Daniela Matronola
A proposito de “Il viaggio di Irene”

Rivoluzione e Pace

Il nuovo saggio di David Fiesoli parte da un interrogativo: a chi interessa la Pace? A chi ha a cuore la sacralità della vita da riaffermare come dignità inviolabile, in un percorso che riannoda questo concetto fondante lungo tutta la linea del tempo

A chi importa davvero di Irene, la Pace? Scriviamola con l’iniziale maiuscola, visto che il viaggio che il libro di oggi ci propone, un saggio molto interessante e profondo, scritto da David Fiesoli, giovane studioso di Prato (Il viaggio di Irene. Per una storia della Pace, Avagliano Editore 2023, pag.78, €13), intreccia storia mito cultura civiltà, prendendo le mosse dal mondo antico da cui raccoglie come testimone un’idea di sacralità che non ha nulla di fideistico e tutto di etico e poetico.

La domanda ottiene una risposta, nei fatti, positiva solo su un piano ottativo.

Della Pace in realtà importa a pochi, e anche a quei pochi cui un poco importa viene in mente solo come pausa tra guerre, interruzione tra conflitti, sopimento temporaneo di confronti armati in atto.  

Il saggio ricostruisce la lunga marcia che la Pace ha compiuto per arrivare fino a noi muovendosi tra le macerie e i morti, tra le città abbattute e gli eserciti, e i civili, sempre più tirati dentro dalle guerre ipocritamente definite chirurgiche da un linguaggio sempre più spietato, anch’esso guerresco, nei fatti, pronto a travestire di valore tutto ciò che sempre più si fa disumano e cieco.

È un saggio, entrato in circolazione pochi giorni dopo il primo anniversario dell’invasione russa in Ucraina, e tralasciamo di specificare come quel conflitto, non nuovo, sia definitivamente esploso, e per dichiarazione esplicita dello stesso autore è stato avviato proprio attorno al 24 febbraio 2022, come proposta a favore di una Pace non solo momentanea ma durevole, edificata e protetta, tenuta ben al riparo, ma non come rifugio dalla guerra, dagli alterchi, dalla violenza, dalle aggressioni: come status permanente che si instauri una buona volta e scacci tutto ciò che le è avverso, e contrario alla quieta vita umana, personale e di comunità.

Per ragioni credo di smemoratezza il conflitto russo-ucraino è stato salutato (per così dire) come una interruzione della Pace che sarebbe durata fino a quel momento per oltre 70 anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. Forse una simile affermazione può funzionare come artificio retorico ma nei fatti sappiamo bene che tutta la Storia del Novecento è stata punteggiata da numerosi conflitti armati: uno tra quelli che ci hanno riguardati più da vicino (in ambito europeo) è stata la guerra nei Balcani. Ma tutto il pianeta è stato scosso da guerre tutte ingiuste e tutte intenzionate a registrare massacri. 

In altri anni ricordo un saggio di Abraham Yehoshua, Diario di una pace fredda (Einaudi, 1997), in cui il grande scrittore israeliano, attraverso una serie di interventi civili sull’area torrida del suo Paese tra fondamentalismo ebraico e laicismo anche in relazione al conflitto con i palestinesi, riuscì a rendere esattamente il clima di convivenza ostile, sempre sull’orlo della degenerazione, in cui la pace era una specie di fortuito intervallo, un’intermittenza tra esplosioni di violenza.

Pochissimi anni prima, Bernard Henry Lévi era uscito con l’instant essay La pureté dangereuse (Grasset 1994) che nessun editore italiano ha voluto tradurre: lì il nouveau philosophe, che come altri intellettuali europei seguiva da vicino, in presenza, il conflitto nei Balcani, faceva non solo l’elenco ma anche l’esame puntuale dei numerosissimi conflitti in corso nel pianeta, evocando tra gli altri il terribile genocidio in Ruanda dei Tutsi ad opera degli Hutu che si facevano strada tra la popolazione a colpi di machete. Tutti casi in cui ad armare e accecare gli aggressori era il fantomatico mito della purezza etnica che conduceva al desiderio e ad un’azione inequivocabile di pulizia etnica.

Ebbene, nel caso di questo bel saggio di David Fiesoli, snello e denso, assistiamo a un rovesciamento insolito che ci educa, quasi, a prendere in considerazione la Pace per una rivoluzione radicale. Come? Pedinandola lungo i secoli, non tanto attraverso la millenaria Storia dei conflitti armati e della loro estesa e profonda trasformazione ma anche nell’evocazione di figure che, in barba alle guerre, hanno sostenuto la Pace nel pensiero e nell’azione.

Sia il corpo del saggio che la prefazione (del cardinale Matteo Maria Zuppi) ci riportano indietro ad epoche in cui l’Umanità ha percepito e ha saputo cogliere la profonda differenza tra Pace e guerra: l’abisso che c’è tra: le guerre che, mutuando le parole di T. S. Eliot in The Fire Sermon, poemetto nel poema The Waste Land, “connettono niente con niente”, cioè annientano ogni nesso, ogni legame, rompono tutte le connessioni; e la Pace che invece è ponte e legame fra gli umani.

L’autore è studioso di cultura antica, soprattutto greca, e a suo modo sagace filologo senza volersene dare importanza e merito, ma proprio partendo dalla lettera non indo-europea ma accadica che lega le nostre lingue e le nostre culture ritrova l’humus mitico e storico-letterario ma appunto anche profondamente linguistico della civiltà umana sulla lunga distanza della nostra evoluzione come specie, che vanta proprio la cultura non solo come propria specificità ma come abissale differenza (vantaggio?) rispetto al resto del mondo animale.

Dai primordi ad oggi, fino ai più recenti attivisti per la Pace, da Simone Weil a Etty Hillesum, da Gandhi a Padre Ernesto Bellucci, da Martin Luther King a Danilo Dolci, da Alex Zanotelli a David Maria Turoldo, solo per dire di alcuni, David Fiesoli individua una linea del sacro, cioè di sacralità della vita, da riaffermare come dignità inviolabile, in un percorso che riannoda questo concetto fondante lungo tutta la linea del tempo, in una peripezia che non è religiosa in senso fideistico, ripeto, ma è sacra in una chiave etica, e rovescia il nostro vocabolario, il nostro sentire, il nostro pensiero prescindendo dall’idea e dalla risorsa della guerra ma investendo la vita e la Storia in una chiave di Pace (e non di retorico o ipocrita pacifismo) – oltre che in una conquistata simultaneità che, riandando circolarmente tra presente passato futuro, li annulla in un lungo istante solo, con una intuizione civile (se così si può dire) che ha del poetico. Un libro dunque radicale nella sua pacifica pacatezza, che riafferma la Pace come calma e armonia. Dunque anche come bellezza.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini

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