soprintendenza Speciale di Roma, diretta da Daniela Porro, e con i biologi dell’Enea, una statua carissima ai romani, la Madonna del Parto, collocata in una nicchia all’ingresso della Basilica di Sant’Agostino. Si chiama biorestauro l’operazione condotta sulla scultura di Jacopo di Sansovino, una Vergine carismatica come una matrona romana che tiene in braccio un Gesù Bambino fin troppo vivace, che si gira e punta il piede sulla sua coscia, pronto a sfuggirle. In pratica, sono stati usati dei batteri per rimuovere la patina di sporcizia accumulata nei secoli, che aveva sparso sull’unico blocco di marmo di Carrara (Sansovino lo scolpì tra il 1518 e il 1521, su commissione della famiglia Martelli) macchie giallastre e marroni.
Ieri, alla presentazione del restauro, la Madonna cinquecentesca era raggiante nel candore lucido restituito al suo incarnato, alle sue vesti, al Figlio riccioluto. E tutti i particolari dell’opera, illuminati quasi a giorno dai tre lampadari a “fiammelle” accesi dai frati agostiniani della basilica-parrocchia alle spalle del Campo Marzio, erano evidenti e coinvolgenti. Come la mano destra della Vergine, che con umanissima sensibilità il Sansovino pone a stringere un libriccino (di preghiere? si chiede il fedele) addirittura usando come “segnalibro” l’affusolato indice, infilato tra le pagine, a fermare quella più cara, da leggere in continuazione.
Questa Madre giovane, dai capelli ondulati alla moda delle antiche romane e raccolti dietro il velo – pare che lo scultore si sia rifatto alla statua di un Apollo in porfido, e certo ha risentito dei grandi suoi contemporanei, da Michelangelo a Raffaello, che peraltro pochi metri più avanti nella navata principale firma l’affresco del profeta Isaia – è fenomenale per la devozione che l’accompagna. “I cittadini e soprattutto le cittadine di Roma le sono affezionati – dice Porro –. Sono le donne in procinto di dare alla luce un figlio e quelle che figli non riescono ad averne. Una venerazione avviata nel 1822 da Papa Pio VII, che rilanciò il culto mariano dopo la parentesi napoleonica a Roma, assicurando l’indulgenza plenaria a chi ne baciasse il piede recitando l’Ave Maria”.
Ma proprio tanta fede nei miracoli della Madonna del Parto ha causato la sua rovina. Candele votive, fumi, l’olio strusciato attorno al suo piede fiduciosi che divenisse santo e guarisse dai malanni hanno creato, insieme con la polvere dei secoli, la “lordura”, come la definì un padre agostiniano nel 1884. Vi si sono aggiunti gli ex voto – monili molto spesso – infilati al suo collo, nelle braccia, a graffiare il marmo. Si aggiunsero negli anni Cinquanta le corone poste sul capo della Vergine e del Bambino, in un rito annuale di incoronazione, anche in questo caso favorito dalle autorità religiose. Si è corso ai ripari a inizio Novecento, limitando il numero dei ceri accesi attorno alla statua superstar, che era sempre illuminata, giorno e notte, oltre a sistemarle accanto un bussolotto per i doni devozionali. Tanto numerosi da suscitare la beffarda reazione di Gioachino Belli, autore di un puntuto sonetto, La madonna tanto miracolosa, scritto il 2 febbraio 1833, il giorno della Candelora, dopo una visita nell’affollata chiesa:
Oggi, a fforza de gómmiti e de spinte,
Ho ppotuto accostamme ar botteghino
De la Madonna de Sant’Agustino,
Cuella ch’Iddio je le dà ttutte vinte.
Tra ddu’ spajjère de grazzie dipinte
Se ne sta a ssede co Ggesù bbambino,
co li su’ bbravi orloggi ar borzellino,
E ccatene, e sscioccajje, e anelli e ccinte.
De bbrillanti e dde perle, eh ccià l’apparto:
Tiè vvezzi, tiè smanijji, e ttiè ccollana:
E dde diademi sce n’ha er terzo e ‘r quarto.
Inzomma, accusì rricca e accusì cciana,
Cuella povera Vergine der Parto
Nun è ppiù una Madonna: è una puttana.
Dice padre Domenico che ancora oggi tante donne lasciano in basilica bigliettini con suppliche. Mentre Ilaria Sgarbozza, che ha diretto i lavori, durati sei mesi e sostenuti da Intesa San Paolo nell’ambito del progetto Restituzioni monumentali, spiega che l’uso del biorestauro, sperimentato da circa venti anni, garantisce l’assoluto rispetto della materia su cui si agisce e tutela anche la salute del restauratore. “Per l’intervento sul monumento del Sansovino nel laboratorio OEM dell’Enea sono stati selezionati – all’interno di alcune centinaia di specie – quattro tipi di microrganismi: ceppi batterici che sono stati applicati alternati tra loro e per più volte sulla superficie da trattare”. Poi con il laser sono state rimosse le incrostazioni sulle dorature della partitura architettonica e decorativa che incornicia il gruppo scultoreo. Ecco allora il “miracolo” della Madonna restaurata. Pare colloquiare con un’altra celeberrima Vergine, che le dista pochi metri, e che è stata anch’essa recentemente ripulita: è la Madonna dei Pellegrini del Caravaggio, esile quanto intensa nella torsione del corpo inchinato, a guardare negli occhi i due viandanti sudati, i piedi sporchi e grossolani, che le si inchinano emozionati, a mani giunte.