Ceppo Poesia 2023 in tre parole /2
Sguardo, Margine Ossessione
“Lacrime di babirussa” di Riccardo Innocenti tra i finalisti nella sezione Under 35, nasce come riflessione a ciò che l’autore ha osservato intorno a sé e e letto sulle piattaforme on line negli ultimi anni. Senza rinunciare a indagare gli immaginari, interrogandosi con verità, anche nel linguaggio
Nell’ambito del 67° Premio Ceppo, presieduto e diretto da Paolo Fabrizio Iacuzzi e dedicato quest’anno alla Poesia, è oggi Riccardo Innocenti, uno dei tre finalisti nella sezione Under 35 che il 7 maggio vengono votati dalla Giuria dei Giovani lettori, a spiegare in tre parole-chiave il proprio “centro di gravità” poetico. Con il volume Lacrime di babirussa (Nem Editore) è tra i prescelti «per la verità della sua interrogazione esistenziale e del linguaggio, a volte brutale e “politicamente scorretto”, che nulla o poco concede a un lirismo o a un orfismo di maniera» (www.iltempodelceppo.it).
***
Sguardo
La poesia è lo sguardo che si ostina nel tentativo di afferrare la complessità del mondo, quello che vediamo nei ritratti di Kafka, piantato negli occhi di chi osserva per indagare il mondo e coglierlo di sorpresa, nudo. «Il mondo verrà da te a farsi smascherare», scriveva. È una vista offuscata dal fumo, a volte si riesce a scorgere qualcosa e solo raramente si cattura con chiarezza un’immagine che prima brilla nei suoi lineamenti definiti e poi scompare, lasciando al suo posto la sensazione di aver afferrato qualcosa. Cosa? Il mio libro Lacrime di babirussa è una raccolta di poesie scritte fra il 2017 e il 2021. Il 2017, in questo senso, è una data molto significativa, perché in quell’anno Donald Trump vinse le elezioni presidenziali della nazione più influente del pianeta e ricordo che a partire da quell’evento iniziai a provare una sensazione di degradazione progressiva e collettiva verso la barbarie. Allo stesso tempo in quell’anno mi sono trasferito da Siena a Bologna, città che mi ha permesso di conoscere realtà di liberazione e resistenza a quelle forze che sembravano in ascesa. In quel momento ho iniziato a riflettere su fenomeni cui partecipavo, che subivo o che vedevo accadere intorno a me, come il transfemminismo, la liberazione sessuale che si vive nelle grandi città, l’aumento dei femminicidi, la diffusione della cultura incel, l’apatia, la virtualizzazione dell’esperienza, l’edonismo di massa, l’uso di droghe leggere e pesanti a scopo ricreativo, la derealizzazione che ne deriva, la professionalizzazione dei miei coetanei. Verso questi fenomeni ho sempre avuto un approccio sociologico, li vedevo come espressioni di forze che trascendono l’individuo e chiedono di essere comprese. Per questo le poesie della mia raccolta sono spesso in terza persona, o comunque vi si trova un certo sguardo dall’alto: non volevo raccontare la mia vita di individuo privato, esprimere teorie o giudizi ma riflettere su ciò che sentivo dire, ciò che vedevo intorno a me o su YouTube, che leggevo su piattaforme come reddit o 4chan.
Margine
Penso che la poesia debba interessarsi a ciò che è rimasto al margine di essa, eventualmente alluso e mai posto al centro di un discorso serio e rispettoso della complessità. Nella nostra quotidianità allontaniamo ciò che ci disturba rimuovendolo oppure nascondendolo con la retorica che ignora le condizioni materiali e i rapporti di forza che queste determinano. Solitamente la violenza impalpabile che satura le nostre vite può entrare nelle poesie se esplicitamente condannata moralmente o se usata per épater le bourgeois. Il compiacimento dello scandalo è lo stesso che prova chi cerca nella brutalità del mondo una conferma del proprio nichilismo, come il personaggio della mia poesia che recita «Gli piacciono i documentari violenti / sul mondo animale, lo fa stare bene / vedere che la natura è una merda / gli uccelli del paradiso, che recitano / danzando per trovare un partner, come / esseri umani nei video di TikTok». Un osservatore disonesto che cerca in ciò che osserva una conferma alle proprie teorie, in questo caso l’idea che i rapporti fra esseri viventi non possano che essere regolati da dinamiche di violenza e sopraffazione. Tornando alla parola margine, ritengo che l’italiano standard sia ancora marginale in poesia, benché sia la lingua che parliamo quotidianamente. Mi capita spesso di leggere testi scritti in una lingua di koiné poetica accettata acriticamente e riprodotta nello stesso modo in cui riproduciamo la retorica di cui sopra. Inoltre ho l’impressione che molti scrittori partano da un testo in prosa, “in chiaro”, che viene distorto gradualmente per aumentarne la complessità. Non mi interessa chiedere al lettore di parafrasare un testo che sarebbe comprensibile soltanto attraverso un’esegesi guidata, cioè svolta grazie agli indizi appositamente disseminati dall’autore. Ritengo che il poeta debba invitare il lettore a contribuire alla costruzione di un senso ulteriore rispetto a quello che risulta immediatamente dalla pagina, senso che in parte sfugge al poeta stesso e che egli non avrebbe saputo esprimere con maggiore chiarezza.
Ossessione
Negli anni in cui ho composto le poesie che sono state raccolte in Lacrime di babirussa ho passato periodi di pura ossessione, durante i quali scrivevo e riscrivevo i testi in continuazione. Ci sono stati momenti in cui dovevo smettere di fare quello che stavo facendo, aprire il file Word e rileggere le mie poesie, mentre gli studenti delle biblioteche che frequentavo o le persone che come me aspettavano il bus sotto la pensilina mi osservavano gesticolare e muovere le labbra in silenzio. Lo sguardo della poesia è ossessivo ed esercita uno sforzo intensissimo nel tentativo di cogliere un oggetto dal quale non può distrarsi. Tornare periodicamente e casualmente a un’immagine, cullarla fino a quando questa non assume dimensioni tali da ingombrare la stanza e non lasciarsi più ignorare, ossessionandoci. Questa è la mia esperienza di scrittura, quello che più si avvicina all’ispirazione poetica. Scrivendo ho scoperto che a volte la tecnica migliore per ottenere il risultato che mi proponevo prevedeva che usassi parole e interi periodi altrui. Leggendo libri di divulgazione scientifica degli anni Settanta-Ottanta mi sono reso conto che vi potevo trovare delle espressioni degli immaginari che volevo indagare. Probabilmente in questa attrazione verso la dimensione oggettuale del testo, verso l’ostensione di un documento, c’è qualcosa che riconduce alla scrittura saggistica, benché di questi frammenti io apprezzi proprio l’ambiguità, la sfuggevolezza. Il cut up, la traduzione libera e altre tecniche di manipolazione hanno prodotto testi che eludevano il mio controllo, contribuendo a costruire un discorso più sfaccettato, più complesso e vero. Questo tipo di approccio mi ha aiutato a vivere la scrittura come una pratica che costruisce un suo senso man mano che si sviluppa, come una forma di abbandono al linguaggio. In questo modo la poesia può essere una forma di conoscenza e di liberazione.