Il cinema de laMeneghello
La bestia della paura
“As Bestas”, il nuovo film di Rodrigo Sorogoyen, è un apologo sulla paura raccontata attraverso la storia di una piccola comunità galiziana che "aggredisce" una coppia di francesi
Se esistesse un Premio Strega per i film usciti in questi mesi, As Bestas rientrerebbe di diritto nella cinquina dei finalisti. L’ho visto solo qualche giorno fa, a oltre un mese dalla sua uscita in sala, cosa stranissima sia perché il mio critico di riferimento Michele Anselmi l’aveva fortemente raccomandato, sia perché mi piace vedere subito i film che mi interessano, come se fossero mozzarelle con una data di scadenza. Ma questo nuovo film del regista Rodrigo Sorogoyen (cui opportunamente la Cineteca di Bologna ha appena dedicato una retrospettiva) mi era proprio sfuggito, forse per la ressa di uscite tra aprile e maggio. Adesso so che era imperdibile.
Cos’è che rende così potente questo film franco-spagnolo tanto da restare dentro lo spettatore ben oltre la visione? Innanzitutto c’è una storia forte, ispirata a un fatto reale, che richiama alla memoria il film di Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro: una coppia di stranieri, in questo caso francesi, si trasferisce con le migliori intenzioni in un piccolo villaggio, in questo caso della Galizia, e nonostante faccia di tutto per inserirsi e condividere i propri progetti belli e socialmente utili (recupero di ruderi da restituire alla collettività, coltivazioni di verdure biologiche buonissime ecc.), suscita non solo la diffidenza degli indigeni, ma la persecuzione da parte di due fratelli con evidenti problemi di instabilità mentale. Di mezzo ci sono anche i soldi promessi dai costruttori di pale eoliche che vorrebbero sbarcare nella zona e cui i “francesini” non aderiscono.
Al di là della storia drammatica che racconta uno scontro inconciliabile di culture, è chiaro fin dalle prime scene che c’è qualcosa che va oltre e che inchioda lo spettatore per 137 minuti: perché As bestas (letteralmente le bestie) è un film sulla paura, le nostre paure e non solo quelle degli ottusi contadini galiziani. Un maestro di yoga diceva che la paura è qualcosa che contamina l’aria, la paura si respira, la paura è proiettata dalla nostra mente e quando si alimenta di infinite altre proiezioni diventa incontrollabile come un virus. Conosciamo tutti questa paura, l’abbiamo vissuta con la pandemia, la viviamo con la guerra, è la minaccia di ciò che percepiamo come diverso, è la minaccia di ciò che non conosciamo.
As bestas mette in scena questa paura con la forza delle immagini girate nella luce livida di una terra indurita dal gelo, negli interni dove le ombre solcano le facce segnate dalla fatica e dalla diffidenza, e le frasi brevi, spezzate dai sogghigni, quasi senza commento musicale, arrivano come un pugno nello stomaco. Il senso metaforico della violenta scena iniziale, in cui gli uomini immobilizzano brutalmente i cavalli bradi per tagliare le loro lunghe criniere, si scoprirà solo a metà del film e altro non posso dire.
Aggiungo solo una battuta sui protagonisti, i francesi Denis Ménochet (Antoine) e Marina Foïs (Olga): con la loro interpretazione magistrale riescono a trasmettere il senso di un amore assoluto che è incomprensibile per gli altri, persino per la figlia, un amore più forte della morte. Se riuscite a recuperarlo, ovviamente in versione originale, non perdetelo.