A proposito di “Mettiti in posa”
Courbet e l’amore
Il nuovo romanzo di Manuela D’Aguanno è una storia d'amore che si intreccia con le suggestioni di alcuni grandi dell'arte: un vecchio professore trasforma una giovane nella sua modella ideale
Sono due i punti di forza di questo romanzo, Mettiti in posa di Manuela D’Aguanno (Newton Compton, 220 pagine, €9,90): il fatto che la voce narrante del libro, scritto da una autrice molto legata nella vita vera al mondo dell’arte, sia una voce maschile, e il fatto che l’uomo che si muove e rumina pensiero nel romanzo è un uomo anziano, è stato un professore, è rassegnato a una vita con minime prospettive ma si innamora: dovrei dire perde la testa per una ragazza che ha cinquant’anni di meno e che lui incrocia nel caffè dove ogni giorno scende a fare colazione.
Non solo il caffè dove abitudinariamente consuma la colazione ogni mattina, dopo essere stato grigio e anonimo per un tempo incalcolabile, acquista colore e diventa inaspettatamente vivace, illuminato da Giulia, la ragazza che vi volteggia mentre serve ai tavoli tornando a far battere il cuore da tempo a riposo e oramai delicato del Prof, ma si rivela crocevia di vita reale come mai era apparso prima.
Lo sguardo del Prof ha rilevato la grazia di Giulia e questo ha messo in moto la sua immaginazione.
Ecco forse il punto di forza più gagliardo del libro, suggerito anche dal titolo del romanzo: il Prof si innamora attraverso la mediazione dell’arte. O meglio percepisce come compiuta e riesce a condurre a compimento ogni fantasia sensuale cullata e realizzata intorno a Giulia solo quando traduce tutto ciò facendole assumere le pose che una figura femminile così attraente avrebbe nei quadri di Degas o di Courbet e di tanti altri.
Un’idea di bellezza e di eleganza, di arte viva e di quadri viventi, nulla perciò di museale ma tutto di estetico ed estatico, che evidentemente non è relegata alle mostre, alle gallerie, alle case d’aste, ad un antiquariato statico e accantonato, ma che viceversa entra nella vita vera, solo lì si anima, e acquista vita propria nel momento in cui è sentita come elemento necessario e non decorativo in una o più esistenze, diventando addirittura il collante essenziale di un legame, di un amore, e facendo crollare ogni possibile distanza di natura culturale o sociale o generazionale.
Un’idea di bellezza e di eleganza che non necessariamente riveste un valore manipolativo/educativo come nel Pygmalion di George Bernard Shaw: Giulia non è una inerme fioraia, è una barista per caso che lotta nel quotidiano per cercare (anche se lei forse non lo sa fin quando non si imbatte nel Prof e non accetta di incamminarsi in un amore impensabile con lui, che per lei ha un sapore proibito) di far entrare luce nel proprio mondo ordinario e convenzionale:
“La ragazzetta del bar. La giovane e attraente donna di Tahiti. Com’è possibile che ci stesse davvero provando con me? Con questo vecchio riflesso nello specchio?”
Un’idea di bellezza e di eleganza che non replica dunque il decadentismo estetico di Oscar Wilde e del suo ambiguo Dorian Gray, che non dissemina morte in nome di una idolatria visuale, e semmai al contrario traduce l’invaghimento del Prof nel coronamento di un ideale estetico e in una specie di formulazione permanente di un universale estetico concreto.
Un’idea di bellezza e di eleganza che implica anche floridezza di forme, salute giovane dei corpi, come i modelli e le modelle di Casa Vitti, l’atelier dove i pittori impressionisti andavano a dipingere ritraendo questi giovanissimi e giovanissime di sana e robusta costituzione che dalla Ciociaria erano volati a Parigi in cerca di fortuna e avevano come unica risorsa per emanciparsi e prosperare appunto i propri corpi, offerti all’arte.
Lo stesso ideale di bellezza e di eleganza che sostituisce l’implicito voyeurismo lussurioso con una visione estetica, che per un lungo periodo della loro relazione induce il Prof a identificare la giovane Giulia con una delle ragazze di Gauguin: una visione che finisce per far scattare una folgorazione nel momento in cui, come in una nota e bellissima canzone di Gino Paoli, lui se la vede arrivare, venire incontro, e nell’incedere di Giulia qualcosa lo dissotterra da una vita anziana senza scopo, routinaria, e lo rimette in pista con tutta la sua indomita vitalità (“Vecchio, diranno che sei vecchio, con tutta quella forza che c’è in te”, fa cantare Mariella Nava a Renato Zero).
Un’idea di bellezza e di eleganza, una volta di più, che impedisce che il professore sia un poveretto svanito, facile preda da sfruttare e poi buttar via come capita al professore attempato del vecchio film L’Angelo Azzurro, o di diventare ridicolo e vizioso come Gustav von Aschenbach intento a venerare il giovanissimo Tadzio. Se un tratto viscontiano viene di cogliere qui nel personaggio del Prof, che solo a pagina 179 veniamo a sapere come si chiami di nome proprio, questo risiede semmai nell’austerità composta e inalterabile del professore, pure lui, di Gruppo di famiglia in un interno.
Infine un’idea di bellezza e di eleganza che annovera tra le sue suggestioni visuali anche certi fermo-immagine che non provengono tanto dalla pittura quanto dalla fotografia, come in certe istantanee in bianco e nero di Cartier-Bresson in cui aleggi però un senso di pericolo, private della speranza, ma viene facile pensare anche a certe immagini fuori fuoco di William Klein, che come Picasso nel cubismo ha reso la natura sporca della realtà e la sua geometrica riformulabilità essenziale. Per concludere, una vicenda da attraversare nella lettura per vivere due suggestioni: una non piccola esperienza estetica e lo sbroglio del tutto inaspettato di un groviglio visionario e trasgressivo.
La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini